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Rapporto tra Storia locale e Storia generale

RAPPORTO TRA STORIA LOCALE, REGIONALE E GENERALE*

*Estratto da Giuseppe Poli, Tra Storia locale, Storia «regionale» e Storia generale, in “Risorgimento e Mezzogiorno”, A.  X, n. 1-2, Dicembre 1999, pp. 35-54.

A cura del Prof. Ercolino Morciano dell’Archivio Storico Diocesano di Ugento (LE)            Mentre in altre realtà come in Gran Bretagna, dove la local history ha una dignità scientifica ormai consolidata, in Italia, nonostante alcuni autorevoli interventi, la storia locale rimane in uno stato di minorità. Il limite che è di frequente riscontrato, anche nelle pubblicazioni più impegnative derivanti da ricerche d’Archivio, riguarda la dimensione ridotta, “la piccola scala”, i ristretti ambiti territoriali dei quali si studiano aspetti e problematiche particolari, senza la pretesa di giungere a risultati di respiro più ampio. Tale approccio, tendente a salvaguardare più l’analisi che la sintesi, consente però di ampliare le conoscenze con esiti che possono andare dalla conferma, all’ampliamento e addirittura al ribaltamento dei precedenti risultati, se il campione si amplia e aumenta il numero delle verifiche.

Le ricerche di “piccola scala” si prestano bene riguardo agli studi di storia medievale e moderna che hanno per oggetto ambiti geografici e temporali ristretti; le stesse contribuiscono in modo diretto all’approfondimento delle conoscenze attualmente disponibili che soffrono, su alcuni aspetti, di “estrema genericità”  e la cui documentazione superstite è “scarsa o poco omogenea”.

Tale limite affligge in modo particolare la storiografia ufficiale dell’Italia meridionale, dove spesso le interpretazioni generiche e stereotipate, dovute alla carenza di ricerche e alla rarefazione delle fonti scritte, specie riguardo al medioevo, porta a ritenere il Mezzogiorno un contesto omogeneo e indifferenziato e al consolidarsi della “ripetizione acritica di alcuni luoghi comuni”.

Risulta evidente  l’utilità dell’approccio locale allo studio della  storia perché viene ampliato il patrimonio delle conoscenze, attraverso le quali si contribuisce a definire il quadro generale dei riferimenti.

Nella categoria di storia locale, che non è storia minore, rientrano pertanto   studi e ricerche afferenti ad un preciso ambito geografico, pur nella diversità degli argomenti trattati. Nel medesimo ambito si collocano i lavori di microstoria: ovvero l’analisi di tutti gli aspetti che caratterizzano un contesto dalle dimensioni modeste, p.es. composte da 600-800 abitanti. All’etnostoria, o storia antropologica appartengono  specificamente le ricerche che “mirano a fornire una chiave di lettura e un’interpretazione delle norme che regolano le vicende e i comportamenti umani”.

Tra microstoria e storia locale, pur essendoci delle differenze d’impostazione,  esistono dei legami non trascurabili riguardanti le modalità  con cui, indagando piccole realtà, ci si rapporta ai temi della storia più ampia, arricchendola,  ai fini della contestualizzazione di carattere generale. I rischi cui è esposta la storia generale sono la genericità e a volte l’acriticità nel tramandare semplicemente posizioni già acquisite. La scelta peggiore è quella di trascurare o scartare risultati innovativi, raggiunti dalla storiografia locale, da parte degli addetti ai lavori, in genere  accademici, interessati a difendere posizioni consolidate. Storia generale e storia locale debbono invece rapportarsi in modo collaborativo attraverso “forme di reciproco riscontro, tali da rendere fungibile l’una con l’altra e viceversa” tenendo conto , come afferma Ruggiero Romano, che « è solo dal locale che taluni temi di “grande storia” possono assumere nuova luce». Occorre però tener fermo che la conferma o la modifica di posizioni acquisite non devono essere l’effetto dell’appartenenza ad un fronte ideologico o di una moda, ma si devono sempre basare sulla riflessione attenta di carte e documenti senza mai scadere nel feticismo verso di essi.

Affinché tra storia generale e storia locale vi sia un rapporto produttivo occorrono due parametri: il necessario collegamento tra locale e generale e la rappresentatività del campione considerato. Il primo, richiede che la ricerca a carattere locale sia inserita in un contesto problematico di ordine generale con echi a livello periferico. Il secondo, è legato alla possibilità che i risultati, per l’idoneità della campionatura considerata, siano sufficientemente rappresentativi di un determinato contesto.

