
Omelia nella Messa in festa patronale di san Vito martire
Chiesa Natività B. V. M., Tricase, 15 giugno 2023.
Cari fratelli e sorelle,
è veramente straordinario pensare che nonostante le poche notizie storiche, molte tramandate per tradizione piuttosto che per documenti scritti, il popolo cristiano manifesta una grande devozione verso la sua persona. E voi ne siete l’esempio più evidente. Vedere la comunità di Tricase riunita nella Chiesa Madre per celebrare la festa del patrono in un atteggiamento orante, allietato anche dalla presenza dei ragazzi e dai bambini, oltre che dagli adulti, è un motivo di grande gioia. Tutta la comunità si ritrova unita attorno al suo patrono.
È importante vivere questa celebrazione cercando di comprendere l’esempio che san Vito ci propone. Un giovane, forse un adolescente che già alla sua giovane età dona la sua vita al Signore. Un martire, un testimone, una persona che non si è tirato indietro, ma è andato fino in fondo nella sequela di Cristo, secondo il modello è indicato dal Vangelo: prendere ogni giorno la croce di Cristo e camminare dietro di lui, seguendo le sue orme fino alla fine, fino a rivivere il suo mistero pasquale. La vita di questo santo, come di tutti i martiri, è una grande imitazione di Cristo. Cristo diventa il libro da leggere, da meditare e da imitare.
L’imitatio Christi è l’importante del messaggio che viene da questa celebrazione. L’imitatio è, nello stesso tempo, sequela di Christi. I due aspetti sono strettamente congiunti, come due facce della stessa medaglia. L’imitazione giunge fino alla sequela e la sequela si esprime attraverso l’imitazione della vita di Cristo. A questo straordinario modello di vita cristiana dobbiamo ispirarci, per imparare a praticare alcune virtù.
La prima virtù da imitare è la sua fede, secondo l’ammonimento dell’apostolo Paolo: «Radicati e fondati in Cristo, salti nella fede (Col 2,7). Non una fede vacillante, dubbiosa e incerta davanti alle avversità, ma una fede forte, capace di essere una base solida per la costruzione del nostro edificio spirituale. Nel nostro tempo, viviamo proprio questa difficoltà. La nostra fede assomiglia al “lucignolo fumigante”. Basta un poco vento e si spegne.
San Vito martire, invece, propone l’esempio di una fede stabile, forte, che non ha paura di fronte alle contradizioni alle avversità e alle persecuzioni della storia. Di fronte alla forte opposizione della cultura dominante, bisogna essere forti nella fede, capaci di testimoniare e di riconoscere la verità di Cristo.
È necessario rinsaldare la fede e consegnarla alle nuove generazioni. Abbiamo questo preciso compito nel nostro tempo: consegnare la fede che abbiamo ricevuto, attraverso le parole, l’accompagnamento pedagogico, l’esempio della vita. Per questo sono molto contento che molti di questi bambini partecipano alla liturgia. Nella loro tenera età, intuiscono alcune cose fondamentali. I gesti esterni della festa hanno un rifesso interiore che noi non possiamo valutare compiutamente per riconoscere il bene che producono nell’animo del bambino. Bisogna, dunque, imitare san Vito nella sua fede forte.
Egli ci insegna anche un’altra virtù: la pazienza. San Cipriano, martire, ha scritto un libro molto bello su questa virtù. Non si tratta di una virtù passiva, ma della fortezza d’animo di fronte alle contraddizioni del mondo. La persona paziente rimane costante nel suo impegno e attende i tempi e i momenti che Dio ha stabilito.
Anche questo è un grande insegnamento molto opportuno per il nostro tempo. Subiamo la tirannia di volere “tutto e subito”. Abbiamo strumenti informatici che annullano le distanze e ci danno risultati in tempo reale. Forse così disimpariamo la capacità di saper aspettare. Il Vangelo porta l’esempio dell’agricoltore. Egli semina e aspetta i tempi del germoglio e del raccolto. In campo educativo, bisogna seminare e poi aspettare pazientemente i frutti, senza pretenderli subito. Bisogna far comprendere ai ragazzi che vivono in una cultura informatica, che i risultati non si ottengono con un click. Bisogna invece costruire la vita a tappe successive, con pazienza e perseveranza.
La terza virtù è la capacità di soffrire per testimoniare il Vangelo. La Scrittura esalta la beatitudine della sofferenza nel nome di Cristo. La sofferenza prima o poi ci interpella. A Tricase c’è l’Ospedale e l’Hospice, ambianti che richiamano la sofferenza come parte integrante della nostra vita. Il Vangelo proclama che, se vissuta in unione a Cristo, si trasforma in beatitudine. Dobbiamo raccogliere questo messaggio che vede la sofferenza e il dolore in questa luce. Quasi tutte le narrazioni dei martiri raccontano che essi vanno incontro alla morte con gioia. Basta leggere i racconti dei martiri coreani, vietnamiti, ugandesi, africani. Tutti mettono in evidenza la gioia di soffrire in, con e per Cristo.
L’ultima virtù è la speranza. Il martire accetta di offrire la propria vita, perché sa che dopo la morte esiste un’altra forma di vita, quella della beatitudine nel Signore. Anche questo elemento è in contrasto con la nostra cultura. Essa conosce solo il presente, dimentica il passato e non è aperta al futuro. Esclude dal suo orizzonte l’apertura all’eternità. I martiri, invece, nel momento supremo del passaggio, si affidano alla misericordia del Signore.
Mentre celebriamo con gioia la festa di san Vito, patrono di questa città, impariamo da lui i quattro esempi di virtù: la fortezza della fede, la costanza nella pazienza, la gioia nella sofferenza e l’orientamento escatologico della vita.