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LA DECORAZIONE NELLA CRIPTA DELLA MADONNA COELIMANNA

LA DECORAZIONE NELLA CRIPTA DELLA MADONNA COELIMANNA[1]

di Stefano Cortese

Ormai non più fruibile a causa delle pessime condizioni di conservazione, la cripta della Vergine della Coelimanna, sita nel cimitero comunale di Supersano (alle spalle della chiesa seicentesca[2]), insiste in un sito che ha già rivelato una frequentazione sin dall’età preistorica. Innanzitutto, va specificata la provenienza dell’originale titolo della Vergine, il quale sembrerebbe trarre origine dalla coltivazione dell’albero della manna (fraxinus ornus), come dimostrato da Tarantino[3].

Stando ai dati attuali, non abbiamo le tracce per poter individuare un insediamento medievale o monastico nelle immediate vicinanze delle cripta; va tenuto presente tuttavia che le cripte quasi mai sono le chiese dei monaci italo-greci, piuttosto cappelle a valenza funeraria con dipinti votivi, connotato dalla quasi sempre assenza del ciclo cristologico, tranne per la scena dell’Annunciazione[4].

La cripta oggi visitabile è completamente scavata, ha una forma vagamente rettangolare ed è collegata ad un lungo cunicolo posto in prossimità dell’altare originario (occidente); in adiacenza inoltre esiste un vano di forma quadrangolare inaccessibile (in direzione a sud), sulla cui funzione non abbiamo alcuna certezza, ma che non risulta essere un caso singolare[5].

Nell’invaso sono riconoscibili due macrofasi, riscontrabili dalle diverse quote del soffitto piano: il primo periodo è riconducibile nell’area dove sono presenti gli affreschi medievali (dalla fine dell’XI alla prima metà del XIV secolo, tranne qualche eccezione), spazio inoltre contrassegnato dalla presenza di due pilastri a separare il bema dal naos; il secondo ciclo è percepibile soprattutto nella zona posta a destra dell’ingresso e da collegare alla presenza del santuario (post XVII secolo).

Il primo affresco eseguito nell’invaso è un dittico posto sulla destra rispetto l’ingresso, datato tra la fine del XI-prima metà XII secolo[6]: nel pannello su sfondo tripartito sono raffigurati i santi Andrea Apostolo e, probabilmente, Michele il Sincello[7]. Quest’ultimo santo, forte propugnatore della venerazione delle icone nel contesto iconoclasta (727-843), testimonia lo stringente legame della nostra area con l’Oriente, e in modo particolare Costantinopoli, essendo stato  un forte sostenitore della venerazione delle icone nella capitale contro “il maligno imperator d’Oriente”[8]. Il santo monaco è ritratto barbuto; indossa la l’anabolos (scapolare), regge una croce astile con la mano destra e si appoggia ad un bastone a tau con la sinistra. La figura che si affianca al santo bizantino è quella di un santo anziano che indossa il pallio, con un cartiglio in una mano e benedicente alla greca con l’altra: si tratta di sant’Andrea apostolo, patrono di Costantinopoli e testimone ancora una volta del forte legame con la temperie religiosa bizantina, nonostante l’avvento normanno nel Meridione già avvenuto nel momento dell’esecuzione della pittura. E’ una delle prime riproduzioni del santo nel Salento, qui benedicente alla greca con un cartiglio in mano e i calzari a sandalo: gli altri affreschi del santo apostolo in zona sono presenti nelle cripte dei SS. Stefani a Vaste, di Pozzamauro a Presicce e nella cripta di S. Biagio a San Vito dei Normanni. Entrambe le figure del dittico sono corredate da iscrizioni esegetiche greche.

Al ciclo della prima metà XIII secolo appartengono i due santi frontali campiti sui pilastri a comporre quasi una barriera, per separare il bema dal naos. Il santo diacono a destra è sicuramente Stefano, come ricorda l’iscrizione esegetica greca STEFANOS, ubicata (insolitamente) a sinistra del capo[9]. Il santo diacono è giovane e imberbe, con una chierica appena visibile; indossa la dalmatica con ricchi fregi e viene colto mentre con la mano destra agita l’incensiere e con la sinistra regge una pisside elaborata il cui lato anteriore è decorato da una grande croce gemmata[10]. Il santo, di solito assieme a Lorenzo, è frequentemente posizionato ai lati dell’altare o sui pilastri che introducono al bema, al fine di ricordare la funzione dei diaconi nella liturgia[11]: altri esempi di simile posizione è riscontrabile nelle chiese di S. Nicola in Celsorizzo ad Acquarica del Capo, nella cripta dei SS. Stefani a Vaste e nella chiesa abbaziale di S. Maria di Cerrate.

