Ancora nessun commento

Servi di Cristo, della Chiesa e degli uomini

Omelia nella Messa dell’Ordinazione diaconale di Vito Piscopiello e Giacomo Bramato
Chiesa sant’Antonio – Tricase, 26 dicembre 2022

Cari Vito e Giacomo,

l’ordinazione diaconale vi costituisce servi come Gesù. Vi sia compagno di viaggio santo Stefano, diacono e martire del quale celebriamo oggi la memoria. Egli suggellò con l’effusione del sangue una vita spesa nella coraggiosa testimonianza della fede, nella saggia predicazione della parola, nel servizio dei poveri.

Servo, titolo di rivelazione per Gesù e di dignità per noi 

L’ordinazione vi conforma a Gesù, il Servo di Jahvè (cfr. Is 41, 8-9; 42, 19; 44, 21; 48, 20)[1]. Per Gesù, servo è un titolo di rivelazione della sua vera identità. Egli «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2,7). Il testo latino è ancora più radicale: «Exinanivit (annientò) semetipsum», annientò se stesso. «Ekenosen» è l’espressione nella lingua greca. Diventare servo per Gesù è vivere una delle dimensioni della sua kenosi. Potremmo anche tradurre: «Umiliò se stesso». Cristo discende dalla vertiginosa condizione di Dio fino ad abbassarsi “come uomo tra gli uomini”, inabissandosi nel fondo più profondo della nostra voragine umana, fino ad assumere l’umiliante condizione di schiavo. 

Abbiamo così l’immagine di un Dio capovolto. All’inizio del secolo scorso, qualcuno ha accusato il cristianesimo di aver avvelenato l’umanità con il virus dell’umiltà (Nietzsche), ma poi è stata la stessa filosofia a dirci che l’esistenza umana è autentica quando riconosce la propria radicale “nullità” (Heidegger). Per non spaventarci, non incutere timore e non schiacciarci con la sua Maestà, Cristo non ostenta la sua grandezza, ma assume la forma del servo, morendo per tutti (cfr. 2Cor 5,14): a motivo del peccato di tutti, al posto di tutti, a vantaggio di tutti. 

Sceglie di inginocchiarsi davanti a noi, di farsi nostro servo, pur di farci entrare in una esistenza nuova, divina e non solo umana. La sua umiliazione arriva al punto da confondersi con noi peccatori. E, pur essendo senza peccato (cfr. Eb 4,15), Dio lo tratta «da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21). Dio che si prostra davanti all’uomo, questo è il titolo che rivela l’identità di Gesù. L’ordine delle cose è rovesciato, creando una rivoluzione nel pensiero e nella comprensione della realtà!

Per noi, servo è titolo di merito e di dignità. Lo riceviamo per grazia lo diventiamo realmente a compimento della nostra vita e della nostra missione. Si viene costituiti servi a immagine di Cristo, e lo si diventa calcando le sue orme durante tutta la vita, per ricevere da lui come onorificenza, alla fine dell’esistenza, la corona del servizio. San Gregorio di Nissa conclude la sua opera Vita di Mosè affermando che Mosè «fu ritenuto degno, per le sue azioni, di essere chiamato servo di Dio, tito­lo di grandissimo onore […]. Da ciò dobbiamo apprendere a considerare co­me unico fine della vita quello di meritare, attra­verso le nostre opere, il titolo di servi di Dio».

Cari Vito e Giacomo, considerate la vostra nuova dignità che riceverete con l’ordinazione diaconale in un triplice significato: in riferimento alla relazione personale che dovete instaurare con Cristo; in vista del compito ecclesiale che sarete chiamati a svolgere; in ordine al servizio agli uomini a quali sarete inviati.

Servi di Cristo

Ciò che conta è comprendere che essere servi non vuol dire, innanzitutto, svolgere un compito, ma coltivare la relazione personale con Cristo. Il modello è l’apostolo Paolo. Egli sente di essere afferrato, imprigionato, totalmente trasformato da lui. Dovrete pertanto, lasciarvi conquistare, conformare e abitare da Cristo. La vostra vita sia un «conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil3,10-11). L’esistenza si trasforma così in una corsa; non la corsa frenetica di chi scappa e neanche la corsa folle di chi cerca emozioni forti, ma la corsa di chi si sente amato in modo gratuito e personale da Gesù e desidera, con tutto se stesso, corrispondere a questo amore (cfr. 1Cor 9, 24.26; Fil 3,14). Il vostro ministero diaconale sia come quello del servo obbediente, umile e appassionato cioè non come un sottoposto, ma come chi si sente unito e dipendente dal padrone.

