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La stella illumina la via per andare incontro a Cristo

Omelia nella Messa per l’inizio della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani,
Chiesa del Monastero SS. Trinità – Alessano, 18 gennaio 2022

Cari fratelli e sorelle,

il tema di questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è preso da una frase del Vangelo di Matteo: «Abbiamo visto apparire la sua stella» (Mt 2, 2). L’espressione evangelica ha un sapore universale. I Magi rappresentano l’umanità intera incamminata alla ricerca di Dio. Questo orizzonte planetario spiega l’urgenza dell’unità dei cristiani come segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano[1].

San Leone Magno, in uno dei suoi sermoni dedicati all’episodio dei Magi, sottolinea che, mentre il riconoscimento del Messia da parte del Battista e la notizia della nascita data ai pastori erano stati rivelati a pochi, «questo segno che muove efficacemente i Magi da lontani paesi e li attira irresistibilmente a Gesù, senza dubbio è il segno sacro di quella grazia e l’inizio di quella vocazione per cui non solo nella Giudea, ma in tutto il mondo si sarebbe predicato il Vangelo. […] Il significato di questi mistici fatti persiste ancora: ciò che era iniziato nell’immagine si compie oggi nella realtà. Infatti irraggia dal cielo, come grazia, la stella, e i tre Magi, chiamati dal fulgore della luce evangelica, ogni giorno in tutte le nazioni accorrono ad adorare la potenza del sommo Re»[2].

Il disegno salvifico di Dio si realizza secondo quanto annunciato dai profeti. Il primo riferimento profetico si riferisce alle parole di Balaam il quale, chiamato dal re moabita Balac a maledire Israele, lo benedice e ne profetizza un futuro radioso: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17). Il secondo riferimento riguarda la profezia di Michea, richiamata dai sacerdoti interpellati da Erode (cfr. Mt 2,6): «E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). Infine, il profeta Isaia indica il re persiano Ciro come il liberatore del popolo d’Israele dalla schiavitù babilonese (cfr. Is 41,2-3).

All’avverarsi della profezia di Balaam fanno riferimento Ireneo di Lione[3] e san Leone Magno. Quest’ultimo scrive: «Benché fosse un dono della divina bontà il far conoscere alle genti la nascita del Salvatore, i Magi per comprendere il prodigioso segno poterono essere istruiti anche dall’antico oracolo di Balaam sapendo che una volta era stata detta e con memoranda celebrità diffusa la profezia: “Un astro spunterà da Giacobbe, uno scettro sorgerà da Israele” (Nm 24, 17)»[4].

Tra gli autori più antichi che specularono su una origine fenomenica naturale della stella di Betlemme troviamo Origene che ne parla due secoli dopo l’evento della nascita di Gesù. Egli difende un’interpretazione fisica e, per distanziare la reazione dei Magi dalle pratiche astrologiche dei Caldei, la descrive come una “nuova” stella, diversa da quelle conosciute, analoga a quei fenomeni celesti che appaiono ogni tanto, come le comete[5]. Cita al riguardo un trattato Sulle comete dello stoico Cheremone, precettore di Nerone, ricordando che era prassi accettata che l’apparizione di comete o di nuovi astri segnalasse la nascita di importanti personaggi. Richiama al suo avversario Celso la profezia riportata da Nm 24,17 e giustificando in base ad essa il viaggio dei Magi. 

Un nutrito numero di Padri della Chiesa interpreta il viaggio dei Magi come un cammino di fede. La stella rappresenta la luce della fede che guida fino a incontrare e riconoscere il Messia. «In questa festa – scrive san Leone Magno – la divina provvidenza ha dato un grande aiuto alla nostra fede. […] Ai Magi, infatti, apparve la nuova luce di una stella più lucente che, mentre la guardavano, riempì i loro animi di ammirazione per il suo splendore, per cui credettero che non si doveva trascurare ciò che era annunciato con un segno tanto grande. La grazia di Dio era già preceduta — il fatto stesso lo rivela — a questo miracolo; e mentre non ancora tutta Betlemme aveva appreso la nascita di Cristo, la grazia già l’annunciava alle genti, perché la credessero. Ciò che non poteva essere esposto con le parole umane, lo faceva conoscere con l’annuncio del cielo»[6].