Sull’altro pilastro compare un giovane santo coperto da strati di carbonatazione, ma sembra indossare il saio monacale, in quanto si intravede la cuculla: non sarebbe peregrino immaginare affrescato san Benedetto[12] o, più probabilmente, san Francesco d’Assisi, a causa della giovane età. Oggi è visibile anche un volume con una iscrizione, ma solo l’eventuale restauro probabilmente potrà delineare l’identità del personaggio che sicuramente non può essere san Lorenzo[13]. La presenza del santo d’Assisi non risulta essere insolita in una cripta visto che a Fasano al santo in questione è addirittura intitolata una cripta; il santo inoltre è campito nella cripta di Sant’Antonio Abate a Nardò (inizi XIV secolo). Essendo la cripta Secondo alcuni studiosi, san Francesco è il punto critico d’incontro e di separazione tra la spiritualità latina e quella greca[14], corroborata dal fatto che nell’invaso di Supersano compaiono iscrizioni bilingue di entrambi i culti.

Al terzo ed ultimo ciclo medievale appartengono altre figure (prima metà del XIV secolo), tutte ubicate a sinistra dell’ingresso e che tradiscono una convivialità di gusti latini e greci, dal tipo di benedizione alle iscrizioni esegetiche.

Un Cristo Pantocratore è dipinto in controfacciata, su sfondo tripartito. Purtroppo il panello è lacunoso nella porzione centrale ma si intuisce che la Figura è seduta in trono, ha il nimbo crucigero e benedice con la mano destra alla greca, mentre con la sinistra regge il vangelo con la canonica iscrizione “EGO SUM LUX MUNDI QUI SEQUITUR ME NON AMBULANT IN TENEBRIS” (Gv 8,12): Sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre.

Segue un santo ignoto, indicato come un probabile san Giovanni Evangelista, anche in base all’iscrizione decifrata e riportata dal Fonseca “EVANG…”[15]. Da un’analisi più approfondita possiamo asserire che siamo di fronte proprio al santo evangelista in quanto con una mano benedice alla greca e con l’altra regge il vangelo dove si intravedono alcune lettere che ho sciolto nel passo “IN PRINCIPIO ERAT VERBUM/ET VERBUM ERAT APUD DEUM”, ovvero i versi iniziali del sacro testo scritto dall’evangelista.

A seguire san Nicola, di taglio decisamente monumentale. Il santo vescovo indossa i consueti abiti episcopali, benedice alla greca con la mano destra, mentre con la sinistra regge il vangelo chiuso. Presenta un nimbo perlinato, ha grandi occhi bruni e rughe d’espressione, ma a risaltare è il taglio di tre quarti, tipico dell’epoca: siamo infatti di fronte alla pittura successiva alla quarta crociata (1204-1261), evento che ha determinato un forte incremento di icone provenienti dall’Oriente e che ha influenzato anche la pittura murale attraverso il ricorso a motivi decorativi e misure tipiche delle caratteristiche iconiche[16]. Alcuni esempi di tale pittura sono presenti nella cripta del Crocefisso di Ugento, cripta Santi Stefani a Vaste, nella cattedrale e cripta Sant’Antonio Abate di Nardò e nella chiesa Santa Lucia a Brindisi. Fonseca[17] vi aveva riconosciuto la doppia iscrizione esegetica sia in greco che in latino.

Infine, proseguendo nella rientranza del muro, sopra un pozzo artesiano e prima del lungo cunicolo, compare san Giovanni Battista. Un tempo sia Medea che Fonseca riuscirono ad intravedere le due iscrizioni esegetiche, oggi purtroppo non riscontrabili, ma a risaltare è ancora una volta dei caratteri greci e latini, forse segno della coesistenza di più culture: ai tempi della visita della Medea (anni ’30) infatti erano alcune visibili alcune lettere O A – I W – O PR – O e dall’altro lato /// ES – B ///STA., ad indicare rispettivamente il testo “San Giovanni il Precursore” e “Giovanni Battista”[18].  Oggi si intuisce che il santo benedice alla greca con la mano destra levata in alto e regge un rotolo dispiegato ma non più decifrabile. Diverse sono le riproduzioni in cripta del Precursore: versa in buon stato di conservazione quello quasi coevo posto su un pilastro della cripta posta sotto la chiesa dell’Assunta in Sanarica. Altri esempi frammentari sono posti nella cripta del Crocefisso di Ugento (in prossimità dell’ingresso originario), cripta Santa Maria degli Angeli a Poggiardo e nella cripta di San Marco a Ruffano.

