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Vito Cassiano, L’indagine socio-religiosa della diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca

L’INDAGINE SOCIO-RELIGIOSA SULA DIOCESI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA CURATA DA DON SALVATORE PALESE (Gennaio 1972)

di Vito Cassiano

Il 3 gennaio 1972 l’autore, Don Salvatore Palese,  datò la relazione sull’indagine socio religiosa che gli era stata chiesta dal consiglio pastorale diocesano nella riunione del 22 giugno 1971. L’indagine fu compiuta nell’estate su un campione di 1735 risposte al questionario diffuso tra giovani, adulti e anziani. Forse era la prima indagine del genere compiuta nel Salento e nella regione Puglia. 

Il consiglio pastorale aveva intenzione di offrire una proposta di programma dell’attività pastorale della diocesi, in base alla situazione sociale e religiosa delle comunità parrocchiali. 

La diocesi era senza vescovo a seguito delle dimissioni di mons. Giuseppe Ruotolo (1937-1968) ed era stata affidata all’amministrazione apostolica di mons. Nicola Riezzo, arcivescovo metropolita di Otranto. Questi aveva apprezzato la richiesta del consiglio pastorale che era animato dallo slancio rinnovatore proposto dal concilio Vaticano II, concluso l’8 dicembre 1965.

La relazione consta di 68 cartelle ciclostilate ed è corredata dall’appendice in cui vengono dati i questionari per i giovani universitari, per i giovani lavoratori, per i genitori, per i professionisti e per gli anziani. Inoltre, nell’appendice erano pubblicate 86 tavole sulla condizione sociale, economica, culturale e politica delle popolazioni ugentine, rilevata dal censimento del 1961 e da altre fonti statistiche, dai risultati delle consultazioni elettorali del 1968 e del 1970; veniva descritta l’organizzazione delle parrocchie e delle associazioni laicali e infine quella relativa ai risultati dell’indagine (tavole 32-86). 

L’indagine riguardava specificatamente la condizione religiosa della popolazione diocesana e la vita cristiana dei fedeli (pp. 33-65). 

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Questa indagine si ispira all’intento esplicito del concilio Vaticano II, già presente nelle dichiarazioni di Giovanni XXIII, che era e rimane prettamente di carattere pastorale. Con il concilio Vaticano II abbiamo una Chiesa in uscita. Dice il Concilio: «Tutto ciò che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo dell’attività umana costituisce il fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo» (Gaudium et spes, 40- I documenti del Concilio Vaticano II, Ed. Paoline, 1966).

Il concilio Vaticano II non solo aggiornò il linguaggio teologico e le finalità pastorali della Chiesa, ma tracciò anche delle indicazioni di carattere metodologico che dovevano servire per determinare quel processo di incarnazione della parola di Dio negli eventi della storia e nella quotidianità della vita di ogni uomo e comunità.  Una metodologia che si avvale non solo di indicatori e di criteri, ma anche di strutture, con i quali definire un piano che opportunamente potesse dislocare nel tempo e nello spazio gli interventi di programmazione e di perseguimento di obiettivi pastorali puntuali e congruenti.

Nel decreto conciliare Christus Dominus (I documenti del Concilio Vaticano II, Ed. Paoline, 1966), che è rivolto particolarmente ai vescovi, si invita chi è chiamato a svolgere e a dirigere l’attività pastorale a utilizzare la metodologia dell’indagine sociale per poter svolgere in modo adeguato la funzione di apostolato nella comunità umana.

Al paragrafo 18 leggiamo: «Per essere in grado di meglio provvedere al bene dei fedeli, secondo il bisogno di ciascuno, si adoperino (i vescovi) di conoscere a fondo le loro necessità e le condizioni sociali nelle quali vivono, ricorrendo, a tale scopo, a tutti mezzi opportuni e specialmente alle indagini sociali». A tal fine continua il decreto al n. 27 «È grandemente desiderabile che in ogni diocesi si costituisca una Commissione (consiglio) pastorale […]. Sarà compito di tale Commissione studiare ed esaminare tutto ciò che si riferisce alle opere di apostolato per poi proporre pratiche conclusioni».

Emerge da tutto ciò uno schema operativo abbastanza chiaro, il quale sarà poi ripreso e puntualizzato nel Direttorio pastorale dei vescovi  Ecclesiae imago (E.I.22-2- 1973) (Enchiridion Vaticanum Vol IV  pagg.1233-1487, EDB, Bologna 1982 e nei successivi aggiornamenti dello stesso.

In esso si invita il vescovo ad «indagare le reali condizioni del mondo attuale sotto l’aspetto sociale, culturale e religioso» (cfr. E.I. 141). Per questo «il vescovo promuove indagini di sociologia religiosa allo scopo di conoscere in profondità la situazione della fede nella propria diocesi, studiandone poi i risultati assieme ai suoi collaboratori, ai consigli diocesani e ad altri esperti» (cfr. E.I. 141).