La regione come categoria analitica nell’ambito della ricerca scientifica in generale, all’interno per es. di un’area vasta come il Mezzogiorno, è stata adoperata abbondantemente da geografi ed economisti; diversamente gli storici accademici italiani, a differenza  di quelli stranieri, hanno mostrato una certa difficoltà a misurarsi con problemi specifici di carattere storico a livello regionale o sub-regionale. Limite forse dovuto alla diversa evoluzione amministrativa del Sud Italia rispetto al Nord che, caratterizzato a partire dal Tre-Quattrocento dalla nascita degli stati regionali, andava sperimentando forme di maggiore autonomia locale. La “cornice amministrativa”, diventata un criterio ineludibile, ha nel tempo favorito per es. studi di approfondimento sul Piemonte dei Savoia, sulla Lombardia degli Spagnoli e poi degli Austriaci, sulla terraferma delle Repubbliche di Venezia e di Genova, sulla Toscana dei granduchi, in quanto vi era stata una coincidenza tra struttura statale e struttura socio-politica (agricoltura, commercio, industria, istruzione, trasporti…), non così per il Mezzogiorno dove, studiare separatamente p. es. l’agricoltura della Puglia o della Calabria, rimaneva una operazione poco valida sul piano della scientificità, in quanto prima che le regioni, coi loro precisi confini, venissero istituite, l’ambito regionale era una semplice “astrazione”  . La carenza di ricerche relative alle regioni meridionali è anche dovuta  alla posizione di Marco Minghetti, fatta propria e tramandata dalla storiografia ufficiale, che la parte continentale del regno napoletano dovesse costituire un’unica regione.

Anche se scarsi, non mancano tuttavia pubblicazioni di storiografia regionale i cui autori, sfuggendo allo schematismo tradizionale, hanno impostato i loro studi secondo il criterio delle attuali circoscrizioni amministrative: ad es. Giuseppe Galasso  Luigi Izzo  e Augusto Placanica per la Calabria; Franca Assante, Lorenzo Palumbo, Giuseppe Poli e Mario Spedicato per la Puglia; i volumi sulle Regioni nell’opera Storia d’Italia di Einaudi.

Nella Storia del Mezzogiorno , diretta da Giuseppe Galasso e Rosario Romeo, troviamo circoscrizioni territoriali più limitate che rimandano ai confini delle province storiche tradizionali. Il criterio dell’ulteriore “disarticolazione del quadro unitario del Mezzogiorno” può essere valido e produttivo a condizione, come afferma Galasso, di non trascurare  «il quadro generale di riferimento» e che «la diversità non può, anche storiograficamente, che vivere all’interno dell’unità».

Le più recenti ricerche di storiografia locale sembrano orientate verso il superamento della visione omogenea del Mezzogiorno, ereditata dalla tradizione e tendono, invece, a far emergere le specificità locali piuttosto che reiterare desueti luoghi comuni derivanti da categorie superate che impediscono la reale conoscenza storica del Mezzogiorno.

Una riflessione a parte attiene lo studio della storia economica per la complessità e la particolarità dei fenomeni indagati. Un interessante criterio, adoperato dalla storiografia internazionale, è quello di non far coincidere la regione amministrativa con la regione economica. I confini amministrativi sarebbero solo convenzionali e fuorvianti, basti considerare a riguardo il divario economico tra Nord e Sud Italia. Quando si vogliono stabilire campioni, acquisire e comparare dati, quantificare fenomeni nell’ambito economico-industriale gli ambiti regionali politici vengono messi da parte e si fa riferimento al triangolo industriale dell’Italia settentrionale e alla macroregione meridionale.

Tornando alla storiografia regionale o sub-regionale è importante, per la veridicità dell’analisi, l’individuazione di indicatori che, attraverso le connessioni dei problemi cui danno luogo, consentono di trovare  “le ragioni di fondo che giustificano l’articolazione della realtà meridionale e che costituisce l’obiettivo di queste note”. In tale ottica trovano spiegazione anche quegli aspetti che, pur sembrando appartenere ad altri ambiti, sono in realtà collegati alle strutture economiche presenti nella circoscrizione oggetto dell’indagine. Il riferimento p. es. è alla varietà dell’organizzazione ecclesiastica nel Meridione, alla diffusione delle comunità del clero regolare, alle manifestazioni d culto, alla costruzione di edifici, alla committenza artistica e ad ogni altro genere di ripercussioni in un segmento non secondario nella società meridionale di antico regime.

A conclusione si può affermare che “se il Mezzogiorno non è una realtà omogenea, riconducibile ad un’unica categoria interpretativa [si può] confermare  anche la possibilità di fare storia locale e «regionale», anche per contribuire ad una migliore conoscenza della realtà meridionale e sollecitare forme di più mirata e attenta considerazione intorno alla sua complessa organizzazione”.