Le successive decorazioni non appartengono più allo stile bizantino e tradiscono una fattura più popolare. Il De Giorgi, a tal proposito, ebbe modo di esclamare: <<che divario fra quegli antichi pittori e i moderni realisti! Quelli sacrificavano la forma all’idea: i nostri fanno il contrario. Quei vecchi dipinti parlano al cuore, e questi nostri si direbbe che son destinati più ad accarezzare la retina, che ad invitare alla preghiera>>[19].

Ad epoca imprecisata risale l’affresco della Vergine in trono con Bambino, di stampo decisamente latino e che potremmo ricondurlo ad un ciclo più tardo; essendo comunque ubicato sopra il primitivo altare, non si esclude la presenza di un altro strato pittorico sottostante. La Vergine è seduta in trono (quest’ultimo elemento fortemente prospettico) con un himation color porpora e un maphorion blu bordato oro: con la mano sinistra porge un frutto, forse una mela o melagrana, mentre con la destra regge il Bambino. Quest’ultimo poggia sulle gambe della Madre e benedice alla latina. Questo tipo di iconografia, conosciuta in alcuni casi come Madonna della Neve, risulta essere in voga tra il XV-XVI secolo, come attestano i casi di Copertino (chiesa madre), Salve (Madonna delle Gnizze), Nardò (cattedrale), Ugento (Madonna della Luce); altri esempi sono scomparsi come nel caso della chiesa abbaziale Santa Maria del Civo a Melissano e del santuario Madonna della Strada a Taurisano[20]. Se il Quagliati[21] risalta i caratteri della pittura duecentesca, Medea[22] propone una datazione al XIV, attraverso i confronti con quelli del ciclo coevo in S. Maria di Poggiardo: molto più probabile risulta essere invece una datazione cinquecentesca.

Allo stesso ciclo (XVI secolo) probabilmente risalgono altri dipinti. Adiacente al pilastro dove è campito santo Stefano troviamo un santo vescovo dall’identità anonima; in occasione di un convegno del 2013 ebbi modo di affermare che il santo in questione dovrebbe essere sant’Eligio[23], meno probabile un san Donato. Diversi esempi corroborano tale personale ipotesi come nei casi presenti nella chiesa madre di Tiggiano, nella cripta del Crocefisso della Macchia di Ruffano, nel convento Santa Maria la Nova di Racale, nella chiesa madre di Taviano e nella chiesa Santa Maria della Croce a Casaranello (1538); proprio con il pannello pensile di Casarano, in particolare, i tratti somatici presentano stringenti analogie con l’opera eseguita a Supersano. Ai piedi del santo, sulla sinistra, è presente un mulo retrospiciente (il santo francese è protettore dei fabbri), mentre sulla destra è presente la committente in atteggiamento orante.

Segue, sullo stesso pilastro, l’affresco della Madonna della Misericordia, con la sua classica iconografia, ovvero con le braccia che vanno ad allargare il manto e sotto il quale sono presenti confratelli incappucciati in atteggiamento orante. Non mancano i confronti, ascrivibili al XVI-XVII secolo, in modo particolare con l’affresco eseguito all’interno della cripta del Padre Eterno di Otranto; altri esempi sono visibili a Galatina, Calimera, Muro Leccese e Martignano.

Frontalmente a quest’ultimo pannello, affianco al dittico sant’Andrea e san Michele, compare un’ulteriore Vergine con Bambino seduta in trono. L’affresco cinquecentesco in questo caso è corredato dalle iscrizioni MHP e QV, a sinistra e a destra del capo di Maria, mentre sulla testa del Bambino, ritratto in atteggiamento benedicente ormai alla latina, vi è la sigla IC XC[24].

