
La cultura contemporanea è caratterizzata da un immenso sforzo per dissociare la vita dalla
morte. Si pensa che una buona norma sia quella di tenere nascosta la morte. Tuttavia, non
potendola escludere definitivamente dalla vita quotidiana, si cerca di esorcizzarla, chiamandola
con altri nomi. Perciò si parla di essa come di “fine vita”, di “conclusione del cammino terreno”
oppure della “uscita dalla scena di questo mondo”, di “decesso” e, relativamente al morto, si parla
di lui come di colui che “non è più”, di chi “si è spento”, di chi “è mancato” e perciò lo chiama
“l’estinto”, “il defunto”, “il trapassato”. Si tratta di una sorta di “morte clandestina”, per cui il
moribondo esce dalla scena in silenzio, furtivamente, in modo da non suscitare emozioni troppo
violente e reazioni che possono turbare l’ordinato svolgimento della vita quotidiana. «Gli uomini –
scrive Blaise Pascal – non avendo potuto liberarsi dalla morte, dalla miseria, dall’ignoranza, hanno
deciso, per essere felici, di non pensarci».