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Le Parrocchie di Sant’Eufemia e di Depressa

IN MEMORIA DI MONS. GRAZIO GIANFREDA

Custode appassionato della Cattedrale di Otranto

mons. Salvatore Palese

Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Ugento

LE PARROCCHIE DI SANT’EUFEMIA E DI DEPRESSA DA OTRANTO A UGENTO

NELLA RIORGANIZZAZIONE DELLE DIOCESI E DELLE PARROCCHIE D’ITALIA NEGLI ANNI ’80 DEL NOVECENTO

di Salvatore Palese

Il 16 luglio 1988 fu deciso che le parrocchie di Sant’Eufemia e di “S. Antonio di Padova” di Depressa passassero definitivamente alla diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, considerato che esse erano nel territorio della città di Tricase[1]. La prima era diventata un quartiere cittadino, la seconda era nella parte settentrionale del territorio comunale, distaccata dal centro cittadino di qualche chilometro.

A sollecitare la decisione della Congregazione dei vescovi di Roma, competente della materia, erano stati i quattro vescovi della Provincia, l’arcivescovo metropolita Michele Mincuzzi di Lecce, l’arcivescovo Vincenzo Franco di Otranto, l’arcivescovo-vescovo Mario Miglietta di Ugento-S. Maria di Leuca ed il vescovo Aldo Garzia di Nardò-Gallipoli, interessati all’unificazione degli agglomerati demografici del Popolo di Dio agli uffici e alle istituzioni civili che ne costituiscono la struttura organica. Essi chiedevano di rivedere i confini della loro diocesi, al fine di superare la loro definizione geografica come si era consolidata nel corso dei secoli, affermavano che i beni patrimoniali ex-beneficiali delle suddette parrocchie sarebbero rimasti di proprietà dei rispettivi Istituti diocesani per il sostentamento del clero della diocesi di appartenenza; infine, lasciavano al clero nativo delle parrocchie la libertà di trasferirsi o meno nel clero delle diocesi in cui sarebbe stata trasferita la loro località di provenienza[2].

La parrocchia di Sant’Eufemia aveva fatto parte dell’arcidiocesi di Otranto da sempre. Quella di Depressa, invece, era appartenuta alla diocesi di Castro sino 1818, quando questa fu soppressa e il suo territorio con le rispettive popolazioni fu trasferito alle competenze degli arcivescovi otrantini.

Il 9 settembre 1988, a Lecce, l’arcivescovo metropolita Mincuzzi con il mandato speciale della Santa Sede pubblicò il suddetto decreto e i quattro vescovi ne firmarono l’accettazione. Così i confini della quattro diocesi venivano a coincidere con i confini dei comuni dello Stato italiano. Tali modificazioni territoriali, i beni ex beneficiari delle suddette, sarebbero rimasti di proprietà degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero che li aveva acquisiti, mentre al clero nativo di Sant’Eufemia e di Depressa, come nelle altre località, era dato di optare la diocesi in cui era stato ordinato o il trasferimento nel clero della diocesi di nuova appartenenza dei loro luoghi di origine[3]. Il 6 novembre 1988 l’arcivescovo di Otranto procedette all’esecuzione del decreto per quanto era sua competenza, ed il vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca si assunse la responsabilità morale di circa 380 famiglie e si assunse della cura della vita cristiana di circa 1.000 abitanti; nello stesso giorno procedette alla nomina del parroco don Franco Botrugno immettendolo nel suo servizio parrocchiale[4].

Per Depressa, invece, si procedette successivamente. Qui era parroco mons. Luigi Erriquez da Nociglia, apprezzato e amato dalla sua comunità che dirigeva dal 1932, nonché vicario generale di cinque arcivescovi otrantini che si erano succeduti nella seconda metà del Novecento. Egli presentò ancora una volta le dimissioni dell’ufficio di parroco all’arcivescovo Vincenzo Franco il 12 luglio 1990[5]. Accettandole il 29 settembre 1990, l’arcivescovo descrisse la stima e la gratitudine:

«Il passaggio della Parrocchia di S. Antonio in Depressa dalla nostra Arcidiocesi alla Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca […] suscita in me e in Lei un’ulteriore sofferenza, sapendo soprattutto quali profondi legami – storico, pastorale, spirituale – da sempre Depressa e i suoi abitanti hanno avuto con Otranto e la nostra comunità diocesana […].

