
Felice Di Molfetta, “Imitamini quod tractatis”. Dall’ordinazione alla missione dei presbiteri nella Chiesa, (= Theologica Uxentina, 9), Edizioni Vivere In, Monopoli (BA) 2019, pp. 119.
Chi ha partecipato ad una ordinazione sacerdotale avrà ascoltato, tra le tante formule di preghiera che caratterizzano il rito di ordinazione, queste parole: “vivi il mistero che è posto nelle tue mani”, mentre il Vescovo consegna all’ordinato il pane e il vino per l’Eucaristia. Si tratta di un rito il cui senso è esplicitato dalla formula pronunciata: nell’atto in cui il Vescovo consegna il pane e il vino per la celebrazione eucaristica, l’ordinato è chiamato a conformare la sua vita al mistero che è posto nelle sue mani, ovvero a fare della sua stessa vita un’offerta gradita a Dio, sull’esempio di colui che è venuto nel mondo non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per i fratelli.
Questa formula racchiude in sé una esigenza importante: colui che è stato ordinato sacerdote è chiamato a saper coniugare la celebrazione con la vita. Il sacerdote, dunque, è chiamato non solo a celebrare il mistero attraverso il rito ma a vivere il mistero racchiuso nel rito fino a impregnare la sua stessa vita di quel mistero di cui egli è ministro.
A questo concetto rimanda il contenuto del nono volume della collana Theologica Uxentina, che affronta la riflessione sul ministero ordinato, evidenziandone i fondamenti teologici e i risvolti pastorali a partire proprio dalla pregnanza di significato del suo titolo: “Imitamini quod tractatis”. Dall’ordinazione alla missione dei presbiteri nella Chiesa.
Sulla scia del monito di Paolo rivolto al discepolo Timoteo, di ravvivare il dono ricevuto mediante l’imposizione delle mani (cf. 2 Tm 1,6), il presbiterio di Ugento è stato accompagnato, nel corso dell’anno pastorale 2017-2018, dalla intelligente e sapiente riflessione di S.E. Mons. Felice Di Molfetta, Vescovo emerito di Cerignola-Ascoli Satriano, nella “reviviscenza” del proprio ministero a partire dalla meditazione sulle potenzialità teologiche, liturgiche, spirituali e pastorali presenti nel rito di ordinazione. Una vera e propria opera mistagogica, quella che il Vescovo Felice ha voluto proporre al clero ugentino nel corso delle sue meditazioni, modulate sui registri della riflessione teologico-liturgica, della contemplazione spirituale e della attuazione esperienziale.
Tale opera di manuductio nella riscoperta della ricchezza del ministero mediante i ritus e le preces dell’ordinazione presbiterale, ha trovato una sua sistemazione nei sette capitoli del volume che offrono al lettore un percorso articolato, partendo dall’actio liturgica e dal mistero in essa racchiuso alla vita e alla missione del presbitero, il quale è abilitato, mediante l’effusione pentecostale dello Spirito di santità, alla missione di salvezza che Cristo ha affidato agli apostoli, esercitata all’interno del presbiterio costituito dai confratelli.
Nel primo capitolo, In principio la Parola. La Liturgia, contesto vitale della Parola (pp. 17-34), richiamando il ruolo del presbitero come uomo della Parola, si focalizza l’attenzione sulla proclamazione della Parola di Dio e sul suo contesto vitale determinato dalla liturgia all’interno della ecclesia, sottolineando lo stretto legame tra Parola e liturgia.
Il secondo capitolo, Il Verbo divino procede dal silenzio. Il linguaggio del silenzio (pp. 35-48), sottolinea il valore antropologico, sacramentale e mistico del silenzio, come ambito generativo della Parola, spazio entro il quale si impara ad ascoltare e ad accogliere il Verbo, via di accesso al mistero.
Il terzo capitolo, Configurazione a Cristo attraverso il rito di ordinazione presbiterale (pp. 49-59), richiamando il rito di ordinazione, rilegge la vita del presbitero attraverso alcuni elementi rituali, ovvero l’eccomi e il sì lo voglio nella prospettiva del servizio come categoria qualificante il ministero.
