
L’unico cammino ad anello in Puglia
Candidato all’Atlante dei Cammini di Puglia
UNA VISIONE INNOVATIVA tra cultura, turismo ed educazione
Il turismo conviviale: la nostra prospettiva
Il turismo conviviale è la possibilità concreta offerta ad un ospite e ad una Comunità che si fa ospitale di vivere un’esperienza evocativa e generativa attraverso la narrazione dialogica della Bellezza che susciti la consapevolezza di uno stupore capace di trasfigurare l’oggi di ognuno, chiamato a diventare Locus Lucis, dove l’homo viator si sente accolto e riconosciuto, dove si tessono relazioni capaci di offrire calore, dove il patrimonio di cultura sa stupire e le persone abbiano qualcosa da raccontare. Una Comunità trasforma un territorio e delle esperienze, in Locus Lucis «quando offre un’esperienza straordinaria e speciale, quanto più personalizzata possibile e animata da una grande capacità di narrazione, per alimentare la vita e la speranza di chi incontra, promuovendo lo sviluppo della persona nella sua totalità»[1]. E questo partendo dall’esperienza essenziale dello stupore. Lo abbiamo già detto, infatti, come solo lo stupore potrà aprire la strada a quel desiderio che, poi, può portare a scelte compromettenti di vita piena, capaci di far gustare la gioia vera dell’essere umani e cristiani. In tal senso, il turismo conviviale sarà un possibile laboratorio di turismo della Notizia Bella, ministero della Comunità cristiana che si attua in un tipo particolare di relazione in cui «si accompagnerà la persona in un percorso che, da stupito consapevole, favorisca una lettura positiva del vissuto, dando la possibilità di sanare le svariate forme di difficoltà o di ferite esistenziali, allenandola all’arte della gratitudine e alimentandone il desiderio di una vita integralmente gioiosa[2]».
Cammini di Leuca, luogo di turismo conviviale
Itinera stuporis sono i Cammini di fede che attraversano in lungo e largo il nostro Paese. Cammini scritti dai passi di pellegrini e di santi che uniscono borghi e raccontano vite in cerca di senso. Cammini colorati da Bellezza espressa su pietre e impressa su volti che accompagnano lungo la strada i cercatori di oggi a vivere esperienze per la vita e la speranza attraverso la proposta del turismo conviviale. Cammini che si fanno laboratorio di felicità, per riscoprirsi continuamente amati e perdonati e per questo chiamati a fare della propria vita un capolavoro. Cammini che sono scuola di stupore di fronte a ciò che accade, a chi si incontra e a ciò che si vive per tornare nella propria terra trasfigurati, più consapevoli di sé, del creato, dell’altro e di Dio, facendo continuamente esperienza di essere ospitali ospitati[3] nella reciprocità del dono, frutto dell’essenzialità che ogni esperienza di cammino muove nel cuore degli uomini, fino a diventare urgenza e stile di vita. «L’arte di camminare ci fissa, mette in prospettiva le nostre esistenze, ci offre quella distanza per riconoscere i nostri pochi veri bisogni. Di fronte all’imperativo attuale che vuol farci divorare tutto e in fretta, l’arte di camminare ci mette in contatto con il ritmo lento della terra e del cuore, ci fa essere presenti al mondo, energici e concentrati. A poco a poco, il turbinio si calma, rallentato dalla monotonia dei passi. A poco a poco, ci si apre al mondo, in cammino con il Tutto, lontano dalla pesantezza della vita. Sulla strada si ritrova la luce, talvolta della fede. E prima ancora della fede in
Cammini di Leuca: le coordinate del senso
Le coordinate del senso di ogni proposta dei Cammini di Leuca sono – secondo il modello del turismo conviviale – ricerca, guarigione, e trasfigurazione.
