
Il volume raccoglie gli Atti di un convegno di studi, promosso dalla diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, che si è svolto ad Alessano nei giorni 28-29 aprile 2014 e che ha visto il coinvolgimento di docenti provenienti dalla Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma nonché dalla Facoltà Teologica Pugliese di Bari. L’iniziativa, inserita nell’ambito delle celebrazioni per onorare la memoria di don Tonino Bello a vent’anni dalla sua morte, ha costituito senza dubbio una opportunità singolare di riflessione e di confronto sul pensiero teologico del vescovo molfettese in ambito mariano, alla luce di una serie di scritti sul tema, in particolare quelli raccolti nel libro Maria donna dei nostri giorni, edito originariamente con le Edizioni Paoline e successivamente inserito nel terzo volume degli scritti di Mons. Bello.
Indubbio è il valore teologico dei contributi raccolti dal convegno, non solo per la scientificità dell’approccio ai testi esaminati, ma anche per la composizione complessiva con cui i diversi studi hanno saputo riconsegnare un’ermeneutica del pensiero dell’autore, aderente alla complessità della sua figura e al contempo lontana da ogni riduzionismo ideologico, sempre in agguato soprattutto rispetto a scelte che si attestano su approcci parziali o decontestualizzati. Traspare, al contrario, dalla lettura del testo lo sforzo degli autori di ricostruire il pensiero mariologico di don Tonino attraverso un processo di continua contestualizzazione, nel tentativo di superare il livello delle semplici e coinvolgenti evocazioni emotive, di cui i testi del nostro autore sono spesso intrisi, per cogliere lo spessore teologico e spirituale che vi soggiace.
Il primo studio (pp. 25-109), a firma di Salvatore M. Perrella, intende mostrare come la fonte ispiratrice del pensiero mariano di Bello sia senza dubbio il concilio Vaticano II, e nello specifico il capitolo VIII della costituzione Lumen gentium. Una ricostruzione sintetica, ma non generica, della genesi e degli sviluppi relativi alla riflessione de Beata Virgine Maria durante i lavori conciliari mette bene in evidenza la grande fatica che l’assise conciliare ha dovuto compiere per riconoscere come necessario il passaggio da una mariologia dei privilegi, che pure aveva fatto la storia della teologia su Maria degli ultimi secoli, ad una mariologia che fosse in grado di recuperare lo sfondo storico-salvifico per ogni considerazione sulla Madre di Dio. Tale operazione ha ricollocato la figura di Maria e la sua funzione materna in relazione al mistero di Cristo e della Chiesa, liberandola così da ogni forma di assolutezza astorica e riconducendola in un segmento preciso di quella drammatica storica che muove dall’incarnazione del Verbo di Dio e culmina nel suo mistero pasquale di morte e di resurrezione. Questo cambio radicale di prospettiva trova echi evidenti nelle riflessioni mariane del vescovo Bello che sceglie in maniera costante il registro relazionale per guardare a Maria, mai considerata nella sua individualità solitaria, ma sempre in relazione con la propria storia, fatta di presenze umane e divine, con la comunità, con la communio sanctorum. In tal senso, a detta di Perrella, quella del pastore molfettese potrebbe essere configurata come una mariologia sociale, dal momento che, attestandosi radicalmente su toni e sfondi di carattere antropologico, mostra la Vergine di Nazareth estremamente vicina ad ogni condizione umana, vera sorella di ogni uomo e donna dell’umanità. Tale opzione teologica trova una conferma nelle considerazioni di due teologhe latinoamericane – I. Gebara e M.C. Lucchetti Bingemer -, che Perrella pure cita nel suo studio, secondo le quali «la figura storica di Maria deve entrare sempre in dialogo con il tempo, con lo spazio, con la cultura, con i problemi e con le persone concrete che si rapportano ad essa. È la vita di oggi il dato che dà vita alla vita di ieri di Maria» (p. 80). Non è difficile riconoscere da tale versante il tratto popolare tipico degli scritti di don Tonino. Estraneo ad ogni forma di teologia accademica fine a sé stante, egli immerge di continuo le sue riflessioni nell’esperienza viva del sensus fidei di un popolo, per riconsegnare a questo stesso popolo non un’idea vaga su Maria, ma la narrazione di una vicenda, quella di una donna concreta, nei cui giorni è tessuta una storia di relazioni che narrano la profezia di una quotidianità comune e, per ciò stesso, singolare, capace di essere elevata a modello per l’esistenza di ogni credente e, più in generale, di ogni uomo e di ogni donna.
