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Promotori della bellezza nostra storia e della nostra terra 

Omelia nella Messa della dedicazione della chiesa Cattedrale
con la presenza degli operatori turistici
Chiesa Cattedrale, Ugento, 30 giugno 2023.

Cari fratelli e sorelle, 

e cari operatori turistici,

in questa liturgia facciamo memoria dei 280 anni della dedicazione di questa Cattedrale, ad opera del vescovo domenicano, mons. Arcangelo Maria Ciccarelli (1743- 30 giugno – 2023)[1]. La bellezza della liturgia risplende nella bellezza dello spazio architettonico. La Cattedrale, infatti, è quasi una «Bibbia di pietra» divenuta «casa comune» del popolo di Dio, dove la perfezione tecnica incontra la finalità educativa: statue, dipinti e portali sono destinati a suscitare emozioni, a respingere l’inclinazione al male e a praticare il bene. La Chiesa di pietra diventa così un luogo di incontro tra gli uomini desiderosi di onorare Dio

Cattedrale «Bibbia di pietra» divenuta «casa comune» del popolo di Dio

Dopo il restauro che ha coinvolto l’intero complesso, la Cattedrale si presenta in tutto il suo splendore. Un miracolo dell’arte si potrebbe definire il recupero e la valorizzazione architettonica, realizzati in modo esemplare tenendo conto della sua storia millenaria. Sono lavori fatti con intelligenza, perizia e amore, guidati dallo studio delle carte del passato, per rendere visibile l’Invisibile[2]. Il colpo d’occhio è magnifico. Se le pietre incastonate le une nelle altre lasciano trasparire la fascinosa bellezza della forma, la compagnia dei fedeli riuniti in un solo luogo manifesta lo splendore dell’unità della comunità cristiana. Diventiamo casa di Dio quando siamo «uniti insieme dalla carità»[3].

La liturgia, al di là delle apparenze, è profondamente sensibile rispetto alle vicende e alle trasformazioni ecclesiali e sociali. Salvo alcuni elementi essenziali ed immutabili, è anch’essa una realtà non definita una volta per tutte. Di conseguenza, anche l’edificio della chiesa, almeno per quanto riguarda la tradizione latina, si modifica nel corso dei secoli, come testimonia ampiamente la storia dell’arte occidentale. 

Il rito è il luogo rivelativo ed educativo della comunità credente. In esso, si realizza un sapiente equilibrio tra ciò che è già costruito e ciò che si deve costruire, tra ciò che è già composto e ciò che si deve comporre[4]. Quando la fede, celebrata nella liturgia, incontra l’arte, si crea una sintonia profonda, perché entrambe parlano di Dio. Si può così parlare di una perfetta circolarità: il cristiano fa la liturgia e la liturgia fa il cristiano.

Tra assemblea celebrante ed edificio materiale, nel quale avviene la celebrazione, sussiste un legame profondo. La celebrazione della liturgia cattolica è tutt’altro che indifferente all’architettura e, viceversa, l’architettura di una chiesa non lascia indifferente la liturgia che vi si celebra. Tale legame non è dato una volta per tutte, ma muta nel corso della storia. L’architettura, con la sua strutturazione di spazi e di volumi, può diventare strumento di comunione e facilitare la preghiera e la celebrazione. 

Nel rispetto della propria tradizione, che vede negli edifici di culto i luoghi privilegiati per l’incontro sacramentale con Dio, la Chiesa intende evitare «sia di dissiparne i tesori sia di acconsentire a relegarli al rango di oggetti da museo: una chiesa è un luogo vivo per uomini vivi»[5]. L’assemblea celebrante, manifestando nella sua conformazione e nei suoi gesti il volto della Chiesa, è una realtà eminentemente viva, dinamica, “storica”, in continua, anche se lenta, trasformazione.  In tal modo, è la stessa assemblea celebrante a “generare” e “plasmare” l’architettura della chiesa.

I molteplici linguaggi ai quali la liturgia ricorre – parola, silenzio, gesto, movimento, musica, canto – trovano nello spazio liturgico il luogo della loro globale espressione. Da parte sua, lo spazio contribuisce con il suo specifico linguaggio a potenziare e a unificare la sinfonia dei linguaggi di cui la liturgia è ricca. Così, anche lo spazio, come il tempo, viene coinvolto dalla celebrazione del mistero salvifico di Cristo e, di conseguenza, assume caratteri nuovi e originali, una forma specifica, tanto che si può parlare di una “icona escatologica”. Espressivo infatti è il collegamento dinamico che unisce il sagrato alla porta, all’aula, all’altare e culmina nell’abside. Ugualmente significativo è l’orientamento di tutto l’edificio, al gioco della luce naturale, che filtra dal finestrone centrale e, insieme con le altre finestre, illumina tutto lo spazio.

La Cattedrale barocca di Ugento e la via pulchritudinis dell’evangelizzazione

Posta nel cuore del paese, la Cattedrale è il centro della vita sociale, politica e culturale della città di Ugento e il punto di riferimento dell’azione pastorale della diocesi di Ugento- S. Maria di Leuca. 