Sono esattamente 58 anni che Lei ha dedicato alla cura pastorale e al governo della Parrocchia di Depressa. Con San Paolo può, oggi, serenamente dire “Bonum certamen certavi” (2 Tm. 4,7). E lo testimoniano i sacerdoti e le religiose che Lei ha dato alla chiesa, alcuni bravi laici che si segnalano per la collaborazione pastorale ed impegno professionale e l’intera famiglia parrocchiale, ricca di valori spirituali e cristiani e tanto composta anche socialmente. Tutto ciò è certamente opera del Signore, realizzata però con il Suo vigile, zelante e vigoroso ministero pastorale, che Le ha guadagnato stima e venerazione incondizionata. Di tanto, e facendomi voce anche dei miei venerati Predecessori, Le sono profondamente grato, come Le è unanimemente riconoscente la comunità di Depressa. Lei continuerà, vivendo a Depressa, ad edificare spiritualmente, soprattutto con la preghiera e l’esempio del Suo Ministero, quella Comunità, che non potrà non sentire Sua avendola generata alla fede.

In questo delicato momento Le sono tanto vicino con la preghiera e con l’affetto di padre.»[6]

Quindi il 30 settembre si eseguì il decreto della Congregazione per la parrocchia di Depressa e il vescovo ugentino Mario Miglietta, nello stesso giorno, nominò il nuovo parroco don Mario Ciullo per i 1400 abitanti[7]. Sembra che queste evoluzioni contribuirono a spegnere le vampate di autonomia amministrativa di Depressa da Tricase, che si mescolavano ai disagi ecclesiastici, non si capisce quali, provenienti dal passaggio da Otranto ad Ugento.

* * *

Con il decreto della Congregazione dei vescovi del 16 luglio 1988 si concludeva nel Salento un lungo processo di riorganizzazione delle parrocchie e delle diocesi in Italia. Si trattava, infatti, del loro definitivo sganciamento dall’impostazione beneficiale che le aveva configurate dentro l’organizzazione feudale dei territori e delle popolazioni dei paesi europei e di quelli coloniali da loro dipendenti.

In questi termini si collocavano la situazione di Sant’Eufemia, possesso degli arcivescovi otrantini nel territorio della diocesi di Alessano e poi dal 1818 di Ugento, e quella di Depressa di cui erano stati “signori” i vescovi di Castro e dal 1818 gli arcivescovi di Otranto. Questo schema era perdurato nei secoli dell’età moderna e all’interno delle monarchie confessionali degli spagnoli e dei Borboni. Riforme settecentesche e rivoluzioni liberali non avevano smantellato il regime delle istituzioni ecclesiastiche territoriali che i vari concordati tra Sante Sede e stati non avevano interesse a risolvere, nonostante la crescente giurisdizione degli stati sulla realtà esistente nei loro ambiti territoriali.

Questo sistema beneficiale delle istituzioni ecclesiastiche “implose” a causa della svolta segnata dai decreti del concilio Vaticano II riguardanti il ministero dei vescovi e la condizione dei presbiteri. Fu una vera e propria rivoluzione che cancellò il sistema beneficiale e non si parlò più di mensa vescovile, di benefici parrocchiali e di benefici canonicali.

L’ammodernamento dell’organizzazione territoriale della cura delle anime era stato vivamente richiesto da novanta vescovi nella fase preparatoria dei lavori conciliari, sia riguardo al conferimento dei benefici ecclesiastici, sia alla loro amministrazione, sia infine a riguardo della revisione dei confini delle parrocchie[8]. La metà dei vescovi pugliesi erano stati espliciti nel chiedere la riorganizzazione delle circoscrizioni diocesane. L’arcivescovo Calabria di Otranto rilevava che in Italia vi erano diocesi amplissime in cui si poteva dubitare del rapporto diretto del vescovo con i suoi preti, e diocesi «così piccole che sarebbe appropriato chiamarle parrocchie e dove si stentava a portare avanti seminari, uffici e associazioni». Dello stesso avviso era il vescovo Brustia di Andria che richiamava quanto disattesi erano stati gli artt. 16-17 del Concordato con il Regno d’Italia del 1929 che affermava la riduzione del numero delle diocesi a quello delle province civili. Anche i vescovi Aldo Forzoni di Gravina e Irsina e Carlo Ferrari di Monopoli sottolineavano che nelle piccole diocesi mancavano i preti capaci esperti e prudenti di cui il vescovo poteva avvalersi per il regolare governo e la migliore amministrazione della realtà ecclesiastica e pastorale. Perciò il vescovo Francesco Minerva di Lecce chiedeva la revisione dei confini delle diocesi e mons. Guglielmo Motolese da Taranto affermava che le diocesi andavano adeguate e adattate alle necessità dei fedeli e alle forme nuove dell’apostolato. E come questi si pronunciò il vescovo Pasquale Quaremba di Gallipoli. Il vescovo Corrado Ursi di Nardò assicurava che i fedeli non si sentirebbero contrastati se si procedesse con gradualità nel riordinamento e nella riduzione numerica delle diocesi. Infine il vescovo Minerva aveva richiesto che le sedi metropolitane fossero trasferite dai paesi alle città «come avviene per le organizzazioni civili per il bene delle città e a lustro delle sedi metropolitane», come pure andava evitato l’uso dei titoli storico, come quello di “primati”[9].