Tra la fine del ‘600-inizi ‘700 potremmo datare l’altare baroccheggiante rivolto a nord e caratterizzato da colonne laterali sopra la mensa ma che si innestano sopra due teste cherubiche, con rastremature piene fino ad un terzo dell’altezza, per poi diventare vuote. Al centro dell’altare è posta una icona ogivale raggiata, motivo decorativo molto in voga all’epoca[25], circondata nelle soluzioni angolari da altre quattro teste cherubiche. All’interno della stessa vi è affrescata una Madonna con Bambino in asse, sul modello bizantino della Nicopeia, ma realizzato in chiara temperie latina: prova ne sia il vangelo che il Bambino regge con la mano sinistra, dove si intravedono alcune lettere latine a comporre la canonica iscrizione “EGO SUM LUX MUNDI…”, iscrizione già riscontrata in un’altra pittura.

Poco dopo furono eseguiti i motivi decorativi che abbelliscono l’area ampliata della cripta, probabilmente in occasione della riapertura del santuario (1746)[26]. Tra i pannelli è riconoscibile una Crocefissione con la Vergine, san Giovanni Evangelista e Maria Maddalena ai piedi della croce (in basso sono presenti due gradini per inginocchiarsi); segue, dopo delle decorazioni a racemi che si sviluppano in verticale, un piccolo affresco di san Vito, abbigliato da soldato romano mentre regge la palma del martirio nella mano destra, mentre due cani contrapposti sono posti in basso a destra. Segue in basso è costruito un seggio riservato probabilmente al ministro di culto, in quanto su di un lato è presente un gradino: probabile si tratti di un confessionale. Sul muro nord corrono le decorazioni a motivi vegetali e teste cherubiche, a sovrastare il tipico gradino-sedile che corre lungo tutto il lato. La presenza di quest’ultimo elemento, oltre che della diversa quota e dell’assoluta assenza di tracce decorative di età medievale dovrebbero essere indizi di una funzione dell’area data solo in età moderna. I settecenteschi motivi decorativi si ripetono lungo il corpo di questo vano e sono composti in modo particolare da motivi vegetali e da stelle sul soffitto.

E proprio in prossimità della porta, in una piccola nicchia, è presente una chicca. Una figura stilizzata e scheletrica regge la falce e un sacchetto, mentre ai piedi sono posti i simboli del potere temporale e spirituale, ovvero mitria e pastorale e una corona: si tratta inequivocabilmente della personificazione della Morte, ipotesi rinvigorita anche dalla collocazione dello stesso nelle vicinanze dell’unica porta di accesso/uscita, quasi una testimonianza del memento mori

E forse proprio questo ciclo settecentesco è testimone delle devozione verso il culto della Vergine Coelimanna, conseguenza del prodigioso episodio che vede l’apparizione mariana e la pastorella che corse “veloce a dare la novella/ e s’inebriò ogni casa, ogni capanna”[27]. Da quel momento in poi, il legame tra la comunità e il sacro luogo divenne indissolubile.

Stefano Cortese

BIBLIOGRAFIA

-S. CALO’- S. CORTESE 2015, “Architettura e pittura delle chiese rupestri. Schemi architettonici e decorativi nelle cripte delle Serre Salentine” in S. Calò, Paesaggio di pietra, Arbor Sapientiae, Roma, pp. 144-162

-S. CORTESE 2013, “L’iconografia di sant’Ippazio nel Salento”, in I Bizantini nel XXI secolo, a cura di Stefano Tanisi, Domus Dei, Ugento, 2013, pp. 19-26

-S. CORTESE 2014, “La cripta della Madonna di Coelimanna”, in Supersano. Arte a tradizione, scoperta e conoscenza, giugno 2014, pp.3-4

-S. CORTESE 2015, “Una chiesetta da salvare: La Madonna delle Gnizze a Salve”, in Annu novu Salve vecchiu XIX, 2015, pp. 70-77

– C. DE GIORGI 1975, Bozzetti di viaggio, Congedo, Galatina, 1975 (ristampa), Vol. I, pp. 149-150

-R. DE VITIS, Poesia “Madonna della Celimanna”

– C. M. DIEHL 1892, “Notes sur quelques monuments byzantins de l’Italie mèridionale”, in Mèlanges d’archèologie et d’histoire, vol. XII, 1892

– M. G. FALLA CASTELFRANCHI 1991, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Electa, Milano