Un cammino di fede è esperienza di ricerca. Uomini e donne che portano dentro domande di senso, quelle che danno inquietudine perché richiedono di entrare nel mistero della vita per coglierne i segni di Luce, scelgono di percorrere un cammino per ascoltare il ritmo della vita. Ascoltare il ritmo della vita è mettersi in sintonia con la lentezza di Dio che non è ritardo, inefficienza, lungaggine ma sapienza paziente dei tempi dell’uomo e del cosmo, approfondita perizia dell’artista nei confronti della sua opera. Ascoltare il ritmo della vita è scoprire il proprio desiderio.
Camminare gli uni accanto agli altri con gli occhi e gli orecchi aperti, con aperto il cuore per sentire, ascoltare, accogliere sé e l’altro con la domanda cruciale nell’anima: Per chi sono io? È la domanda della vocazione, è la domanda della vita per chi cerca la gioia. Martin Buber, nel suo Il cammino dell’uomo[4] parte con una domanda: Dove sei uomo? Nel cammino di fede, in quel rapporto dialogico tra strada, ospite e Comunità ospitante, viene generata «una maggiore evidenza del senso della vita e del tempo, una più profonda percezione della propria soggettività come possibilità in divenire, aperta alla comprensione della complessità del mondo e insieme della rivelazione di Dio nella storia. Nel viaggio si ricerca, dunque, una verità più grande come risposta alle domande esistenziali e personali che abitano nel profondo dell’animo umano, almeno come ipotesi di riflessione seria sul caso intricato della vita»[5]. Rispondere è l’unico atto che permette l’impresa del cammino, la costruzione di qualcosa che abbia una direzione: sapere dove si è arrivati e come si è arrivati per continuare, magari con qualche deviazione all’itinerario.
Un Cammino di fede è esperienza di guarigione. Ascoltare il ritmo della vita è accogliere la lentezza della storia, la parola dura di Pietro: «il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza»[6]. Non per tutti, infatti, la vita sembra fiorire, crescere, prosperare. Per alcuni i passi sono dolore, ingiustizia, divisione, egoismo, sofferenza, disperazione. Ma la strada – come nell’esperienza di Maria di Magdala nel mezzo del giardino[7] – si fa proposta a voltarsi. In quel voltarsi è richiesto un cambiamento di prospettiva da parte di chi cammina: la sua meta non è più una città o quel santuario, ma la sua meta diventa l’esperienza di stare lì, sulla Via, lasciandosi accompagnare, illuminare e guarire dal Maestro che chiede di respirare primavera, instaurando una relazione nello stesso tempo evocativa e generativa. Evocativa, perché quella voce che pronuncia il suo nome apre al cercatore pagine di memorie calde, capaci di asciugare lacrime. Generativa, perché il cercatore si trova a rinascere nella speranza, trovando il senso di una vita che da giardino custode di morte diviene giardino generatore di vita nuova. Un senso che spinge a superare ogni ripiegamento, scegliendo la fraternità, quella «fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono»[8].
Un cammino di fede è esperienza di trasfigurazione. Solo rammendando continuamente gli strappi che nel tessuto di un’anima si possono verificare lungo l’esperienza di un pellegrinaggio vitale, si può dar vita ad un percorso unificato. La nostra anima deve essere unificata, ci dice Buber, coinvolgendo anche il nostro corpo nel progetto; cosa non semplice, soprattutto oggi. La forza di questo messaggio ne esce rinnovata: nel nostro mondo in cui viviamo quotidianamente frammentati e decostruiti, tenere lo sguardo sull’obiettivo, unire i puntini, che sulla settimana enigmistica ci sembra così facile, non sempre ci riesce; la sequenza può essere spiazzante. Ad un certo punto, ogni vero pellegrinaggio accompagna a crocifiggersi davanti ad una domanda: A che scopo? Perché abbracciare un cammino su misura, a che scopo portare a unità l’essere? Ed ecco la risposta: Non per noi. Perciò Buber insegnava che occorreba cominciare in se stessi, ma non finire con se stessi; prendersi come punto di partenza, ma non come meta; conoscersi, ma non senza preoccuparsi eccessivamente di sé. Volgersi verso gli altri, quindi; non occuparsi più di sé. Dopo aver mondato il nostro luogo e tracciato il cammino, il passo successivo e ineludibile, senza il quale non siamo compiuti, è l’incontro con l’altro, con il TU/tu.