Nei decreti conciliari Christus Dominus (26 ottobre 1965) e Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965) recepirono tutte le sollecitazioni, considerazioni e proposte. Vescovi e parroci ormai si configuravano espressioni della missione della stessa Chiesa, all’interno delle acquisizioni più alte e più complete della presa di coscienza di una Chiesa del Verbo incarnato. Questa definizione giuridica delle strutture territoriali dell’assistenza religiosa delle popolazioni cattoliche venne chiaramente a concludersi con il Codice di diritto canonico promulgato da papa Giovanni Paolo II il 23 dicembre 1983. Esso sanzionò la trasformazione avvenuta: vescovi e parroci si configurano come ministri al servizio delle comunità cattoliche dei vari luoghi, con precise definizioni geografiche. In questo orizzonte culturale si comprendono pure tanti punti del nuovo concordato tra Santa Sede e Repubblica italiana del 18 febbraio 1984 nonché la riorganizzazione delle diocesi di Italia decretata dalla Congregazione dei vescovi il 30 settembre 1986.

* * *

Tappe del trentennale percorso furono la costituzione della regione pastorale pugliese, la riorganizzazione delle sue quattro province ecclesiastiche, la sistemazione delle diocesi.

La regione pastorale pugliese fu configurata il1 2 settembre 1976 e i suoi confini geografici vennero a coincidere con quelli della regione civile, sicché furono comprese tutte le diocesi esistenti nel suo territorio, quelle della Capitanata, la diocesi di Irsina fu trasferita alla conferenza dei vescovi della Basilicata e conseguentemente i territori dei comuni di Laterza e Ginosa entrarono a far parte della diocesi di Castellaneta, quello di Montemilone dalla diocesi di Andria passò a quella di Venosa e quello di Spinazzola alla diocesi di Gravina[10].

Successivamente nel 1979 furono riorganizzate le quattro province ecclesiastiche con quattro sedi metropolitane: Foggia (30 aprile 1979) con le diocesi “suffraganee” (convergenti) di Manfredonia e Vieste, Bovino e Troia, Ascoli Satriano e Cerignola, Lucera e san Severo[11]; Bari (20 settembre 1980) con le diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie-Nazareth, Andria, Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi, Ruvo e Bitonto, Monopoli e Conversano, Gravina, Altamura e Acquaviva[12]; Lecce (20 ottobre 1980) con le diocesi di Otranto, Brindisi-Ostuni, Nardò, Gallipoli e Ugento-S. Maria di Leuca[13]; Taranto (20 ottobre 1980) con Castellaneta e Oria. Si prendeva atto degli sviluppi storici delle città pugliesi nel corso del Novecento.

Dopo la promulgazione del nuovo codice e il concordato di cui si è detto, il 30 settembre 1986, la Congregazione dei Vescovi definì la riorganizzazione delle diocesi di tutta l’Italia con “fusione” di diocesi antiche e accorpamento di altre, con specificazione precisa della residenza dei 19 vescovi, per quanto riguarda la Puglia. Di conseguenza nel Salento la novità fu rappresentata dalla fusione di Gallipoli con Nardò[14].

 Questa riorganizzazione generale delle diocesi italiane ammodernava la rete delle sedi episcopali e specificava competenze e responsabilità che si speravano adeguate alle mutate condizioni delle popolazioni cattoliche. Nelle nuove diocesi che erano state definite ci sarebbe stato un unico seminario, un unico tribunale ecclesiastico, unico consiglio presbiteriale unico consiglio pastorale, unico consiglio dei consultori.

