
Omelia nella Messa del Corpus Domini
Chiesa Cattedrale, Ugento, 11 giugno 2023.
Cari fratelli e sorelle,
le quattro infiorate che sono state allestite quest’anno per la solennità del Corpus Domini nelle comunità parrocchiali di Patù, Castrignano, Acquarica e Ugento sono un inno di lode e di gloria al Signore presente nell’Eucaristia, una manifestazione visibile della sua bellezza e una splendida catechesi sulla Chiesa che nasce e vive dell’Eucaristia[1].
Senza lo stupore eucaristico non possiamo vivere
Il primo aspetto che le quattro infiorate sottolineano è che la solennità del Corpus Domini è la festa del rinnovato “stupore eucaristico”[2] in quanto modula le ultime risonanze del tempo pasquale. Mentre il giovedì santo fa memoria della istituzione dell’Eucaristia nell’ultima Cena, la solennità del Corpo e del Sangue del Signore invita a rinnovare lo “stupore eucaristico”. San Tommaso d’Aquino scrive: «L’Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini»[3].
La processione con il santissimo sacramento per le strade della città intende testimoniare pubblicamente la fede nella presenza reale di Cristo, invita ad adorare il suo mistero e spinge camminare con lui insieme a tutti gli uomini amati dal Signore. La Chiesa è il primo frutto che sboccia dall’Eucaristia. Si rivela così intima essenza della Chiesa, Corpo di Cristo, popolo di Dio in cammino, comunità adorante, gioiosa e stupita di fronte al dono sublime dell’Eucaristia[4].
La vita cristiana è dunque un continuo esercizio di stupore da ridestare e mantenere sempre vivo ogni giorno, come quello che abbiamo provato quando ci siamo accostati da ragazzi per la prima volta alla comunione. Vivere è adorare e adorare è stupirsi: riconoscere con una gioia, che può arrivare fino alle lacrime, il primato di Dio, ricuperando la misura delle cose, l’essenziale, ciò che conta davvero nella vita. Adorare soprattutto è lasciarsi guardare da Cristo e meravigliarsi del «tutto che si offre nel frammento”[5]. Si rimane allora attoniti e muti di fronte al mistero. Provvidenzialmente ci vengono in soccorso le parole suggerite dalla liturgia: «Gesù Signore, pellicano amoroso, col tuo sangue purifica la mia impurità; di quel sangue una sola goccia può salvare il mondo intero da ogni peccato»[6].
Stupirsi, in fondo, è quanto di più umano si possa pensare. L’uomo è fatto per stupirsi, come “i bambini fanno Ohh”. Lo stupore è l’innata capacità di meravigliarsi. Non è un privilegio dei bambini, ma un desiderio da coltivare a qualsiasi età. Non c’è un limite di tempo. Tutti possiamo goderne, in qualsiasi stagione della vita. Non dobbiamo, pertanto, rassegnarci all’idea che, crescendo, il nostro approccio con la vita si raffreddi e diventi rigido, distante, cinico. Significherebbe rassegnarsi a una forma di suicidio: «Chi non sa più provare stupore – scriveva Albert Einstein – è come morto, i suoi occhi sono spenti». Stupirsi «è la sola cosa che renda la vita degna di essere vissuta» (Oscar Wilde).
Non solo, ma lo stupore è «la molla di ogni scoperta» (Cesare Pavese). Lo stesso pensiero «si origina dallo stupore» (Platone. Ed anche il dolore non è solo causa di sofferenza, ma anche di meraviglia. Talvolta sentiamo il dolore come realtà distante, lontana, assurda, impossibile da condividere. Troppo preoccupati, come siamo, del nostro destino individuale, facciamo difficoltà a stupirci guardando il dolore nostro e degli altri. Eppure, giustamente afferma Khalil Gibran: «Se poteste mantenere la meraviglia del vostro cuore dinanzi ai miracoli quotidiani della vostra vita, il vostro dolore non sembrerà meno meraviglioso della vostra gioia».
Non bisogna mai smettere di meravigliarsi di fronte ai quotidiani miracoli della natura, delle opere d’arte e delle provvidenziali azioni di Dio. Lo stupore è una porta di accesso al bello: il cielo in una notte stellata, l’orizzonte infinito del mare in una giornata nitida, le nuvole che tanto somigliano alle irregolari debolezze dell’uomo. La natura ha una sua perfezione, una sua totale accuratezza nei meccanismi di funzionamento, che può stupirci in qualsiasi momento. Dobbiamo essere pronti ad accogliere ogni attimo di gioia, di felicità, per dilatarlo e ripeterlo in diverse versioni. La bellezza di un’opera d’arte lascia un segno dentro di noi: un concerto ci porta alle lacrime, un film ci incolla alla poltrona, un libro non ci fa dormire la notte perché abbiamo voglia di arrivare all’ultima pagina.