Cammini di Leuca: le coordinate dello stile
Le coordinate dello stile di ogni Cammino di fede che attraversa l’Italia verso le sue innumerevoli mete sono – secondo il modello del turismo conviviale – lentezza, benessere e festa.
La lentezza racconta l’uomo a se stesso. Siamo figli della strada e la lentezza dei cammini permette di ritrovarsi viandanti che hanno la strada per casa, ma non una strada impestata di briganti che derubano serenità, ma traboccante di amici ospitali che esaltano la preziosità di ognuno. La lentezza fa assaporare i respiri e dà voce al silenzio. La lentezza dispiega i sogni e tesse sentieri di novità. La lentezza fa riscoprire il proprio essere sistema aperto: per vivere è essenziale incontrare e comunicare. La lentezza detta pagine di storia inaudita, in cui il tempo si fa amico. Lungo i Cammini di fede per ogni cosa c’è un tempo! Il tempo del riposo e il tempo della fatica, il tempo del sorriso e il tempo delle lacrime, il tempo dei sogni e il tempo del reale. Per ogni cosa c’è un tempo. Un tempo che nasconde possibilità di realizzare fatti di bene e di pace, fatti di amore e di fraternità, fatti belli di vita vissuta in pienezza, in cui guardare lentamente il mondo, non passare di sfuggita. «Il viaggio è conoscitivo se ci fermiamo, sgraniamo i nostri occhi e consentiamo loro di imprimere un meraviglioso fotogramma all’interno delle nostre pupille dilatate dalla meraviglia dello spettacolo osservato. Lo sguardo che abbiamo del mondo non può essere reale se lo affidiamo allo scatto di una foto, né tantomeno può essere quello fugace dietro il finestrino di un’auto in corsa. Guardare con i propri occhi ci permette di conoscere, di sentire, di assistere, di assaporare, di esplorare, di gustare, di meravigliarci, di incuriosirci»[9]. E possiamo fare tutte queste cose solo sperimentando il risvolto benefico della lentezza. «Il viaggio lento, quello che dà da gustare luoghi e sapori, colori e odori, persone e storie, il viaggio che ha il tempo per scolpirci in profondità è arte da recuperare, da insegnare perfino: forse proprio attraverso quest’arte dimenticata possiamo un po’ recuperare la dimensione più umana dell’esistenza»[10].
Il benessere è fondamentale nell’esperienza dei Cammini di fede e dovrebbe diventarne la peculiarità, come la penitenza per il Cammino di Santiago. Qui è l’umanità dell’uomo ad essere protagonista nel suo anelito di benessere totale, valorizzando il tempo in funzione di un ordinato riconoscimento e potenziamento di tutta la persona in se stessa e delle sue necessarie relazioni con il prossimo»[11]. Benessere inteso come star bene. Camminare non deve necessariamente essere sinonimo di sofferenza, ma può e si vuole che diventi sempre più sinonimo di benessere, capace di guarire i sazi da morire di oggi. Camminare è godere del canto delle cicale e dell’ombra dei carrubi. Camminare è godere del saluto degli anziani seduti in piazza a chiacchierare e della porta che si apre per dare un sorso di acqua fresca. Camminare è godere dell’esagerazione del barocco e della nudità delle cripte. Camminare è godere dei colori del grano abbronzato e del nero delle formiche che ne trasportano la pula. Camminare è godere dei cinque sensi che risvegliano emozioni vitali, fino a far sperimentare il sesto senso, il senso di sentirsi davvero a casa, emozioni vitali che portano ad un vero e proprio percorso di accompagnamento con e nell’esperienza. Ma il benessere è anche inteso come essere bene. Chi cammina diventa segno di bene perché suona i campanelli e invita ad aprire porte. Chi cammina vive la gioia di essere segno di bene perché porta racconti nuovi in pagine già piene di storia. Chi cammina vive la gioia di essere segno di bene perché porta vita sulle strade e porta un volto da incontrare e con cui scambiare parole di speranza. Lo racconta molto bene Cristina Menghini quando scrive: «Abituati al ritmo veloce del nostro quotidiano, camminare diventa nell’immediato un modo per staccare la spina, facendoci tornare padroni del nostro tempo e degli spazi che la natura ci dona. Passo dopo passo, l’attenzione si sposta dai problemi di una vita frenetica e condizionata all’apprezzamento delle piccole cose e dei gesti semplici, mentre la mente si concede il tempo di pensare e riflettere, stimolando così nuove idee e punti di vista. Il cuore si alleggerisce delle sofferenze del passato e si concentra sull’emozione del presente, mentre la bellezza che incontriamo sul cammino inizia a vibrare nella nostra anima»[12].