Per poter infatti svolgere con una certa efficacia l’esercizio dell’apostolato, sapendo comunque che è Dio che fa crescere quanto è stato seminato, si deve avere, per quanto possibile, un’esatta conoscenza di tutte le condizioni, non solo quelle di carattere spirituale e morale, ma anche quelle di carattere economico, sociale, culturale. Bisogna che la Chiesa entri nell’evoluzione del mondo cercando di capirne i segni e le tendenze. L’evoluzione dei processi sociali impongono un’attenzione e una conoscenza mirata per ovviare al pericolo della sterilità della catechesi e dell’evangelizzazione. L’azione pastorale deve tempestivamente adattarsi alle mutate situazioni.  (cfr. E.I. 102).

A partire dal Vaticano II, la Chiesa Italiana declina l’attività pastorale delle comunità locali attraverso piani pastorali pluriennali, all’interno dei quali ogni singola comunità sviluppa programmi e azioni riferite per lo più a scelte e ad attività di ogni anno all’interno del ciclo pluriennale. Il primo Piano della Chiesa Italiana fu “Evangelizzazione e Sacramenti” degli anni Settanta, seguì quello di “Comunione e Comunità” negli anni Ottanta, che caratterizzano molte delle scelte che vennero fatte in quegli anni nella nostra diocesi. Altri ne seguirono nei decenni successivi. Ma ciò che intendo richiamare di questi Piani è il fatto che ogni documento, prodotto dai vescovi come sussidio per l’attuazione dei programmi, partiva sempre dalla ricognizione della situazione sul piano sociale, culturale e religioso delle comunità a cui era rivolto.

Con riferimento ad uno dei documenti più importanti e più riusciti di quegli anni, rimasto ancora sempre attuale, il documento Il “Rinnovamento della catechesi” (RdC, CEI, Edizioni Pastorali Italiane, Roma 1970), questa procedura di carattere metodologico viene considerata indispensabile per un annuncio efficace del messaggio cristiano. In esso, tra l’altro, leggiamo: «Chiunque voglia fare all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell’esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio. Il Dio della Rivelazione, infatti, è il “Dio con noi”, il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita; e la sua parola è destinata a irrompere nella storia, per rivelare a ogni uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla». (RdC, 77- ).

Anche nella nostra Chiesa ugentina risalta questa impostazione metodologica e programmatica di quegli anni con esiti che ancora dopo 50 anni rimangono attuali e tali da suscitare interesse non solo dal punto di vista storiografico, ma anche operativo. Vedremo come non si discostano troppo le temperie socio-ecclesiali cosi come indagate dalla ricerca socio-religiosa svolta dallo storico Mons. Salvatore Palese risalente agli inizi degli anni ’70, a cui fece seguito la prima utilizzazione di quell’indagine nell’impostazione del primo Piano Pastorale di quegli anni denominato “Il Piano Quadro” (Bollettino Ufficiale Diocesi di Ugento S. Maria di Leuca, anno XXXVIII, agosto 1974 dicembre 1975, pp 49-70).

Qualche anno dopo il concilio la nostra diocesi rimase per un certo periodo senza pastore. Il vescovo mons. Ruotolo capì che con il concilio la Chiesa era entrata in un nuovo paradigma storico, che le responsabilità apostoliche richiedevano oltre che metodi pastorali nuovi rispetto al passato, occorrevano anche forze fisiche e spirituali giovani e più adatte alle fatiche dell’evangelizzazione in una realtà di post cristianità. Mons. Ruotolo pensò meglio di supportare la vita ecclesiale della nostra chiesa con la preghiera. Nel monastero delle Tre Fontane di Roma seguiva con l’amore apostolico, che ha sempre avuto e dimostrato nel suo lungo ministero episcopale, il cammino nuovo e non certo senza difficoltà della nostra comunità ecclesiale che ebbe come guida in quei primi anni post conciliari in qualità di amministratore apostolico l’arcivescovo di Otranto mons. Nicola Riezzo.

Coadiuvato da un presbiterio molto attivo e aperto alle istanze del Concilio, basti pensare ai tre preti che affiancarono l’azione apostolica di quegli anni. Don Tonino Bello, don Salvatore Palese e don Tito Oggioni per capire la fecondità pastorale di quegli anni particolarmente sotto il profilo formativo e di ricognizione dello stato sociale ed ecclesiale della diocesi.

L’INDAGINE SOCIO-RELIGIOSA

Il testo resta ancora ciclostilato. In quel periodo tutto si faceva al ciclostile, anche se lo spessore qualitativo e l’importanza operativa del testo avrebbe richiesto una veste editoriale più adeguata. Ma allora le cose si facevano, specialmente qui da noi, con lo scopo di offrire apporti funzionali più che editoriali, come lo furono anche le dispense di Don Tonino della Scuola di cultura religiosa di quegli anni. Anche se potrebbe essere ancora recuperato sul piano editoriale con una pubblicazione stampata che servirebbe non solo a documentare ciò che si è fatto, ma a affiancare e ad assecondare opportuni aggiornamenti della ricerca, che anche oggi è necessaria per poter impostare in modo mirato l’azione pastorale del tempo presente.