Servi della Chiesa

La relazione con Cristo, abilita a compiere un servizio a favore della Chiesa. In questo caso, il modello è l’architriclinio, il mastro di tavola di cui parla il Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 2,9-10). Egli ha il compito di organizzare ogni aspetto della festa nuziale per sostenere la gioia degli sposi (Cristo e la Chiesa) e quella di tutti gli inviati. Tocca a lui fare l’elogio degli sposi, magnificare la prosperità dei festeggiati e, da esperto, degustare le vivande che vengono imbandite. È giusto che sia lui ad assaggiare l’acqua e a decidere di servire il vino. 

Il compito di guida nella Chiesa deve essere eseguito come quello del maestro di tavola. Non è un ruolo da poco, ma un dono particolare. Tocca all’autorità nella Chiesa discernere e valutare il vino buono. Essere come l’architriclinio significa avere il dono del gusto. Nella sua qualità di espertissimo enologo, assaggiatore rinomato e degustatore finissimo tocca a lui aiutare il popolo di Dio a gustare il cibo eucaristico e a comprendere le verità contenute nella sacra Scrittura. Avendone fatto esperienza personale, il diacono si mette a servizio dei suoi fratelli nella fede affinché avvertano la dolcezza del pane della Parola e sentano la fragranza del pane eucaristico. 

Vostro compito è far comprendere che se Cristo è veramente, personalmente e sostanzialmente presente nell’Eucaristia lo è anche nella Parola di Dio. Infatti, «tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento»[2]. Inoltre, Il vostro servizio di edificazione della Chiesa richiede che sappiate far fruttificare carismi e ministeri, valutiate con saggezza il dono del discernimento degli spiriti, a sappiate accompagnare le particolari vocazioni di speciale consacrazione. 

In quanto ministri fedeli a Cristo, siete chiamati ad esercitiate il vostro ministero nella Chiesa in modo fidato e affidabile, sviluppando la capacità di tessere i fili della comunione ecclesiale, di intrecciare in modo sapiente le relazioni interpersonali, di promuovere la collaborazione con gli altri componenti della comunità ecclesiale.

Servi degli uomini 

Il compito del servizio diaconale, vissuto in comunione con il presbitero e il vescovo, non si esaurisce nella relazione con Cristo e nella guida della comunità cristiana. Come il buon samaritano, dovete anche prendervi cura degli uomini che incontrate nel vostro cammino. La carità non ha confini, non si chiude in uno stretto recinto, non abita in una casa con le porte e le finestre chiuse. La carità ama i grandi spazi, spalanca vasti orizzonti, si misura con i molteplici problemi che affliggono i poveri. Dovete pertanto avere compassione per tutte le forme di fragilità, essere generosi nell’offrire il proprio tempo e le proprie energie per lenire le sofferenze e fasciare le ferite, non accentrare nella propria persona le responsabilità, ma riconoscere i carismi degli altri e affidare a loro con fiducia alcune mansioni.  

Insieme alla nostra Chiesa diocesana, vi accompagno con la preghiera. La vostra vita diaconale sia confessione di dolce amicizia con Gesù, il Figlio diletto del Padre, nell’unità dello Spirito Santo. Sia segno della bellezza della comunione fraterna, del servizio di carità, dell’epifania di amore per il mondo. E quando, al termine della vostra esistenza terrena, incontrerete l’infinita bellezza della Trinità possiate essere trasfigurati nella luce e nella gioia della vita divina per godere per sempre del Signore onnipotente e misericordioso che è il bene, il sommo bene, la pienezza del bene. Amen.


[1] G. Bourbonnais, Cristo Servo di Javhè, Elledici, Torino-Leumann, 1970.

[2] Ugo di san Vittore, De arca Noe, 2, 8.