La festa è la voce dei Cammini di fede, secondo il modello italiano. Chi cammina riceve il dono di feste patronali e di manifestazioni religiose disseminate lungo la via e nell’arco dell’intero anno. La festa è davvero l’elemento di qualità dell’esperienza dei Cammini italiani, perché la festa non è un tempo simile agli altri, ma è uno spazio culturale emblematico con un forte valore simbolico in cui «uomini e donne sperimentano un di più rispetto al quotidiano segnato dalla routine degli impegni. Il tempo della festa si presenta come un evento nel quale le persone si incontrano, gustando lo stare assieme nella condivisione del cibo e nella bellezza di uno spazio appositamente preparato. Sua intenzione è favorire un movimento relazionale gratuito, per poter incontrare l’altro, senza definizioni di ruolo, ma nell’interscambio di ciò che ognuno può mettere a disposizione. È un esercizio della sensibilità, ma anche dell’affettività che mira a promuovere la gioia e la riuscita dell’incontro, nel quale le stesse identità non temono di mettersi da parte, perché l’altro possa stare bene. […] In tal senso, non si pone come un tempo evasivo, ma quale possibilità di rispettare e promuovere il quotidiano, mostrando che la gratuità relazionale e la cura dell’altro sono valori che rendono meno faticoso il vivere»[13]. Perché la festa, apparentemente rumorosa, in realtà si fa silenzio e riposo, sempre accompagnata da riti e preghiera. La festa è davvero un tempo sacro e chi la vive ama con più coerenza se stesso, gli altri, la vita e, quindi, Dio. La festa educa all’attesa, alla celebrazione e alla gratitudine e diviene il centro focale dello scorrere dell’avventura alla ricerca del senso della vita. La festa si muove sempre attorno ad una chiesa, al cui interno il frastuono si rompe e la confusione svanisce e c’è il silenzio: non l’assenza del tutto, ma la presenza del Tutto. È in quel silenzio che l’ospite trova la pienezza del discorso, la felicità radicale, la comprensione totale dell’esistenza e della verità: essere tra solitudine e appartenenza solidale al Tutto.
Ed ogni Cammino si fa Pellegrinaggio.