Il testo dei risultati della ricerca si apre con l’Introduzione, in cui viene dichiarato il processo metodologico della ricerca, svolta in un tempo breve, nell’arco di una estate, e lo scopo dell’indagine così come evidenziato sopra nella disamina dei testi post conciliari.

«L’iniziativa indica una presa di coscienza del metodo apostolico che la pastorale moderna puntualizza nei tre verbi vedere-giudicare-agire. Infatti nell’evangelizzazione e nell’apostolato non si può prescindere dalla realtà esistenziale dei gruppi, delle categorie e degli ambienti umani se l’attività ha lo scopo di realizzare l’incontro personale con Cristo Signore […]. Tale impostazione obbedisce al convincimento che l’apostolato deve tener conto delle persone nelle loro condizioni storiche; le quali persone sono la risultanza del passato, mentre si esprimono nel presente, camminano verso un futuro che si lascia intravedere nelle scelte compiute» (Introduzione, pag. 1-2).

Don Salvatore ritiene che la ricerca da lui diretta, dato il breve lasso di tempo in cui è stata attua richiede degli approfondimenti successivi, ma l’impianto generale, le tematiche affrontate e gli ambiti di indagine danno sufficiente certezza di attendibilità e validità prolettica anche in vista di una programmazione pastorale prolungata negli anni e, comunque, come indicatori imprescindibili di ulteriori ricerche, se ci dovessero essere. E non essendoci state in tutti questi decenni, rimane almeno come riferimento paradigmatico da tener presente anche oggi per la programmazione e l’azione pastorale.

L’indagine è stata condensata in cinque parti ognuna delle quali è sviluppata in capitoli o paragrafi.

I. Condizione sociale ed economica

II. Situazione politica

III. Orientamenti culturali

IV. Situazione del Clero, dei Religiosi e dei Laici organizzati

V. Sulla vita cristiana.

I. LA CONDIZIONE ECONOMICA

L’autore nell’esaminare la condizione economica della popolazione della diocesi corrispondente al territorio del Capo di Leuca si avvale di studi e ricerche statistiche di diversi enti e ricercatori, sulla base dei quali mette in comparazione i dati della sua indagine, proponendo delle deduzioni e valutazioni di tendenza del processo. È vero che in quel periodo, ma ancora oggi la situazione si può ritenere analoga pur con indicatori   e parametri diversi rispetto a cinquant’anni fa, ma strutturalmente analoghi, la nostra zona basso salentina era da ritenere zona depressa nella classifica regionale, caratterizzata da sottosviluppo. Complessivamente i nostri paesi, con qualche eccezione, presentavano valori statistici piuttosto bassi, anche se non i più bassi in termini assoluti della regione, con riferimento ad indicatori come reddito pro-capite, a prodotto interno lordo.  E appunto per questo, il basso Salento era una terra a forte emigrazioni. Dagli anni cinquanta persisteva un flusso continuo verso il Nord Italia e verso l’Europa del Nord. Ma sarà proprio questa emigrazione a determinare una crescita economica che ridonderà anche nei processi sociali e culturali. Per certi aspetti la situazione presenta caratteristiche analoghe anche oggi vista l’attuale situazione e tendenza di un flusso migratorio dei giovani, particolarmente se laureati, verso zone d’Italia e d’Europa che offrono maggiori e migliori possibilità di lavoro. Sarebbe opportuno verificare con dati statistici aggiornati l’esatta situazione della popolazione del Capo di oggi. E a tal fine una riproposizione dell’indagine di don Salvatore potrebbe essere utile per uscire fuori dalle ripetizioni dei luoghi comuni e degli slogan pastorali per attingere elementi validi per una pastorale realistica e concreta.

Dalla rilevazione e dalla comparazione statistica di quegli anni, il ricercatore rilevò sì un livello comparativamente più basso e depresso rispetto ad altre zone della Puglia e ancor più della nazione, ma evidenziò elementi che presentavano un moderato dinamismo e tendenze di cambiamento che si sono poi effettivamente verificate e avverate negli anni successivi fino ad oggi.

Annota don Salvatore a conclusione di questa rilevazione sul versante dell’economia: «Dalla considerazione sui vari aspetti possiamo rilevare che la popolazione ugentina (diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca) è in fase di trasformazione. Pur non potendo precisare modalità e tempi, non sfugge alla comune osservazione il notevole sviluppo urbanistico dei comuni, l’incremento del traffico automobilistico, la diffusione dei confort domestici: ossia, il benessere si diffonde anche in questo estremo Salento. Però va rilevato che tale trasformazione è in ritardo nei confronti dell’evoluzione regionale».  E tra i giovani residenti in quel periodo si viene a constatare il cambiamento dei lavori esercitati rispetto alla precedente generazione. Si passa dal prevalere dell’attività agricola a quella più prettamente industriale e dei servizi. È un cambiamento che si radicalizzerà negli anni successivi, anche se con ritmi inferiori rispetto ad altri territori.

