
Cari fratelli e sorelle,
l’annuncio pasquale “Cristo è risorto” risuona da millenni, ma rimane sempre nuovo e
contemporaneo a tutti tempi. I misteri della fede non mutano con il passare dei secoli perché sono
fissi nell’eternità. Le condizioni storiche, tuttavia, li presentano nella loro attualità, tanto da
sembrare fatti apposta per illuminare il presente e infondere nuova speranza a credenti e non
credenti.
La pandemia, che abbiamo vissuto quest’anno, ha reso più urgente l’annuncio pasquale
perché il dolore, la sofferenza e la morte sono stati più familiari. Le scene di eventi luttuosi,
accaduti in questo tempo e più volte riproposti nelle trasmissioni televisive, e il numero dei malati
e dei morti, che ogni giorno ci viene elencato, hanno avvicinato il mistero pasquale alla
quotidianità e hanno riproposto l’interrogativo sul senso della vita. In questo contesto, la
celebrazione di questa veglia pasquale acquista una nuova luce anche e illumina la difficile lotta
alla pandemia.
Secondo alcuni la pandemia è una guerra mondiale che sta cambiando completamente gli
equilibri di potere. Secondo altri, questo paradigma commette un errore epistemologico perché trasforma
il virus da avversario naturale a nemico umanizzato, nascondendo il tema centrale che è quello di
prendersi cura gli uni degli altri. La guerra infatti necessita di nemici, frontiere e trincee, di armi e
munizioni, di spie, inganni e menzogne, di spietatezza e denaro. La cura invece si nutre di prossimità,
solidarietà, compassione, pazienza e perseveranza.
L‘altra immagine che è stata proposta per interpretare lo scoppio e la diffusione del virus è
quella della “tempesta perfetta”. Nel marzo 2020, Papa Francesco ha ripreso l’episodio evangelico
dello scatenarsi di un’improvvisa tempesta e ha detto che «ci siamo ritrovati impauriti e smarriti.
Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e
furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati». La tempesta è
diventata così una metafora delle avversità, del dolore e della morte provocate dal virus.
Ora siamo passati a una fase nella quale predomina il desiderio di uscire quanto prima da
questo stato di cose. C’è un diffuso senso di frustrazione e di insofferenza non solo per i gravi
problemi economici provocati dalla chiusura di molte attività industriali, commerciali, artistiche e
sociali, ma soprattutto per la forzata limitazione dei movimenti, degli spostamenti e della
possibilità di coltivare le relazioni familiari fraterne e amicali. Forte è la voglia di uscire dagli spazi
angusti delle proprie case e di riappropriarsi di tutte le dimensioni della vita quotidiana: vivere in
luoghi aperti, nelle strade, nei giardini e nelle piazze; fare passeggiate in campagna, escursioni in
riva ai fiumi o lungo la spiaggia del mare.
“Uscire” da questa situazione di non-vita è la richiesta che sale dall’umanità ferita dal
covid-19. Questo sentimento ha una forte valenza religiosa e ben si addice a questa veglia
pasquale. Il verbo “uscire” è uno dei capisaldi dell’intera storia della salvezza. L’esodo ossia l’uscita
dall’Egitto e l’ingresso nella terra promessa è il grande avvenimento dell’Antico Testamento.
Abbiamo ascoltato il mirabile evento nella terza lettura. L’uscita di Cristo dal sepolcro e
l’inaugurazione di una vita nuova è il centro dell’annuncio del Nuovo Testamento. Nel brano della
Lettera Romani che è staro proclamato questa notte san Paolo ha richiamo l’evento e il suo
significato mistico.
Il canto dell’Exsultet ha esaltato e sintetizzato il mistero pasquale con una bellissima strofa:
«O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere / il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli
inferi. / Di questa notte è stato scritto: / la notte splenderà come il giorno, /e sarà fonte di luce per
la mia delizia». Dopo la notte della creazione e dell’esodo, è giunta la terza notte, la notte della
risurrezione. Compiuta la sua missione sulla terra, Cristo mentre è nel sepolcro porta il suo
messaggio di vita negli abissi della morte.
Le parole della liturgia richiamano il celebre e ultimo verso dell’Inferno di Dante: «E quindi
uscimmo a riveder le stelle»1. Dopo aver faticosamente attraversato la “natural burella” che
collega l’Inferno alla spiaggia dell’antipurgatorio, Dante e Virgilio finalmente contemplano il cielo
notturno trapunto di stelle. Il poeta si lascia alle spalle la notte infernale e si prepara a scalare la
montagna del Purgatorio per spiccare poi il volo verso il Paradiso. Questo passaggio è segnato
dall’immagine senza tempo di un cielo stellato, una visione di speranza e di rinascita dopo le pene
del viaggio infernale. Ha inizio un nuovo cammino di luce e di speranza dopo le tenebre
precedenti. In questi eloquenti versi, si coglie un messaggio universale: dopo ogni asperità, torna
la luce. Oggi più che mai queste parole si riempiono di fiduciosa speranza: passo dopo passo, tra
lacrime e preghiere, la notte oscura terminerà.