Questo assestamento generale aveva il suo necessario corollario nella coincidenza dei confini territoriali delle parrocchie con quella dei comuni, sia a livello locale ma pure provinciale e regionale. Quanto avvenne a Sant’Eufemia e Depressa negli anni 1988 e 1990 era all’interno del movimento generale e prendevano tutto il significato della storia che si stava facendo.

Per concludere, vale la pena rilevare che il processo di semplificazione e di coordinamento nell’ambito regionale ha avuto ed ha ancor oggi un motore di concreta operosità nella Conferenza episcopale pugliese. Essa aveva già svolto e continuò a svolgere un impulso efficace verso comuni orizzonti operativi nella Puglia coinvolta nelle trasformazioni generali della società negli ultimi decenni del Novecento[15]. E nel dinamismo del mondo cattolico la Puglia si è imposta all’attenzione delle regioni meridionali e della intera nazione. I vescovi pugliesi, con lungimiranza hanno conservato, con tutte le responsabilità connesse, il comune seminario maggiore regionale dove per altro è la sede della Regione pastorale pugliese e della Conferenza episcopale regionale. I papi l’avevano istituito (Lecce 1908, poi Molfetta dal 1915) e costruito (1924, Pio XI) e infine “donato” loro (1992) per la formazione dei preti[16]. Ad essi, infatti, tocca il compito storico di muovere le comunità nei percorsi missionari dell’annuncio del vangelo di Cristo e della testimonianza cristiana nella società pugliese[17].


* Le fonti che hanno consentito di scrivere questa nota sono edite. Quasi tutte quelle riguardanti al parrocchia di Sant’Eufemia in Tricase si trovano in F. Accogli (a cura di), La cappella del Gonfalone e il casale di Sant’Eufemia in Tricase, Tricase, ed. dell’Iride, 2004, pp. 253-266. Alcune di quelle riguardanti la parrocchia di Depressa si trovano nell’opuscolo di L. Martella (a cura di), Ricordando mons. Luigi Erriquez, Molfetta, La Nuova Mezzina ed., 2007, pp. 97-101. Non si può dubitare della loro autenticità perché le fonti riguardanti Depressa sono foto riprodotte. Ma in entrambi i casi non è detto – come si dovrebbe e con la debita autorizzazione – in quale archivio sono conservate: gli archivi diocesani di Lecce, o di Otranto o di Ugento, quelli parrocchiali di Sant’Eufemia e Depressa o le carte personali di mons. Erriquez.

[1] La decisione della Congregazione romana riguardava anche Borgagne (frazione di Melendugno) che dall’Arcidiocesi di Otranto passava a quella di Lecce; Collemeto, Noha e Santa Barbara (frazioni di Galatina) dalla diocesi di Nardò-Gallipoli all’Arcidiocesi di Otranto.

Il decreto della Congregazione dei vescovi che, come è scritto «ha valore di bolla pontificia», non fu pubblicato in ”Acta Apostolicae Sedis” (=AAS). È in parte edito nel “Bollettino Ufficiale della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca”, 51 1988, n. 5, p. 4.

[2] La loro lettera è edita in F. Accogli, op. cit., pp. 253-254.

[3] Dell’esecuzione del decreto nella Curia arcivescovile di Lecce del 9 settembre 1988, prot. N, sez. 1, n. 1998, in F. Accogli, op. cit., pp. 255-256. Tale esecuzione è registrata pure in Archivio Storico Diocesano di Ugento (=ASDU), Bullarium1935-1993, n. 229 e 230, rispettivamente ff. 295-296 e 297  e 298.

[4] ASDU, Bullarium, cit., n. 223, ff. 301-302. L’ultimo parroco “otrantino” era stato don Vincenzo Letizia, economo curato dal 9 marzo 1954 e poi parroco dal 15 novembre seguente fino al 6 novembre 1988, sia pure gravemente ammalato negli ultimi anni. Successore di don Botrugno sono stati don Luigi Morciano dal 15 settembre 1996 e don Michele Morello amministratore parrocchiale dal I° settembre 2008 e parroco dal I° novembre 2009.

Circa i dati della popolazione va precisato che sono quelli forniti dal parroco Letizia all’arcivescovo mons. Nicola Riezzo per la visita pastorale del 1978 (Archivio Diocesano di Otranto, Fondo Curia Arcivescovile, Serie Visite Pastorali, 1978). Nella visita compiuta dal vescovo ugentino mons. Vito De Grisantis, nel 2002, le famiglie divennero 466 e gli abitanti 1390 (ASDU, Visita pastorale 2002, 17, fasc. 27, Questionario Sant’Eufemia, p. 14).