II. SITUAZIONE POLITICA

È importante conoscere anche la situazione politica, perché fa comprendere come si muove la popolazione e in che direzione, in merito all’organizzazione sociale, alla programmazione economica, al desiderio e alla volontà nel costruire una società futura. La qual cosa non è irrilevante per chi svolge il compito di operatore pastorale.

Il ricercatore si sofferma a guardare i risultati elettorali di quegli anni e constata un calo dei votanti rispetto ad un aumento degli elettori, a causa dell’assenza degli emigranti. Utilizza come indicatori i risultati elettorali di quegli anni e gli iscritti ai vari partiti. Il dato complessivo mette in evidenza una tendenza conservatrice, con una netta prevalenza di una collocazione al centro (DC) e poi a destra (MSI), anche se proprio in quegli anni, in concomitanza con la consistente emigrazione, si osserva una tendenza verso scelte più progressiste significate dall’incremento dei partiti di sinistra particolarmente del Partito Socialista e, in alcuni paesi, del Partito Comunista. Questo cartello risulta sempre minoritario rispetto al cartello di centro-destra, ma in netta ripresa.  Secondo il ricercatore il collocamento dell’elettorale ancora nel centro destra evidenzia più che altro oltre un ancoraggio forte alla tradizione cattolica ed anche una tendenza all’adeguamento al sistema governativo in atto con una predisposizione al clientelismo. L’autore ritiene che gli indicatori utilizzati sono utili ma tali da non poter cogliere in profondità una realtà che si presentava molto complessa e, come in campo economico, in divenire. Costata una tendenza, al di là dei dati assoluti, verso una mentalità più progressista del sistema politico locale pur non vantando ancora acquisizioni quantitative rilevanti.  Il nucleo più dinamico in una società legata ancora alla conservazione e alla tradizione è costituito dai giovani sempre più acculturati e dai migranti dotati da una maggiore stabilità economica. Annota nelle conclusioni: «La trasformazione socio-economica in atto, la maggiore circolazione delle idee, la diffusione del benessere sono le circostanze nelle quali si inquadra e nelle quali trova spiegazione la crescente simpatia per il Socialismo. Essa esprime, particolarmente nell’elettorato giovane rifiuto del passato, della divisione e ella discriminazione sociale, delle preclusioni al benessere e alla cultura in cui le masse popolari sono state nel passato; esprime anche il desiderio di un ritorno più accelerato di riforme delle strutture per il conseguimento della giustizia, della piena occupazione, del benessere» (cfr. p. 16).

L’auspicio dell’autore, che è comunque anche la tendenza del processo, è che si affermi di più il pluralismo e venga superato il conformismo in politica come in altri settori, ci sia «un confronto delle idee più ampio e vivace, il tramonto della mentalità feudale», una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica della città e della nazione.  A questa crescita è chiamata a contribuire anche l’azione pastorale creando sinergie fruttuose tra campo sociale e religioso, tra vita e fede, senza commistioni teocratiche da una parte e senza scelte secolariste dall’altra.

III. ORIENTAMENTI CULTURALI

Questo settore e ambito dell’indagine si avvale di diversi indicatori, il primo dei quali è il tasso e la qualità di scolarizzazione. Lo sguardo anche qui è rivolto al futuro. Si cerca cioè di cogliere non tanto lo status del presente, ma la tendenza, di evidenziare quegli elementi che prefigurano una società più acculturata e sviluppata.

Nel decennio 1961/1971 c’è stato un aumento notevole del tasso di scolarizzazione, più del doppio.  La quasi totalità degli alunni frequenta la scuola dell’obbligo, scuola elementare e media, mentre gran parte dei bambini di scuola materna frequenta scuole private, quasi tutte religiose, almeno fino al 1969 quando in Italia venne introdotta la scuola materna statale, la quale anche se non obbligatoria, verrà di anno in anno sempre più frequentata essendo gratuita.

Nelle scuole superiori la tendenza è di una crescita progressiva più nel settore professionale e tecnico industriale che in quello umanistico-scientifico, stante la necessità di lavoro nei settori dell’industria e dell’artigianato più che un proseguimento negli studi universitari. Ma anche questi sono in aumento. La popolazione universitaria nel decennio di riferimento dell’indagine è notevolmente aumentata con una prevalenza ancora dei maschi rispetto alle femmine e una prevalenza nel settore delle facoltà umanistiche, rispettando in questo caso la tradizione locale, e poi in quelle tecnico-scientifico. All’ultimo posto sono collocate le scelte nelle facoltà giuridiche, sebbene queste rappresentassero nel passato il settore privilegiato della classe dirigente. La scolarizzazione del secondo ciclo determina una mobilità fisica interna al territorio diocesano, quella universitaria invece è caratterizzata da una mobilità diffusa nei vari atenei d’Italia con una prevalenza, particolarmente per le universitarie, per quello di Lecce.