«La parola pellegrinaggio ha registrato, lungo la sua storia, una molteplicità di significati. Il primogenio fondamentale si applicava a chi andava per i campi: per agros ire. Successivamente è stato usato per indicare chi lasciava la sua casa, la sua patria (o era costretto a fare ciò) per le ragioni più disparate: bisogno, divertimento, relax, castigo o pena, ecc. Prevalente però è stato il significato mistico-religioso per cui per pellegrinaggio si intendeva costantemente la visita a luoghi sacri per motivo di pietà e di devozione»[14]. Pellegrinaggio, oggi, è parola che evoca infinite pagine di racconti e di vissuti, ma che molto spesso sono rinchiusi nelle biblioteche del passato, come se fossero cose di altri tempi, che poco hanno a che fare con il contemporaneo. Pellegrinaggio, oggi, è parola che nasconde tentativi di tenere a freno novità di agire pastorale e rinchiude nella staticità di esperienze che non si rinnovano, uno stare tra la gente che ormai ha perso il sale della prima ora. Pellegrinaggio è parola che oggi deve necessariamente risuonare nuova per portare con sé quel Vangelo che tira la vita dai buchi dell’esperienza e che la spinge dall’aldiqua all’aldilà della rassegnazione per lasciarsi coinvolgere dalla speranza.
La proposta dei CAMMINI DI LEUCA
Obiettivo – entro giugno 2023:
L’Anello del BELLO
Cammino giubilare con un percorso culturale e spirituale
sul pensiero e la spiritualità di don Tonino Bello
Concept: Un anello che parte da e torna a De Finibus Terrae e che attraversa il capo di Leuca toccando i luoghi che hanno formato la personalità e la spiritualità del venerabile don Tonino Bello. Ugento permetterà agli ospiti di incontrare don Tonino come un educatore appassionato della vita. Gallipoli sarà un laboratorio di sguardi per incominciare ad avere lo stesso sguardo del Bello, imparando l’atteggiamento dello stupore. Collepasso sarà una sosta immersiva nel pensiero, allargando la mente agli stessi orizzonti di don Tonino. Vaste immergerà l’ospite nella storia di una terra che “povera e umile” ha forgiato la personalità del Bello. A Tricase Porto l’ospite incontrerà il molo su cui don Tonino ha composto la bellissima preghiera per Tricase “La lampara” per arrivare a Tricase e incontrare don Tonino come un pastore profumato di popolo. E, poi, ad Alessano l’incontro con lui, con la scoperta di trovare in un cimitero un seme di vita da raccogliere e portare con sé sugli ultimi 10 km dei Cammini di Leuca, da Leuca Piccola a De Finibus Terrae dove, nei Giardini di Leuca, trasformare l’esperienza in un tocco di campana, in un’invocazione che va lì dove il vento la porta.
Tappe:
1° TAPPA: Salve – Ugento
2° TAPPA: Ugento – Collepasso
3° TAPPA: Collepasso – Vaste
4° TAPPA: Vaste – Castro (imbarco) – Tricase Porto (sbarco) – Tricase
5° TAPPA: Tricase – Alessano – Leuca Piccola – De Finibus Terrae

[1] Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della CEI, Bellezza e speranza per tutti, 4
[2] Ivi, 17
[3] Cfr. Gn 18,1-10
[4] Buber M., Il cammino dell’uomo, Ed. Qiqajon, Magnano (BI) 1990.
[5] Mazza C. (a cura di), Sulle strade dell’anima. Per un turismo dal volto umano, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, p. 101
[6] 2Pt 3,9
[7] Cfr. Gv 20,11-18
[8] Francesco, Evangelii gaudium, 92
[9] Maluccio A., È tutto fast?, in «Luoghi e cammini di fede» 26(2018), p. 14
[10] Vinerba R., Il viaggiar lento. Uno stile di vita, in «Luoghi e cammini di fede» 26(2018), p. 12
[11] De Antoni D., Per un turismo a servizio dell’uomo, in Mazza C. (a cura di), Sulle strade dell’anima. Per un turismo dal volto umano, op. cit., p. 116
[12] Menghini C., La mia vita in cammino, in «Luoghi e cammini di fede» 26(2018), p. 17
[13] Dotolo C., Cristianesimo e interculturalità. Dialogo, ospitalità, ethos, op. cit., pp. 149-150
[14] Scarvaglieri G., Aspetti socio-pasorali del pellegrinaggio, in Andreatta L. – Marinelli F., Il pellegrinaggio. Via della Nuova Evangelizzazione, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1993, pp. 188-189