La concretezza storica della vicenda di Maria costituisce il punto di partenza dal quale muove anche il secondo studio (pp. 111-152), compiuto dalla ecclesiologa Cettina Militello, la quale si accosta agli scritti di Bello esaminando anzitutto gli “epiteti” con cui egli indica e si riferisce alla Madre del Signore. Da tale focus prende avvio il passaggio successivo dell’analisi, finalizzato a studiare il modo cui il vescovo molfettese declina Maria nella determinatezza del suo esser “donna” e nel suo rapporto con la Chiesa, per concludere poi con l’esame delle “preghiere” a Maria.
Merita una certa attenzione, da questo punto di vista, il tentativo che la Militello compie nell’indagare l’approccio di don Tonino alla femminilità di Maria. Al dire della teologa siciliana, dietro un’operazione del genere si celerebbe un modo singolare di metabolizzare la lezione conciliare, che mostra la Madre del Signore alle prese con la “peregrinazione nella fede” (LG 58) come pure con la “normalità della vita” (AA 4). L’intento di voler esplicitare il senso di queste affermazioni conciliari avrebbe portato ad una rivisitazione del linguaggio, meno edulcorato e più intriso di vita quotidiana, meno spiritualizzato e più attento ad esprimere il proprium di una femminilità concreta che ha reso Maria prossima alle donne, perché con esse ha condiviso le tappe, i ritmi e le asperità specifiche di un vissuto comune. Da questa angolatura prospettica si ha come l’impressione che in qualche modo Mons. Bello dia spazio ad una sorta di mistica della femminilità, soprattutto quando predomina nei suoi scritti la stereotipia del femminile materno, accogliente, tenero, pur se forte. Al di là di questo particolare, tuttavia, in maniera molto evidente emerge il riconoscimento in Maria del fascino proprio della donna, rispetto al quale don Tonino non evita di mostrare il suo incanto e la sua meraviglia e che vede poi concretizzarsi in tante situazioni a lui ben note di donne con nomi precisi e drammi da lui conosciuti, e con storie di leggiadria, di saggezza e di coraggio.
L’attenzione della teologa raggiunge inevitabilmente anche il rapporto Maria-Chiesa, ambito ulteriore di conferma rispetto alla recezione da parte di don Tonino della lezione conciliare. Se è fin troppo chiaro che in tale rapporto emerge come la genesi della mariologia sia proprio l’ecclesiologia, d’altra parte si coglie pure che nel rapporto Cristo-Maria il pastore molfettese legge la posizione e la funzione profetica della Madre di Dio rispetto alla stessa comunità dei credenti di cui essa stessa è parte. Come typos, icona della Chiesa, Maria è al contempo profezia, prolessi del cammino della stessa comunità pasquale. Di qui prende forma il sogno di una Chiesa provocante, estroversa, peregrinante, solidale, testimone gioiosa del mistero di cui vive e di cui Maria è immagine.