Il notevole incremento della scolarizzazione, secondo l’autore, pone una questione seria e improcrastinabile per la pastorale giovanile. Maggiore istruzione significherà maggiore cultura e autonomia, svilupperà una maggiore personalizzazione dei soggetti e la futura società della diocesi sarà attratta del processo di secolarizzazione che andava sempre più affermandosi in quegli anni. È in atto, descrive l’autore, come già rilevato in altri campi e settori, una “trasformazione sociale dell’ambiente diocesano”, per questo sollecita una pastorale di settore e di accompagnamento della gioventù che avrebbe caratterizzato la società del futuro, che è poi la società che oggi stiamo tutti vivendo, perché quella gioventù degli anni settanta è la società degli adulti di oggi. Il “Piano Quadro”, di cui accennerò alla fine e che scaturì come proposta pastorale dagli elementi conoscitivi evidenziati dall’indagine, ha cercato di impostare un percorso che solo in parte, a mio parere, ha dato i frutti che si speravano. Occorrerebbe oggi verificare, se mai con nuova indagine condotta sullo schema di quella precedente, gli esiti degli impegni pastorali realizzati.

Altri elementi di conoscenza degli orientamenti culturali indagati dall’Indagine sono stati la diffusione delle biblioteche e della stampa. È sorprendente come in quegli anni le biblioteche e i centri di lettura erano molto diffusi, forse più di oggi. In quasi tutti i paesi della diocesi c’era una biblioteca o /e un centro di lettura. Questo poteva offrire, come auspicava l’autore, un’occasione propizia per incontri e scambi culturali che raramente però si sono avuti nei decenni successivi.

«Allo scopo di individuare come la cultura viene coltivata al difuori degli ambienti scolastici e quali interessi sono presenti, si è svolta un’indagine sulla stampa», dichiara Don Salvatore. Quella quotidiana abbastanza presente nelle edicole era più che altro di carattere moderato-conservatore, rispettosa della tradizione cristiana    La stampa periodica di tipo popolare era diffusa, particolarmente quella di evasione, i periodici settimanali, quindicinali e mensili erano diffusi nella classe media. In questa gli argomenti religiosi ed ecclesiali erano trattati con superficialità, qualunquismo e relativismo etico. Consistente anche la presenza sul territorio di testate erotiche. Di scarso rilevo quella di studio e ricerca. La stampa cattolica era rappresentata da una diffusione rilevante del periodico Famiglia Cristiana. Quasi assente in quegli anni la stampa parrocchiale, che però incomincerà a diffondersi nei decenni successivi.                                                                                             

IV – SITUAZIONE DEL CLERO, DEI RELIGIOSI E DEI LAICI ORGANIZZATI

L’indagine socio-religiosa era vista come strumento della e per la programmazione pastorale, perciò importante era ritenuta l’osservazione e la disamina della situazione del clero così come si poneva nei riguardi dell’apostolato, e di altri soggetti ecclesiali come i religiosi e i laici più impegnati. In quel periodo il clero era costituito da preti poco meno della metà anziani e con una percentuale un po’ più alta, da sacerdoti giovani. Si constatava pero uno squilibrio nelle dotazioni parrocchiali. Si utilizzava il criterio beneficiale e non quello pastorale per il collocamento dei preti pastori, designati cioè alla cura di una parrocchia.  Le parrocchie piccole avevano un numero di preti uguale a quelle delle parrocchie medie e a quelle grandi come numero di battezzati con un evidente disparità di energie e di esiti pastorali. L’autore auspicava che si potesse creare un sistema di assegnazione ministeriale più consono al dovere di servire pastoralmente i fedeli. Ma la struttura parrocchiale, vediamo, non è cambiata neppure ora in cui si va parlando da anni di unità pastorali più che di parrocchie intese nel senso storico e tradizionale. Il clero aveva una formazione di base omogenea e soddisfacente in quanto la maggior parte di loro proveniva dl seminario maggiore di Molfetta. Ma ancora erano pochi quelli che seguivano studi di specializzazione teologica, morale, esegetica e pastorale. Le vocazioni si mantenevano in quel periodo in numero costante rispetto ai decenni precidenti post bellici, anche se con riferimento al dato nazionale si registrava una perseveranza minore dei seminaristi. La disponibilità delle famiglie a dare il proprio assenzo ad una eventuale vocazione dei propri figli e figlie si manteneva abbastanza alto anche se con una prevalenza del coniuge femminile rispetto a quello maschile e degli anziani rispetto ai giovani.

I religiosi presenti in alcuni conventi della diocesi non erano di numero rilevante. Ad alcuni era affidata una parrocchia, come a Leuca, Arigliano e Gagliano e gli altri ad istituti educativi. Oltre alla cura delle anime, il loro ministero consisteva nella predicazione e nell’amministrare il sacramento della penitenza. Molto più numerose erano le religiose che si dedicavano all’educazione dei bambini, all’attività catechistica presso le parrocchie e alla cura dei malati.

