
Articolo del Vescovo pubblicato nella “Gazzetta del Mezzogiorno – Salento”
mercoledì 15 aprile 2022, p. I e VII
Venerdì santo e domenica di Pasqua, croce e risurrezione sono due facce della stessa medaglia. E come Cristo risorto è vivo e cammina con noi, così il Cristo sofferente manifesta ancora il suo volto, attraverso le sofferenze degli uomini. La ferita diventa così un luogo teologico della rivelazione di Dio e una finestra aperta sulla vera essenza dell’umanità[1].
Dalle piaghe di Cristo siamo stati guariti (cfr. 1Pt 2,24; Is 53,5) e nelle sue ferite intravediamo i dolori di tutti gli innocenti. Stare davanti alle ferite degli uomini è un altro modo di stare davanti alle piaghe di Cristo. La guerra in Ucraina, come tutte le altre guerre che si combattono nel mondo, mostrano dolorosamente il volto sanguinante e sofferente di Cristo. Egli, però è presente anche nelle nostre città, in tutti gli «invisibili» che si aggirano nelle nostre strade; persone fallite e perdenti per lo scarto procurato dell’asfissiante competizione sociale.
Quanti orti degli ulivi, quanti Getsemani sono presenti nel cuore delle nostre città! Cristo, diceva Blaise Pascal, «è in agonia, nell’orto degli ulivi, fino alla fine del mondo. Non bisogna lasciarlo solo in tutto questo tempo»[2]. Già prima di lui, Origene aveva detto che «il giorno della propiziazione durerà per noi fino alla fine del mondo»[3]. Cristo è dunque in agonia dovunque un essere umano si trova in una situazione senza via d’uscita e lotta contro la tristezza, la paura, l’angoscia, la morte. Non abbiamo potuto fare nulla per il Gesù agonizzante nell’orto degli ulivi, ma possiamo fare qualcosa per il Gesù che agonizza oggi in varie parti del mondo.
Nel corso dei secoli, la spiritualità cristiana ha tramandato la devozione alle “cinque piaghe di Cristo”. Famoso è il saggio di Antonio Rosmini (1797-1855) “Delle cinque piaghe della santa Chiesa”, una lucida disamina dei mali che, a suo giudizio, affliggevano la Chiesa cattolica nella prima metà del XIX secolo. Oggi dovremmo parlare delle “cinque piaghe degli uomini”: la guerra, la pandemia, la questione ecologica, il problema delle migrazioni, le nuove povertà. Bisogna guardare e commuoversi non solo di fronte alle piaghe di Cristo, ma anche davanti alle ferite degli uomini.
Ecco, il punto decisivo: il realismo della fede è direttamente connaturale al realismo della vita. Non basta guardare, bisogna anche toccare le ferite e portarle insieme, come hanno fatto il Cireneo e la Veronica. Cristo si presenta all’apostolo Tommaso, il discepolo dubitante, e mostra le sue piaghe impresse per sempre nel suo corpo glorioso. Toccando le piaghe di Cristo, Tommaso ritrova la fede. Anche oggi, la fede si rafforza quando si tocca Cristo presente nell’Eucaristia, nella parola di Dio, nei sacramenti e nelle ferite dell’umanità.
Il Venerdì santo è il momento propizio per compiere l’esercizio spirituale di toccare le piaghe di Cristo attraverso i diversi riti liturgici e i pii esercizi della “via crucis”, delle processioni o delle altre manifestazioni della pietà popolare. Ma è anche il tempo opportuno per fasciare le ferite di coloro che incontriamo sul nostro cammino.
[1] Cfr. T. Halík, Tocca le ferite. Per una spiritualità della non-indifferenza, Vita e Pensiero, Milano 2021.
[2] B. Pascal, Pensieri, n.553.
[3] Origene, Omelie sul Levitico, 9,8.