Essa riveste anche una funzione evangelizzatrice. Per il suo valore artistico, è infatti oggetto di visita da parte di turisti, provenienti da culture diverse e lontane, forse anche dimentichi della tradizione cristiana in cui sono nati. Non potendo fare a meno di apprezzarne le testimonianze artistiche, essi sono ricondotti a ripensare anche la loro fede. La preghiera per la dedicazione di una Chiesa si rivolge al Signore con queste parole: «Tu ci hai dato la gioia di costruirti fra le nostre case una dimora, dove continui a colmare di favori la tua famiglia pellegrina sulla terra e ci offri il segno e lo strumento della nostra unione con te»[6].

Come recita l’inscrizione incisa sull’architrave del portale, la Cattedrale è dedicata alla Vergine Assunta e a san Vincenzo. La tonalità mariana caratterizza la Chiesa Madre della nostra diocesi e conferma l’idea che si tratta di una “diocesi mariana”. La preghiera di dedicazione della Chiesa recita: «Questo luogo è segno del mistero della Chiesa / santificata dal sangue di Cristo / da lui prescelta come sposa, / vergine per l’integrità della fede, / madre sempre feconda nella potenza dello Spirito»[7].

Lo splendore della Cattedrale ci rammenta che la via pulchritudinis è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarsi al mistero di Dio. La bellezza è il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne. A tal proposito, sant’Agostino afferma: «Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell’acqua, che camminano sulla terra, che volano nell’aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?»[8].

La Cattedrale di Ugento custodisce e rivela la bellezza del barocco del Sud Salento, la cui stessa vocazione consiste nel meravigliare, nello stupire, nel presentare dinanzi agli occhi il senso dello straordinario, dell’umanamente inconcepibile e inimmaginabile. A riguardo si possono individuare tre aspetti di questa immersione nel meraviglioso a cui il Barocco vuole spingere lo spettatore: la maestosità, la bellezza stupefacente, il senso del calore.

L’arte barocca volutamente produce “forme maestose” per esprimere la maestosità di Dio stesso e della verità cattolica che egli ha rivelato. Quest’arte non manifesta una bellezza ordinaria, discreta, ma una bellezza stupefacente. Ovvero una bellezza che deve avere la forza di far sgranare gli occhi all’osservatore. Egli potrebbe sentirsi inizialmente infastidito da una certa esplosione e contorsioni di forme, ma poi si lascia trasportare da una sorta di sublimazione perché è altrettanto straordinario ciò che esse esprimono: il mistero della redenzione. Le leggi dello spazio e del tempo si annullano mentre si ri-attualizza il sacrificio di Cristo. 

L’arte barocca è un’arte “calda” perché vuole contrapporsi alla “freddezza” dell’arte rinascimentale. Chi entra in una chiesa, si rende conto di entrare non in un luogo ordinario, ma straordinario perché “luogo del mistero”. Anche l’arte medioevale esprimeva pienamente questa concezione. L’arte barocca, tuttavia, esaspera questa funzione quasi per abbracciare i fedeli dentro la verità cattolica. Essa si fonda su soluzioni quali la preminenza del tabernacolo dominante sull’altare maggiore e la netta separazione del presbiterio dallo spazio riservato al popolo. Nel trascorrere dei secoli quelle soluzioni, esaltate da splendide opere artistiche, hanno raggiunto un’efficacia mirabile. 

La bellezza che si rinnova ed educa le nuove generazioni

Le chiese, però, non sono musei da conservare intatti. La tradizione ecclesiastica è viva e sempre si rigenera. Così, dopo il Vaticano II, gli adeguamenti sono stati intesi come tentativi provvisori per consentire la celebrazione del nuovo rito liturgico in ambienti splendidi, ma conformati secondo le nuove liturgiche. La Cattedrale è l’immagine di una Chiesa viva. Da qui, la necessità del ripensamento della sua funzione, senza però rinnegare la propria destinazione al culto.

Tutti, credenti e non credenti, sono consapevoli che la Cattedrale è il cuore vero della città. Per questo gli adeguamenti non vanno intesi come limitati a disegnare i nuovi poli liturgici, bensì a ripensare la complessità dello spazio perché la sua bellezza parli con immediatezza non solo delle glorie passate, ma delle virtù e delle potenzialità dei nostri giorni.

Soprattutto diventa esperienza di educazione per le nuove generazioni, tema particolarmente urgente e controverso del nostro tempo. In un’epoca come la nostra, il vero pericolo per i giovani è rappresentato dal niente. Un niente circondato dalle belle parole e dai grandi discorsi. Nella cosiddetta tarda modernità, siamo parte di una società che, per la prima volta, nella storia pretende di non essere in nulla e per nulla dedita al sacrificio, una società che si dichiara e si vuole integralmente utilitarista e individualista. 

In un momento di forte crisi sociale, economica e culturale, occorre ricuperare la logica del dono e della gratuità. Il legame sociale è sempre stato fondato sulla logica del dono e del contro-dono, non solo su quella dell’utile. Negli anni Venti del secolo scorso, lo studioso francese Marcel Mauss studiò il valore del dono nelle società antiche e mise in evidenza il complesso rapporto tra la libertà del donatore e l’obbligo morale del ricevente. Tornare al dono non è solo un modo per aderire a una morale astratta di bontà e giustizia, ma una forma pratica per orientare le nostre scelte, per dirigerci verso una esistenza più giusta e felice.