I laici organizzati in quel periodo facevano riferimento più che altro all’Azione Cattolica e alle varie Confraternite. Negli anni del collateralismo si è verificato un rilevante numero di associati nell’azione cattolica, ma verso la fine degli anni sessanta, poco prima della data dell’indagine, in concomitanza con l riforma dello Statuto dell’A.C. voluta da Paolo VI e attuata da Bachelet, che volevano un’azione dell’associazione laicale più conforme ai dettati conciliari della Lumen Gentiun e di Apostolicam Actuositatem, cioè più impegnata a fermentare la società  secondo i dettami evangelici che come supporto a opzioni temporalistiche di tipo politico anche se ispirate al cristianesimo, il numero degli iscritti andò scemando, particolarmente nel settore adulti.

Costante e cospicuo era invece il numero dei partecipanti alle Confraternite, le quale rappresentavano un potenziale di apostolato nella parrocchia, ma di fatto avevano e avranno connotazioni di tipo cultuale e devozionale. In quel periodo ogni parrocchia aveva la su confraternita e in alcune se ne contavano più di una. Il ricercatore suggeriva a proposito delle confraternite; «Sembra utile richiamare l’attenzione dei dirigenti della pastorale diocesana su di esse, perché le riteniamo come ambienti suscettibili di vitalizzazione cristiana se troveranno maggior posto in una più diretta ed intensa azione pastorale parrocchiale, allo scopo di curare genitori, lavoratori e categoria maschile in genere, altrimenti non raggiungibili» (Cfr. pag.32). Nel campo femminile notevole è invece la presenza di iscritti nell’Apostolato della Preghiera, i quali «contribuiscono notevolmente alla frequente e fedele pratica sacramentaria e alla silenziosa e profonda animazione religiosa della parrocchia».

V – SULLA VITA CRISTIANA

Il quinto capitolo dell’indagine è il cuore della ricerca effettuata perché esamina e verifica l’effettiva vita religiosa della popolazione della diocesi sul piano della fede creduta e di quella praticata nei vari campi della vita sociale più che in quella più specifica di pratica religiosa e liturgica. Così motiva il metodo di indagine utilizzato: «L’indagine sulla situazione religiosa della popolazione della diocesi è stata impostata in maniera da ricercare prevalentemente quale sia la mentalità religiosa dei fedeli, quali siano i contenuti e le motivazioni di alcuni atteggiamenti. Si è preferito questa impostazione, anziché quella orientata all’indagine sulla pratica sacramentaria e sulla frequenza alla S. Messa domenicale o sul compimento di determinati doveri religiosi, poiché i risultati ci avrebbero fornito indicazioni superficiali sulla mentalità e perciò meno utili ai fini di una programmazione pastorale» (pag. 33).

L’inchiesta è stata realizzata tra cinque categorie di persone: universitari, giovani lavoratori al di sopra dei 18 anni, professionisti, genitori e anziani. Per effettuare l’indagine sono stati scelti i paesi con maggiore popolazione e con un maggiore grado di evoluzione culturale e sociale. L’approccio non è stato scientifico, ma i risultati con le risposte pari a circa il 75 % dei questionari distribuiti, ha fornito risultanze molto vicine a quelle delle ricerche scientifiche svolte da sociologi a livello nazionale. Quindi il dato che emerge è stato più che sufficiente e adeguato alla realtà con riferimento ai seguenti indicatori. Con riferimento alla a mentalità di fede circa il 65% si dichiara credente, ma prevalente è risultato l’atteggiamento tradizionale, non mancano gli indecisi, i dubbiosi, gli scettici, i superficiali e gli atei, quest’ultimi particolarmente nelle categorie dei professionisti e dei giovani. Un indicatore significativo della ricerca è stato la fede in Gesù Cristo. La percentuale dei credenti in Cristo supera lievemente quella dei credenti in generale. Prevale in alcuni l’elemento socio-culturale di stato di cristianità. «Si può concludere che la situazione di cristiani in senso culturale o sociologico è presente tra genitori, giovani lavoratori e professionisti, ossia a categorie culturalmente meno evolute e categorie che nel tempo ripiegano su posizioni tradizionaliste (i professionisti e in un certo modo gli anziani), mentre l’atteggiamento personale di “cristiani” sembra accentuato tra gli universitari» (pag. 39).

Sul concetto di Chiesa si registrava una specie di frattura, che si andrà poi sempre più approfondendo con il passare degli anni, tra vita cultuale e vita comunitaria. L’indagine andava a verificare se il fedele ugentino avvertiva la dimensione comunitaria della sua fede. Ed è risultato che a gran parte la dimensione comunitaria dell’appartenere alla Chiesa e di considerarla nella sua valenza di comunità, sfuggiva al fedele ugentino. Pertanto l’impegno pastorale, come sarà poi prefigurato nel “Piano Quadro”, doveva cercare di superare la prospettiva devozionale e individualistica evidenziando l’aspetto comunitario ed ecclesiale.