-M. G. FALLA CASTELFRANCHI 2004, “La decorazione pittorica bizantina della cripta della Celimanna” in Supersano. Un paesaggio antico del basso Salento, Congedo, Galatina, 2004, pp. 67-80

-M. G. FALLA CASTELFRANCHI 2006, “La decorazione pittorica della cripta del Crocefisso ad Ugento”, in M. C. De Matteis a cura di, La cripta del Crocefisso ad Ugento. La storia, gli studi, le nuove acquisizioni, Presicce, 2006, pp. 39-57

-C. D. FONSECA 1979, Gli insediamenti rupestri nel Basso Salento, Congedo, Galatina

-G. GABRIELI 1936, “Inventario topografico e bibliografico delle cripte eremitiche Basiliane della Puglia”, in Atti del V congresso internazionale di studi bizantini (Roma 20-26 settembre 1936), Roma 1936

-A. MEDEA 1939(ristampa 2014), Gli affreschi nelle cripte eremitiche pugliesi, Capone, Cavallino, pp. 150-153

– Q. QUAGLIATI 1925, “Prefazione” in V. Gallo, La Tebaide d’Italia, Napoli, 1925, p. VIII

– R. SANSONE 2003, La cripta della Madonna di Coelimanna, Galatina, 2003, pp. 37-38

– Y. SPITERIS, Francesco e l’oriente cristiano. Un confronto, Roma, 1999, p. 6

-S. TANISI 2014, “Il Santuario della Vergine di Coelimanna”, in Supersano. Arte a tradizione, scoperta e conoscenza, giugno 2014

-F. TARANTINO 2011, “L’albero della Manna nelle campagne di Supersano”, in Note di storia e di cultura salentina XXI, 2010-2011, Edizioni Grifo, Lecce, pp. 268-275

-A. VENDITTI 1967, Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1967 (ristampa)


[1] Articolo rivisto apparso in due numeri della rivista “Il nostro giornale”, n°88-89, Editrice Salentina, Galatina, 2018

[2] La chiesa risale al 1670, costruita dal principe di Ruffano Pietro Brancaccio. Si consulti TANISI 2014

[3] TARANTINO 2011, pp. 268-275

[4] FALLA CASTELFRANCHI 1991

[5] Si confronti per esempio con la cripta del Cirlicì di Parabita. Sulle funzioni si veda VENDITTI 1967, p. 244 e FONSECA 1979, pp. 205-211

[6] FALLA CASTELFRANCHI 2004, pp. 69-80. La docente universitaria ha proposto le datazioni oggi ritenute le più attendibili e che sono riportate nel seguente contributo.

[7] Sull’identità del presunto san Michele il Sincello si consulti Falla 2004

[8] DE VITIS

[9] Negli studi il santo veniva spesso confuso con Lorenzo. Sansone attribuisce definitivamente l’identità al Protomartire grazie alla lettura dell’iscrizione esegetica. Si confronti SANSONE 2003, pp. 37-38

[10] FALLA CASTELFRANCHI 2004, pp. 69-80

[11] CALO’-CORTESE 2015, pp. 161-162

[12] La presenza di un San Benedetto affrescato in questa cripta viene rilevata dal C. M. DIEHLl 1892, pp. 379-380; si consulti anche GABRIELI 1936, p. 62

[13] FALLA CASTELFRANCHI 2004, pp. 69-80; CALO’-CORTESE 2015, p. 161

[14] Y. Spiteris, Francesco e l’oriente cristiano. Un confronto, Roma, 1999, p. 6

[15] FONSECA 1979, pp. 205-211

[16] FALLA CASTELFRANCHI 2006, p. 45; FALLA 2004, p. 78

[17] FONSECA 1979, pp. 205-211

[18] MEDEA 1939, p. 153

[19] DE GIORGI 1975, pp. 149-150

[20] CORTESE 2015, pp. 70-77

[21] QUAGLIATI 1925, p. VIII

[22] MEDEA 1939, pp. 152-153

[23] CORTESE 2013, pp. 19-26.

[24] CALO’-CORTESE 2015, p. 154

[25] Numerosi sono gli esempi in zona: Cursi, Casarano, Copertino, Palmariggi, Carpignano, ecc.. Per maggiori informazioni si consulti CORTESE 2015, pp. 70-77

[26] Il 1746, data incisa sul portale, rappresenta la data di riapertura del santuario e non della sua edificazione. Per maggiori informazioni si consulti TANISI 2015

[27] DE VITIS