
Intervento di Sua Ecc.za Mons. Vito Angiuli
Vorrei dire una parola innanzitutto sul titolo del libro, La mano e l’intelletto. Come è stato ricordato, si tratta di una frase tratta da un sonetto di Michelangelo Buonarroti[1]. La frase suggerisce l’idea che la parte dominante nell’opera artistica sia svolta dalla mente, dall’intelletto, e che la mano sia solo la parte esecutrice.
A me pare di vedere anche un secondo livello di interpretazione, ovvero che la mano ha una sua capacità creativa che è propria dell’artista e che solo egli possiede. Non è infatti sufficiente avere ideato un’opera, bisogna avere di fatto la mano dell’artista, le sue capacità tecniche, affinché l‘opera pensata possa realizzata.
Non si tratta solo di mera esecuzione poiché prima ancora del lavoro manuale vi è un livello di profondità ulteriore, che consiste nella capacità stessa di immaginare la forma dare a quell’idea. VI è dunque una sequenza: l’idea, l’immagine dell’idea e infine la sua esecuzione materiale. È necessario che la mano dell’artista abbia la capacità di dare forma concreta all’idea.
Come è stato sottolineato dall’intervento di chi mi ha preceduto, l’atto creativo ha in sé qualcosa di divino. La Sacra Scrittura, e in particolare il libro della Genesi, ci presenta Dio come un grande artista. Egli prende l’argilla e gli infonde la sua vita, il suo Spirito, realizzando un’opera d’arte: la creazione dell’uomo.
La frase di Michelangelo rappresenta, a mio parere, un elogio ad entrambe le tue capacità, caro Donato Minonni: all’intelletto che crea e alla mano che sa dare forma concreta all’idea. Tutto questo, poi, è possibile grazie alla tua competenza tecnica che consente il ricorso a materiali e forme espressive tra le più diverse. Potrei dire che considero questo l‘aspetto più importante della tua opera di artista: la tua capacità di dare forma all’anima attraverso la materia.
Vorrei dire ancora qualcosa a proposito della via pulchritudinis che è stata richiamata poco fa quando sono stati citati i discorsi di Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. È una via per scoprire l’essenza dell’uomo attraverso la bellezza. Vi è nell’arte una duplice dimensione: la prima ha un valore antropologico, poiché vede l’artista impegnato nel tentativo di fare emergere attraverso la sua opera la bellezza che è già contenuta nell’a sua umanità; l’altra interpreta la bellezza divina, poiché l’arte è anche il desiderio di esprimere il mistero ineffabile di Dio. Sin dall’antichità, l’arte è lo strumento per esprimere l’invisibile nel visibile.
Infine, vorrei tornare a porre l’accenno alla spiritualità della santità pugliese. Quando, su invito dell’arcivescovo, mi sono ad Otranto per la celebrazione dei santi Martiri idruntini, tenni una omelia proprio su questo argomento. Attraversando la Puglia, si incontrano luoghi straordinari che, considerati nell’insieme, permettono di comprendere la stessa essenza di queto territorio.
Si ricordi, a questo riguardo, la famosa “spada” di san Michele che parte dall’Irlanda, tocca l’Inghilterra e la Francia, con Mont-Saint-Michel, raggiunge poi l’Italia con la Sacra di san Michele. Questa linea arriva fino in Puglia, al santuario di san Michele, e prosegue terminando poi a Gerusalemme. Una linea, quindi, che connette la Puglia con l‘Europa del Nord.
Ma oltre a questo collegamento con l’esterno, con il mondo europeo, vi è un itinerario spirituale interamente contenuto nel territorio pugliese, che partendo dal già citato santuario di san Michele Arcangelo passa per la Basilica di san Nicola e la Cattedrale di Otranto, e da tutto ciò che Otranto ha rappresentato per la storia del Mediterraneo, soprattutto in termini di lotte e di contrasti, si conclude al santuario della Madonna di Leuca, faro del Mediterraneo e che accoglie tutto e lo rinvia e lo riconsegna, a Dio per le mani della Vergine Maria.
[1] «Non ha l’ottimo artista alcun concetto / ch’ un marmo solo in sé non circonscriva / col suo superchio, e solo a quello arriva / la man che ubbidisce all’intelletto», Michelangelo Buonarroti, Rime, 151, Einaudi 1967, p. 161.