Il quarto capitolo, Il presbitero memoria del Cristo orante (pp. 61-72), insiste nel richiamare l’impegno assunto dal presbitero il giorno della sua ordinazione di dedicarsi intensamente alla preghiera. Egli è l’uomo della oratio e della contemplatio oltre che dell’actio. La vita del presbitero si snoda nell’equilibrio tra assiduità con il Signore e missione verso gli uomini, assiduità determinata dalla necessità di dare importanza prioritaria alla preghiera della liturgia delle ore.
Il quinto e sesto capitolo, Il presbitero icona dell’amore misericordioso del Padre (pp. 73-86), e Eucaristia, mistero da vivere (pp. 87-100),mentre rievocano la domanda del rito di ordinazione relativa alla volontà del candidato di celebrare i misteri di Cristo secondo la Tradizione della Chiesa, sottolinea da una parte quella che Papa Benedetto chiamava la priorità pastorale di formare rettamente la coscienza dei credenti mediante la catechesi e la celebrazione del sacramento della riconciliazione. Il presbitero, nell’esercizio del ministero della riconciliazione, appare sempre più come il testimone della misericordia divina. Dall’altra si pone l’accento sulla celebrazione dell’Eucaristia considerata nella prospettiva della anamnesis, secondo il racconto dell’istituzione, e della mimesis, in riferimento alla testimonianza giovannea della lavanda dei piedi.
Chiude il volume il capitolo sulla missione del presbitero in stretta relazione con il sevizio della liturgia: Il servizio della liturgia alla missione della Chiesa (pp. 101-115). Liturgia e missione sono intesi non come elementi astratti, ma, secondo la prospettiva neotestamentaria, come eventi della storia della salvezza. Qui viene richiamato il valore simbolico della liturgia contro ogni deriva ritualistica o cerimoniale e la sua centralità nella vita e nella missione del presbitero e della Chiesa.
Salutiamo, dunque, questo nuovo volume della collana Theologica Uxentina, il cui scopo è quello della formazione, ovvero consentire a presbiteri e operatori pastorali un approfondimento personale e comunitario di diversi temi teologici e pastorali.
Attuali le parole del Vescovo di Ugento Mons. Vito Angiuli che, nella sua presentazione del volume, ha così manifestato l’importanza della formazione del clero: «In un momento di grandi mutamenti e di repentine trasformazioni culturali, all’affacciarsi di quella che già cinquant’anni fa, la Presbyterorum ordinis, presentava come una “situazione radicalmente nuova”, risulta quanto mai opportuno ribadire il valore della formazione del clero – esigita dalla stessa identità del ministero presbiterale, come dono dello Spirito che richiede di essere costantemente ravvivato –, che non è una realtà acquisita una volta per tutte, ma richiede un itinerario costante e permanente, nella consapevolezza che il tempo dato alla propria formazione rigenera la qualità delle relazioni quotidiane in un ministero sempre più sereno e più incisivo» (pp. 8-9).
Il tema della formazione permanente del clero è una delle preoccupazioni più importanti nella vita della Chiesa, che scaturisce dalla consapevolezza che il rinnovamento stesso della Chiesa, auspicato e promosso dal Concilio Vaticano II, dipende in gran parte dal ministero sacerdotale e perciò dalla formazione dei sacerdoti. Ciò nella consapevolezza che con la grazia del sacramento dell’ordine, il Signore conferisce il dono di agere in persona Christi Capitis, per cui l’agire del presbitero si manifesta come prolungamento nel tempo dell’azione sacerdotale di Cristo, della sua parola, della sua azione oblativa.
Romano Guardini, che ha scritto intense ed interessanti pagine sulla formazione, sostiene che «formato in senso giusto è un uomo che è plasmato nell’essere, nel pensare e nell’agire secondo un un modello interiore naturale» (Formazione liturgica, ed. OR, Milano 1988, p. 38). Formazione, dunque, è dare “forma” alla propria vita e la vita del presbitero raggiunge il suo scopo quando, “trasformata” con il sacramento dell’ordine, è “conformata” a Cristo sacerdote, nell’esercizio del suo ministero.
Maurizio BARBA