Un altro indicatore, sempre con riferimento alla verifica della mentalità di fede, che fu utilizzato nell’indagine, fu la lettura del vangelo. Le domande riguardavano sia la lettura materiale del Vangelo, sia la conoscenza e la trasmissione dei contenuti ai figli. Solo un quinto degli intervistati aveva dichiarato di aver letto il vangelo, la maggioranza lo ha sentito solo leggere o ha letto qualche pagina. Poco meno della metà ha raccontato episodi del Vangelo ai propri figli; il resto solo qualche volta o mai. Perciò sottolineava il rilevatore, è necessario «che in tutti i tipi e gradi di istruzione religiosa si portino gli alunni alla conoscenza diretta dei testi sacri, e che la parola di Dio diventi il cibo quotidiano della vita culturale e religiosa dalla parrocchia» (cfr. pag. 41).

L’incidenza della fede nella vita è stato l’altro campo di ricerca. Intorno ad esso è stata sviluppata un’indagine induttiva, con riferimento alla situazione esistenziale di ogni categoria, le cui risultanze vanno lette e interpretate attraverso le tabelle statistiche che è il materiale su cui si regge tutta l’indagine:

«Dall’insieme delle risposte – scrive l’autore – possiamo stabilire che le verità cristiane ispirano la moralità della maggioranza delle singole categorie, quindi la moralità prevalente delle popolazioni nostrane non è priva di motivazioni valide e religiose. Tuttavia non va taciuto che una parte non trascurabile delle categorie manifesta posizioni insufficienti o lacunose dal punto di vista cristiano. Confrontando la situazione circa la fede con quella relativa al senso morale, si nota una rilevante incoerenza, soprattutto tra i giovani lavoratori e i genitori, che confermerebbe, in buona parte di loro, il tradizionalismo religioso già noto, un mancato sviluppo della coscienza morale e della sensibilità circa i valori eminentemente cristiani» (Indagine…cfr. pag. 44).

Altri campi di indagine, sempre in riferimento al rapporto tra vita e fede, sono stati: la pratica dei sacramenti, in cui fu rilevato che solo il 40 % li praticava  regolarmente; è stato  rilevato anche il tipo di prete desiderato dai cristiani della diocesi e, specificatamente per ogni categoria del gruppo degli intervistati, genitori, giovani lavoratori  e universitari, è stata sviluppata un’ampia indagine  sullo vita cristiana di ognuno, i cui risultati vanno letti  un modo analitico  nel testo, per cercare di prefigurare  che cosa e quanto è cambiato  nei decenni successivi fino ai nostri giorni in modo intuitivo o, sarebbe auspicabile, con una riedizione aggiornata dell’inchiesta.

Con riferimento alla tematica di questo capitolo non manca un paragrafo specifico dedicato alla rilevazione del dato relativo all’attività confessionale acattolica. Questo fenomeno di una predicazione di confessioni non cattoliche nella popolazione ugentina, per lo più Testimoni di Geova e Chiesa Cristiana Evangelica, andò sempre più aumentando. Gli operatori di questa diffusione sono stati in particolare gli emigranti che rientravano importando atteggiamenti religiosi che loro avevano acquisito nelle nazioni di lavoro, particolarmente Svizzera e Germania. Gli adepti non erano numerosi e si concentravano solo in alcune località della diocesi, ma suscitarono atteggiamenti di simpatia nella popolazione anche se non di adesione esplicita. Annota l’autore:

«È stato necessario tener presente questo fatto nella nostra indagine sia perché in questi ultimi anni tale diffusione di idee si è andata infittendo secondo un programma organico, sia perché tra gli emigrati si trovano nell’occasione sempre più frequente di incontrare attivisti, ricevere stampe, partecipare a conversazioni durante la permanenza all’estero. I nostri fedeli impreparati al confronto e alla verifica delle loro affermazioni religiose, si trovano certamente se non di fronte ad un pericolo, almeno di fronte ad una tentazione per la loro fede» (Indagine…cfr. pag. 47).

CONCLUSIONI

Nelle conclusioni Don Salvatore Palese ribadisce che l’inchiesta così come è stata realizzata rappresenta un primo tentativo per cercare di delineare la situazione socio-religiosa della diocesi.

Comunque si sono ricavati fatti e fenomeni significativi per cercare di ristrutturare l’azione pastorale: si aveva di fronte in quegli anni una società in un periodo di accelerata trasformazione, un notevole processo migratorio in atto, un più facile accesso agli studi, una maggiore possibilità di lavoro e un più vario pluralismo politico. Tutto ciò delinea «un popolo non più sedentario e agricolo, ma aperto e intraprendente, arricchito da esperienze fatte in ambienti del tutto diversi, forse meno individualista e più libero, perché consapevole delle proprie possibilità» (cfr. pag.63).