Nel nostro mondo globalizzato, l’opera educativa risulta essere tanto più necessaria quanto complessa e difficile. Essa deve essere realizzata con l’apporto di tutti, in una forma comunitaria. La cultura, le tradizioni, la società formano un ambiente di vita che, quasi come un grembo materno, genera, nutre e fa crescere i singoli e le comunità e orienta i loro rapporti e le loro scelte, guardando l’orizzonte globale e mantenendo saldi i legami con la propria terra. 

In questa prospettiva, la comunità cristiana è chiamata ad offrire il suo contributo e sollecitare quello di tutti «perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie. Ciò richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo»[9].

Sotto questo profilo anche il turismo acquista una valenza educativa. Per questo parliamo di un turismo conviviale[10]. Le sue caratteristiche sono l’esperienza sensoriale, la dimensione partecipativa, la finalità educativa. Ciò significa che il turismo deve assume una forma dove ognuno impara a convivere, divenendo capace di accoglienza e di dialogo sincero, attraverso l’armonico apporto di tutti. Si tratta di pensare il turismo come “laboratorio” di una comunità umana conviviale che si costruisce con creatività e come espressione di un’economia fondata sul dono e sulla relazione, più che solo sul profitto. Certo, il turismo non rinuncia alla produzione di valore, ma lo fa attraverso il processo della promozione della «convivialità delle differenze» tra culture e civiltà diverse. Il turismo convivale è dunque esperienza evocativa e generativa attraverso la narrazione dialogica della bellezza.

Si tratta innanzitutto della bellezza mediterranea. Il Mediterraneo, ridiventato nuovamente centro di scambi economici ed energetici, ha una missione che la storia da sempre ha affidato a questo specchio d’acqua: essere non un mare di confine, ma di prospettiva e di orizzonte, una bellissima e straordinaria tavola attorno alla quale accogliere e condividere le differenze culturali, religiose economiche e sociali e promuovere la cultura della convivialità e il dialogo con i mondi confinanti. 

La bellezza mediterranea ha una sua stratificazione archeologica e paesaggistica. Si sposano, in una felice simbiosi, la memoria del passato e la meraviglia del creato, il ricco patrimonio archeologico da curare e custodire e la bellezza paesaggistica per le sue marine, il paesaggio costiero, gli ondulati rilievi delle “Serre Salentine”. 

A ciò si aggiunge la bellezza storico-artistica, da conoscere e da valorizzare. Si tratta di un diffuso patrimonio locale dove sono ben leggibili le stratificazioni delle civiltà e delle culture che si sono susseguite nel corso del tempo e che hanno segnato la storia millenaria di questo straordinario borgo nell’estremo lembo di terra salentina. Da qui, la necessità di operare per una valorizzazione dei tanti beni materiali e immateriali, migliorandone le condizioni di conoscenza e di conservazione e incrementandone la fruizione pubblica, così da trasmettere i valori di cui tale patrimonio è portatore. 

Infine, si tratta di valorizzare la bellezza della comunità ovvero l’insieme di usi, costumi, tradizioni, feste popolari, canti, storie, prelibatezze culinarie. Insomma ciò che fa reale la vita di un popolo. Una bellezza, questa, dal valore inestimabile e sempre più richiesto in una società massificata e anonima.

Vi auguro che questa celebrazione in Cattedrale dia maggiore smalto e visibilità al vostro lavoro di operatori turistici. E, come nel rito i ministranti si mettono a servizio della bellezza della liturgia, così anche voi, operatori turistici, siate a servizio della bellezza della nostra storia e della nostra terra.  


[1] L. Antonazzo, Ugento Sacra, ovvero chiese- ex conventi e monasteri, edifici ecclesiastici e monumenti sacri della città di Ugento e della sua frazione Gemini, Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2020, p. 56.

[2] Cf. Diocesi di Ugento- S. M. di Leuca, Artigiani della bellezza. Contemplare l’invisibile nel visibile. Restauro conservativo del patrimonio artistico e culturale della Diocesi Ugento- S. Maria di Leuca, a cura di A. Carbone e Giorgio Rocco De Marinis, Bleve Pubblicità, Corsano (LE) 2023.

[3] Agostino, Discorsi, 336,1.6.

[4] Cf. F. Cassingena-Trévedy, La liturgie: se laisser faire par le Christ, in “Chronique d’Art Sacré” 84, 2005, pp. 12-14.

[5] Cei, Il rinnovamento liturgico in Italia, 13.

[6] Messale Romano, Prefazio per la Messa per la dedicazione di una Chiesa, p. 767.

[7] Pontificale Romano, Dedicazione della Chiesa e dell’altare, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1980, p. 166.

[8] Agostino, Discorso, 241, 2.

[9] Cei, Educare alla vita buona del Vangelo, 50.

[10] Cf. G. De Marco, Il turismo conviviale. Bellezza, stupore, comunità, Armando Editore, Milano 2020.