Il terzo contributo di studio (pp. 161-215), ma ultimo nel programma del convegno, focalizza l’attenzione in modo specifico sulla raccolta di testi mariani pubblicata col titolo “Maria, donna dei nostri giorni”. L’autore di questo affondo teologico, Gian Matteo Roggio, presenta anzitutto uno sguardo d’insieme sull’opera e successivamente ne approfondisce lo stile, ricavandone alcune chiavi di lettura in grado di mostrare la prospettiva di fondo che caratterizza la mariologia popolare di Mons. Bello. Merita un particolare interesse, ai fini di una lettura stilistica degli scritti del nostro autore, l’attenzione che Roggio pone alle note caratteristiche del linguaggio di Bello, vale a dire la narratività e la riformulazione. Si tratta di elementi che appartengono all’ampio orizzonte della teologia e che il vescovo molfettese utilizza con abile maestria, non tanto per una questione accademica, quanto piuttosto per una finalità performativa, tesa, cioè, a stimolare/provocare un cambiamento non solo individuale, ma sociale, della Chiesa e delle persone. Con questo stile teologico si costruisce una riflessione che, sebbene non abbia nulla di sistematico o di organico, tuttavia si articola attorno ad alcune intuizioni simboliche che hanno a che fare con frammenti dei mondi della vita e mediante le quali don Tonino spinge alla costruzione, ma soprattutto al cambiamento-rinnovamento-aggiornamento della comunità ecclesiale, della sua identità e della sua prassi. Più che di enunciati concettuali, quindi, si tratta di immagini simboliche che sono in grado di tradurre le iniziali intuizioni simboliche e che indicano di fatto alcuni temi generatori della riflessione dell’autore. Roggio ne individua essenzialmente tre: lo sguardo, la casa, la disobbedienza. Sono temi che strutturano la mariologia popolare di Mons. Bello e che, per la forza simbolica che li caratterizza, hanno una notevole carica ecclesiogenetica. Si tratta senza dubbio di una prospettiva euristica che merita di essere ulteriormente approfondita, sia per i vantaggi che la riflessione ecclesiologica può ricavarne sul piano metodologico, sia perché un approccio del genere offre uno sguardo sulla comunità ecclesiale di carattere processuale, non attestato unicamente sul piano descrittivo, ma su quello di uno sviluppo delle dinamiche proprie del farsi del soggetto ecclesiale. Occorre dire con franchezza che una prospettiva di questo tipo rimane, purtroppo, ancora molto marginale nella riflessione teologica sulla Chiesa, e conseguentemente anche in quella mariologica.
L’ultimo contributo (pp. 217-239), che ha come autore Domenico Amato, rappresenta una ricognizione degli elementi di spiritualità e di devozione mariana nell’azione pastorale di Mons. Bello. Prima degli sviluppi propri di una riflessione su Maria, nata in seno ad un contesto di natura ecclesiologica, Amato ritiene che la spiritualità mariana di don Tonino prenda forma in un contesto di pietà popolare, sin dalla sua giovinezza sacerdotale. Conoscerà successivamente sviluppi ulteriori durante il suo ministero episcopale, soprattutto in concomitanza con l’indizione da parte di Giovanni Paolo II dell’anno mariano attraverso l’enciclica Redemptoris Mater. Quell’evento ha rappresentato per il pastore molfettese un’occasione preziosa per sostenere nella sua chiesa locale una serie di iniziative volte a promuovere una sana devozione mariana, attenta a non risolversi unicamente in una questione cultuale, ma sollecita anche a tradursi in scelte di carità.
Le conclusioni di Mons. Vito Angiuli (pp. 241-245) offrono una sintesi coerente delle dimensioni plurali che compongono la riflessione mariologica di don Tonino Bello: un forte radicamento nelle acquisizioni conciliari, una evidente connotazione storico-salvifica delle riflessioni de Maria, sostanziate in prospettiva spirituale e testimoniale.
La pubblicazione di questi Atti, curata da Salvatore Palese che firma l’introduzione (pp. 13-23), offre senza dubbio alla comunità scientifica dei teologi e dei ricercatori non pochi elementi per accostarsi al pensiero di Mons. Bello facendo i conti con la complessità di una figura, che ha saputo comporre nei suoi scritti l’afflato del pastore con l’acutezza del rigore teologico, in un linguaggio e uno stile affidati risolutamente alle potenzialità e all’efficacia dei registri simbolici. L’immersione nel mondo della poetica teologica di don Tonino, del resto, chiede molto più di una mera sensibilità emotiva. Domanda strumenti euristici ed ermeneutici in grado di esplorare i mondi vitali racchiusi in una intuizione simbolica e la loro spendibilità sul piano dell’efficacia in ambito non solo teologico, ma anche pastorale. È questo, probabilmente, un filone ancora tutto da indagare, che però merita attenzione perché potrebbe rappresentare un antidoto utile a letture ideologiche o, peggio ancora, solo emotive, e comunque parziali, del pensiero del grande vescovo pugliese.