Per i vescovi protagonisti per mons. Miglietta cfr. S. Palese-E. Morciano, Preti del Novecento nel Mezzogiorno d’ItaliaRepertorio biografico del clero della diocesi Ugento-S. Maria di Leuca, (=Società e Religione, 22), Galatina, Congedo, 2013, pp. 168-170, 302-306 (necrologio firmato da Salvatore Palese); per mons. Vincenzo Franco, cfr. L’Eco Idruntina 97, 2016, 1, pp. 108-113 (necrologio firmato da Antonio Cagnazzo, con anche il testamento spirituale del Presule).

Le pagine dedicate alla parrocchia di Sant’Eufemia da F. Accogli, op. cit., pp. 130, 233-242, 242-253, non configurano la vicenda dell’istituzione nel corso dei secoli moderni. Non si conservano i fogli dei verbali della visita di Giorgio Rosa di Castro,  vicario generale dell’arcivescovo Fabrizio de Capua di Otranto del 1522, e neppure quelli della visita seguente compiuta dal vescovo Antonio de Beccariis di Scutari e vicario generale dell’arcivescovo Pietrantonio de Capua di Otranto negli anni 1538-1540. Sant’Eufemia compare tra i luoghi abitati dell’arcidiocesi, in una nota “per l’obbedienza” dei parroci, redatta nel 1555. Cfr. V. Boccadamo, Terra d’Otranto nel Cinquecento. La visita pastorale dell’Archidiocesi di Otranto del 1522 (Società e religione, 11), Congedo, Galatina 1990, pp. 20-21.

[5] F. Accogli, op. cit., p. 100.

[6] Edita da F. Accogli, op. cit., p. 101.

[7] ASDU, Bullarium, n. 240, ff. 310.  I dati riguardanti la popolazione sono quelli dichiarati da mons. Erriquez e l’arcivescovo Nicola Riezzo per la visita pastorale iniziata nel 1969 (ADO, Fondo Curia Arcivescovile, Serie Visite pastorali, f. 21). Con più precisione, per la visita del vescovo ugentino mons. Vito De Grisantis, nel 2002, le famiglie erano 450 e gli abitanti erano diventati 1541. ASDU, Visita pastorale 2002, 15, fasc. 8, Questionario Depressa, p. 14.

Successori di don Mario Ciullo sono stati don Flavio Ferraro dal 2 luglio 2000 e don Andrea Carbone dal I° settembre 2011.

[8] Cfr. P. Doria, Storia del concilio Vaticano II. Da Giovanni XXIII a Paolo VI (1959-1965), Todi, Ed. Tau, 2016, pp. 26,28,396.

[9]

Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando. Series I (antepraeparatoria), volume II: consilia et vota episcoporum ac praelatorum, pars tertia Europa, Italia, Città del Vaticano, Typis Polyglottis Vaticanis, 1960, p. 49 (Brustia), p. 310 (Quaremba), p. 313 (Forzoni), p. 338 (Minerva), p. 399 (Ferrari), pp. 425-426 (Ursi), pp. 485-486 (Calabria), p. 821 (Motolese).

I testi in latino sono riprodotti con versione italiana a fronte in C. F. Ruppi (a cura), I vescovi pugliesi al concilio Vaticano II, Roma-Monopoli, Ed. VivereIn, 2007, pp. 27 (Brustia), p. 37 (Calabria), p. 101 (Ferrari), p. 119 (Forzoni), p. 143 (Minerva), p. 153 (Motolose), p. 149 (Quaremba), p. 233 (Ursi). Qui si possono leggere proposte a riguardo, presentate per i lavori del concilio, da tre dei sette vescovi pugliesi dell’area foggiana, i quali hanno fatto parte della Conferenza episcopale del beneventano fino al settembre 1976. Antonio Pirotto di Troia riteneva che «l’istituto giuridico dei benefici ecclesiastici non rispondeva più, a suo parere, alle condizioni del nostro tempo» (p. 189). Andrea Cesarano, arcivescovo metropolita di Manfredonia, ne chiedeva la riforma (p. 153) e Francesco Orlando di San Severo osservava che «i confini delle diocesi in generale erano da rivedersi per prevenire i danni derivanti dall’incertezza sulla competenza dei singoli Ordinari» (p. 183).