San Giovanni Crisostomo considera la stella un vero e proprio miracolo. Al suo simbolismo dedicherà la VI omelia del Commento al Vangelo di Matteo[7]. Per lui, l’apparizione della stella non può essere assimilata ad alcun vaticinio od oroscopo di natura astrologica[8]. «La stella dei Magi non fu una stella ordinaria, ancor più non fu una vera stella, ma una forza invisibile che prese le apparenze di una stella […]. Considerate dunque donde venne ai Magi l’idea del viaggio e ciò che li spinse ad intraprenderlo. A me pare che non fu solo opera della stella, ma anche opera di Dio che mosse le loro anime»[9]. In tal modo, egli mette in luce la dimensione spirituale del viaggio senza negare l’esistenza di un segno sensibile, ma miracoloso, in quanto non legato a fenomeni naturali, ordinari o straordinari.

Nel terzo sermone dedicato all’episodio dei Magi, san Leone Magno interpreta la stella come un’ispirazione divina: «Una stella, più fulgente delle altre, attira l’attenzione dei Magi, abitanti dell’estremo oriente. Essi erano uomini non ignari nell’arte di osservare le stelle e la loro luminosità, per questo comprendono l’importanza del segno. Certamente operava nei loro cuori la divina ispirazione, affinché non fosse nascosto a essi il mistero significato da questa grande visione e non restasse oscuro per l’animo ciò che era mostrato agli occhi»[10].

Lo stesso san Leone Magno interpreta la stella come la luce della ragione, segno della luce del Logos, che è vita e luce fontale. L’incarnazione del Verbo è la manifestazione della ragione eterna. Sviluppando la valenza allegorico-spirituale della narrazione, san Leone Magno propende per un evento naturale che spinse i Magi a comprendere il più alto significato cui esso puntava: «Ai tre Magi apparve in Oriente una stella di straordinaria luminosità […] perché facilmente attirasse la loro attenzione. Così poterono rendersi conto che non avveniva a caso ciò che sembrava loro tanto insolito. Infatti, colui che aveva dato il segno, diede a quei che l’osservavano anche l’intelligenza per poterlo comprendere (dedit ergo aspicientibus intellectum, qui praestitit signum). E poi fece ricercare ciò che aveva fatto comprendere e, ricercato, si fece trovare»[11].

Per alcuni altri autori, infine, l’apparizione della stella è un esempio di midrash haggadico, costruito dall’evangelista per dimostrare il compimento delle profezie. In linea con la lettura midrashica, la stella e il suo fulgore ripropongono la gloria di Dio (kabôd Jahvè), che si manifestava in modo visibile con una nube, coprendo il luogo ove Jahvè scendeva con la sua presenza: il tabernacolo dell’Esodo e, successivamente, il Tempio di Gerusalemme (cfr. Es 40,30-34; 1Re 8,10). Il luogo della nascita di Gesù Cristo è figura del vero tempio, quello invisibile, ricoperto dallo splendore “luminoso” della stella, come “luminosa” era la nube della gloria divina. 

In conclusione, bisogna seguire la stella per realizzare fino in fondo il nostro cammino di santità. La stella è la luce in fondo al buio che aiuta a districarci nelle difficoltà e a orientarci verso la meta. «Dio ci ha chiamati con inequivocabile chiarezza. Come i Magi, anche noi abbiamo scoperto nel cielo dell’anima la stella che ci guida e illumina […] il dono di un impulso efficace per giungere alla pienezza della carità, convinti che è necessario – e non solo possibile – raggiungere la santità anche in mezzo alle attività professionali, sociali […]. La vocazione cristiana non ci toglie dal nostro posto, ma esige che abbandoniamo tutto ciò che è di ostacolo al volere divino»[12].  Il riconoscimento e la guida di una luce che a volte appare e a volte scompare, i sentimenti di stupore, di attesa e di gioia, sono la metafora di ogni vita cristiana vissuta come ricerca dell’incontro con Dio. 


[1] Cfr. Lumen gentium, 1.

[2] Leone Magno, Sermones, XXXV, 1-2. Papa Leone Magno presta particolare attenzione nei suoi otto Sermoni sull’Epifania (PL 54, 234-263).

[3] Cfr. Ireneo, Adversus haereses, III, 9,2.

[4] Leone Magno, Sermones, XXXIV, 2.

[5] Cfr. Origene, Contra Celsum, I, 58-59.

[6] Leone Magno, Sermones, XXXIV,1.

[7] Cfr. PG 57, 61-72.

[8] Cfr. Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo, V, 1.

[9] Ivi, VI, 2.4.

[10] Leone Magno, Sermones, XXXIII, 2.

[11] Id., Sermones, XXXI, 1.

[12] J. Escrivá, È Gesù che passa, Milano 1982, nn. 32-33.