Pertanto, con riferimento a questa situazione di cambiamento, la religiosità tradizionale delle popolazioni ugentine  si dimostrava già allora in crisi, nel senso che entrava in una situazione di non cristianità, la società si andava sempre più secolarizzando e la fede richiedeva nuove motivazioni e orizzonti. Le espressioni sacrali della civiltà agricola stavano per iniziare ad essere inadeguate. I cristiani preferivano ancora avere atteggiamenti di una fede tradizionale, ma la società così come è stata rilevata dal concilio e indagata nell’indagine effettuata presentava esigenze e richieste di una fede più matura e convinta da parte da chi la esercitava, in cui l’aspetto esistenziale doveva diventare un prodotto di una convinzione e non di mero conformismo religioso. Per questo era necessario un cambiamento, occorreva operare delle scelte pastorali fondamentali riguardanti la liturgia, la catechesi, in particolare quella degli adulti e organizzativamente e operativamente presentare una chiesa che evangelizza prima ancora di sacramentalizzare  con preti evangelizzatori e laici con coscienza ecclesiale , «che affermino il primato della fede sul culto , della persona sulle organizzazioni, la prevalenza del diritto della Parola di Dio sulle tradizioni, la priorità del piano di Dio sulle iniziative pur generose  degli uomini.. Ed è questo il lavoro di riflessione che spetta al Consiglio Pastorale Diocesano; riflessione sulla quale dovrebbe attendere con calma il più vasto numero possibile di pastori e di laici generosi» (cfr. p. 65).

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La risposta alle indicazioni e alle stimolazioni dell’inchiesta non si fecero attendere. Il Consiglio Pastorale che aveva promosso l’indagine si trovò di fronte un testo denso di dati che provocavano ad una presa di coscienza e ad interventi pastorali non più sporadici e occasionali, ma pianificati nel tempo e tendenti a mantenere il passo con il dinamismo della comunità degli uomini.

Infatti venne elaborato da un Commissione del Consiglio il primo piano pastorale della diocesi, denominato “Proposta  Quadro per la ripresa pastorale della diocesi”, il cui testo inizia con le stesse parole di conclusione dell’indagine: «Si è preso atto che la nostra zona sta vivendo una fase delicatissima di radicale trasformazione che, particolarmente accelerata dal fenomeno migratorio e della accresciuta spinta culturale, non solo fa evolvere le condizioni sociali, economiche e politiche della nostra gente, ma determina anche un profondo mutamento della sensibilità  e delle sue istanze religiose» (cfr. Proposta QuadroBollettino Diocesano, XXXVIII, pag. 49).

La Proposta riprende le scelte indicate nell’Indagine, sulla base di quanto emerso nell’analisi. Riprendendo le stesse parole dell’indagine annota i tre elementi caratterizzanti in essa segnalati. Ripete quanto dichiarato nella ricerca a proposito della situazione religiosa del popolo ugentino: «La religiosità del nostro popolo si esprime in atteggiamenti più cultuali che profetici, più devozionali che liturgici, più tradizionali che innervati dall’ascolto e dalla conoscenza della Parola di Dio» (cfr. o.c. p. 50). Il piano rileva poi lo stato di ingiustizia sociale caratterizzato da una notevole emigrazione, emarginazione e clientelismo. Evidenzia, come risituato dall’indagine, un accentuato individualismo e uno scarso senso della comunione sociale e della solidarietà civile. Di fronte a tale situazione occorreva una pastorale rinnovata particolarmente nell’impegno catechistico, in quello liturgico e nell’impegno caritativo.  Si prese coscienza, anche con riferimento alle riflessioni e indicazioni del concilio Vaticano II (Lumen GentiumGaudium et SpesApostolicam AcquistiatemAd Gentes), che tale impegno non poteva essere valido ed efficace senza l’apporto specifico dei laici, oltre che dei preti e dei religiosi.

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L’indagine del 1972 e il piano pastorale che venne poi elaborato rimangono nella storia della recezione del Vaticano II nell’estremo Salento.

Di questa recezione fanno parte pure le indagini del 1978 sulla pietà popolare nei santuari della diocesi, a cura di Vito Orlando (Feste, devozione, religiosità. Ricerca socio-religiosa in alcuni santuari del Salento; presentazione di Michele Mincuzzi, Congedo, Galatina 1981. Religiosità, festività nell’area salentina in Il Basso Salento. Ricerche di Storia sociale e religiosa, a cura di Salvatore Palese, Congedo, Galatina 1982, pp.11-48.)

Il mio personale auspicio è che questo lavoro venga riscoperto, prelevato dagli scaffali polverosi degli archivi, riportato in una veste tipografica adeguata e messo a disposizione come paradigma di una metodologia e di un processo che va riscoperto e ancor più utilizzato, con un’altra indagine, se mai condotta con maggiore scientificità, come desiderava  il ricercatore di allora, che possa essere di ausilio alla programmazione pastorale odierna, che spesso viene individuata e realizzata con criteri  di semplice intuizione e di mera opinione.