Richieste simili furono fatte anche da alcuni vescovi di altre regioni. Cfr. Ad esempio G. Zito, I «vota et consilia» dei vescovi della Sicilia per il concilio Vaticano II, in “Chiesa e Storia”, 4, 2011, pp. 135-174 e precisamente p. 156; T. Cabizzosu, I vescovi sardi al concilio vaticano II. Protagonisti vol. II (=Studi e fonti per la storia della Chiesa sarda, 7), Cagliari, Arkadia Editrice,  2014, pp. 24-35.

Cfr. Circa il dibattito conciliare su cui si tornò sull’argomento, cfr. P. Doria, op. cit., pp. 201-204, 219-223, 363-366.

[10] Decretum s. Congregationis pro episcopis potentinae et italiarum de mutatione finium (8 septembris 1976) in AAS, 68, 1976, pp. 675-676; Decretum s. Congregationis pro episcopis de conferentiis episcoporum pastoralium Regionum Campaniae, Beneventanae et Lucaniae, Salernitanae (12 septembris 1976), ivi, p. 679.

Nella riunione della Conferenza Episcopale che si tenne a Molfetta nel Pontificio Seminario Regionale Pugliese Pio XI, nei giorni 14-16 dicembre 1976, parteciparono per la prima volta tutti i vescovi della Capitanata, Giuseppe Lenotti di Foggia-Troia e Bovino, Mario Di Lieto di Cerignola-Ascoli Satriano, Angelo Criscito di Lucera e San Severo, Valentino Vailati, Arcivescovo di Manfredonia e amministratore di Vieste (cfr. Archivio Conferenza Episcopale Pugliese di Molfetta, verbali 4, ff. 126.138).

Della formazione della Regione Ecclesiastica Pugliese ho scritto in vari saggi: S. Palese, Visite pastorali in Puglia, Storia religiosa e azione pastorale nel Mezzogiorno in “Archiva Ecclesiae” 22-23, 1979-1980, pp. 379-384, riprodotto con integrazioni in Id., L’episcopato pugliese dal concilio di Trento al concilio Vaticano II, in C. Dell’aquila (a cura), Cronotassi, iconografia e araldica dell’episcopato Pugliese, Edizioni Levante, Bari 1986, pp. 51-74.Infine cfr. S. Palese, Per la storia della Conferenza episcopale pugliese in S. Palese- F. Sportelli (a cura), Vescovi e regione in cento anni di storia (1892-1992). Raccolta di testi della Conferenza episcopale pugliese (Società e religione, 16), Galatina, Congedo, 1994, pp. XLV e 517.

[11] Joannes Paulus II, Constitutio apostolica. Ecclesia Fodiana (30 aprilis 1979), AAS, 71, 1979, pp. 563-564.

[12] Id, Constitutio apostolica. Qui Beatissimo (20 octobris 1980), AAS, 72 1980, pp. 1232-1233.

[13] Id, Constitutio apostolica. Conferentia episcopalis (20 octobris 1980), Ivi, pp.  1076-1077.

[14] Il decreto della Congregazione dei vescovi del 30 settembre 1986 in ”Osservatore Romano”, 126, 1986, 9 ottobre, pp. IV-V.

[15] Cfr. S. Palese, Per la storia della Conferenza, cit., pp. XLVI-LVII.

[16] Rinvio ai miei ultimi saggi in cui si può trovare tutta la bibliografia precedente, S. Palese, Una storia della formazione nel pontificio seminario regionale [di Molfetta], in C. Dell’Osso-L. Renna (a cura), Preti, doni di Cristo all’umanità. Studi sulla formazione al presbiterato, Milano, Ancora, 2009, pp. 34-59; Considerazioni per una lettura storica dei cent’anni del Seminario Regionale di Molfetta in L. Renna- S. Tardio (a cura), Cento anni al servizio della Chiesa di Puglia, tra storia teologia e profezia, Andria, Edizioni Guglielmi, 2010, pp. 9-46.

[17] Cfr. C. Dell’Osso (a cura), Preti pugliesi del Novecento (=Quaderni della Rivista di scienze religiose, 17), Roma-Monopoli, Ed. VivereIn, 2012; S. Palese, Per una storia del clero pugliese del Novecento. Una recente ricerca della Facoltà teologica pugliese in “Rivista di Scienze Religiose”, 26, 2012, pp. 229-255.