A meravigliarci è soprattutto l’agire di Dio: la sua tenerezza e la sua misericordia. Il salmista canta: «È bello dar lode al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunziare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte, sull’arpa a dieci corde e sulla lira, con canti sulla cetra. Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani. Come sono grandi le tue opere, Signore, quanto profondi i tuoi pensieri! (Sal 91, 2-6)
Una comunità che cammina e vive in unità
Il secondo aspetto che le quattro infiorate suggeriscono è la bellezza di ritrovare una comunità che vive in unità e cammina insieme, la cui fonte è l’Eucaristia: «Se dunque avrete in lui la vita, sarete con lui in una sola carne. Non è infatti che questo sacramento dia il corpo di Cristo per poi lasciarvene separati»[7].
Innanzitutto l’unità con Dio in Cristo Gesù. Il «Verbo assunse l’uomo, ossia l’anima e la carne dell’uomo, e si fece uomo pur rimanendo Dio. E siccome anche patì per noi, in questo sacramento ci ha affidato il suo corpo e il suo sangue; e anche noi ha trasformati in esso. Noi pure infatti siamo diventati suo corpo e, per la sua misericordia, quel che riceviamo lo siamo»[8].
L’unità con la propria persona: «Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il vostro mistero, ricevete il vostro mistero. A ciò che siete rispondete: Amen, e rispondendo lo sottoscrivete»[9].
L’unità con i propri fratelli nella fede: «Insieme lo assumiamo, insieme lo beviamo, perché insieme lo viviamo»[10].
Una comunità che si edifica ogni giorno con responsabilità e libertà
Il terzo aspetto che le quattro infiorate mettono in evidenza è che la nostra persona e la comunità a cui apparteniamo si contrisce con l’esercizio della corresponsabilità e del coinvolgimento libero di ognuno. Tutto avviene in piena libertà e gioiosa partecipazione. «Cristo non ha fatto violenza su nessuno; anche quando faceva del bene, domandava: “Vuoi essere guarito?”. Questo è pieno rispetto della persona. Egli non si imponeva con la sua saggezza, una saggezza divina. […]. Tu sei completamente libero. Puoi startene per tuo conto e io assolutamente non cesserò di amarti. Soltanto ricorda: se tu provi un attacco acuto di insoddisfazione, allora prova a venire da me; ricorda che hai sempre una spalla su cui poggiarti, non importa quanto sei malconcio, hai un fratello che ti abbraccerà comunque, per quanto tu possa essere cattivo»[11].
Elementi specifici
Ogni infiorata mette in evidenza alcuni aspetti specifici. L’infiorata di Patù intende far riscoprire la tradizione spirituale e i santi che veneriamo nel nostro territorio: sant’Oronzo, san Dana, i santi Alfio, Filadelfo e Cirino, santa Cesarea, i santi martiri di Otranto, san Giuseppe da Copertino e Madre Eia Martinez. L’infiorata o meglio “l’insegata” (perché fatta con la segatura) di Castrignano invita a contemplare la santità dei sacerdoti amanti dell’Eucaristia. L’infiorata di Acquarica presenta il mistero della Chiesa e il suo camino liturgico ed eucaristico. Quella di Ugento sollecita a considerare la vita come un ricamo che si svolge tra le faccende della vita ordinaria.
Tutte e quattro sono il frutto di un lavoro corale encomiabile e apprezzabile che ci prepara a vivere il giorno della beatificazione di madre Elisa Matinez, durante il quale potremo ammirare sul piazzale della Basilica di Leuca, un’altra infiorata allestita in suo onore.
[1] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 3-6.
[2] C. Giraudo, Stupore eucaristico. Per una mistagogia della Messa «attraverso i riti e le preghiere», Libreria Editrice Vaticana 2011.
[3] Tommaso d’Aquino, Opuscolo 57, nella festa del Corpo del Signore, lect.4.
[4] La Chiesa professa il culto «non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli, portandole in processione con gaudio della folla cristiana» Paolo VI, Mysterium fidei, 57.
[5] H. U. von Balthasar, Il tutto nel frammento, Jaca Book, Milano, 1990.
[6] «Pie pellicane Jesu Domine, me immundum munda tuo sanguine, cujus una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere».
[7] Agostino, Discorso 228, B, 4.
[8] Id., Discorso, 229,1.
[9] Id., Discorso, 227,1.
[10] Id., Discorso, 229, 2.
[11] P. Florenskij, Vuoi essere guarito’ Pagina da un taccuino, in L’Osservatore Romano”, mercoledì, 7 giugno 2023, p. 7.