La Pasqua segna questo “passaggio” spirituale dalla morte alla vita. Secondo una tradizione
antichissima, ereditata dagli ebrei, il mondo sarebbe stato creato nell’equinozio di primavera, nel
momento più ridente dell’anno. Celebrata in questo periodo, la pasqua festeggia l’anniversario
della creazione, l’inizio del nuovo mondo, la rinascita della natura come simbolo della risurrezione
di Cristo. Mentre la tradizione occidentale utilizza l’immagine dell’uscita di Cristo dal sepolcro, la
liturgia orientale rappresenta la risurrezione con la discesa agli inferi.
La resurrezione di Cristo non è solo il rianimarsi del suo corpo, ma è la resurrezione in lui di
ogni uomo. Cristo è morto per distruggere la morte, è sceso negli inferi, prende per mano Adamo
ed Eva, simbolo di uomini e donne, li fa uscire dalle oscure tenebre del regno dei morti. La
liberazione dei prigionieri degli inferi è un richiamo della Prima Lettera di Pietro, dove l’apostolo
dice che Cristo, «andò a portare l’annuncio anche agli spiriti in prigione che un tempo erano stati
disobbedienti» (1Pt 3, 18-19), aggiungendo che «è stata annunciata la buona novella anche ai
morti, affinché, giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano secondo Dio nello Spirito» (1Pt
4,6)
Più che un luogo, gli inferi sono uno stato. L’articolo di fede mette in evidenza il significato
spirituale e gli effetti della sua risurrezione: la salvezza operata da Cristo raggiunge assolutamente
tutti gli esseri, «quelli nei cieli, quelli sulla terra e quelli sottoterra» (Fil 2,10). Nessuna zona
dell’universo o epoca della storia – neppure quella che l’ha preceduto – resta esclusa dai benefici
della sua Pasqua. In questo senso, la discesa di Gesù agli inferi contiene un messaggio formidabile
anche per l’uomo d’oggi. Il nostro cuore a volte è davvero un sepolcro, perché vi regna dentro la
morte, la disperazione, l’angoscia, la paura, e soprattutto il peccato. O semplicemente una noia e
un grigiore mortale. Si può discendere agli inferi anche da vivi.
La Pasqua non è altro se non un procedere dall’oscurità alla luce, da una selva oscura
infernale verso la celestiale visione del Paradiso. Scendere nell’abisso del nostro cuore ci mette di
fronte a uno scenario spaventoso e terribilmente buio come l’Inferno dantesco che è «aura sanza
tempo tinta»2
e non un luogo infuocato. Le tenebre degli “inferi quotidiani”, determinate
dall’assenza della luce divina, rendono l’incedere ancor più difficoltoso e tormentato. Da soli è
difficile uscire. Come Dante ha bisogno di una guida per compiere il suo viaggio, anche noi
abbiamo bisogno di essere afferrati dalle mani di Cristo risorto per uscire dai nostri “inferni
quotidiani”, personali e sociali. La potenza della risurrezione di Cristo è l’unica forza capace di
rimuovere la pietra che posta davanti al sepolcro. Dobbiamo affidarci alle robuste mani del Risorto
e «vivere partendo dalla risurrezione: questo significa Pasqua» scriveva Bonhoeffer.
Quando la pandemia sarà superata, non dovremmo tornare alla vita di prima. Qualcosa è
cambiato definitivamente. La Pasqua ci invita a intraprendere il viaggio della purificazione e della
speranza. Ci stiamo lasciando alle spalle un vero e proprio viaggio infernale. Ora è tempo di
riprendere la rotta per navigare fiduciosi verso il futuro. La risurrezione non è il ritorno alla vita di
prima. Incomincia “un’altra vita”.
Per chi risorge con Cristo il mondo cambia. «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le
cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17). L’espressione paolina
“creatura nuova” indica il radicale cambiamento dello sguardo inaugurato dalla risurrezione di
Gesù Cristo (cfr. Gal 6,15). Le cose “vecchie” sono tutte le cose che appartengono alla nostra
natura corrotta dal male e dal peccato: l’orgoglio, le vecchie abitudini e passioni, il protagonismo,
l’autogiustificazione.
La nuova creatura guarda all’esterno, verso Cristo, e non all’interno, verso sé stessa. Le
cose vecchie e morte sono sostituite da realtà nuove, piene di vita e della gloria di Dio. L’intero
volto della natura appare cambiato e sembra di trovarsi in un mondo nuovo. Nuovi dovrebbero
essere anche i nostri occhi e i sentimenti con cui guardare e relazionarci con gli altri. Dovrebbe
nascere un nuovo tipo di amore verso la famiglia e gli amici, una nuova compassione per i nemici,
un nuovo amore per tutta l’umanità.
Risorgere significa spogliarsi «dell’uomo vecchio con i suoi atti» (Col 3,9) e rivestire «l’uomo
nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e santità della verità» (Ef 4,24). Inizierà un altro tempo.
Se saremo uniti a Cristo risorto, nostro maestro, signore e guida, anche noi usciremo «a riveder le
stelle».
1 Dante, Inferno, XXXIV, v. 139.
2 Ivi, III, v. 29.