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Il pane di Sant’Antonio

Omelia nella festa di sant’Antonio di Padova
parrocchia Natività B.V.M. – Ruffano
parrocchia sant’Antonio di Padova – Tricase
12 e 13 giugno 2023

Cari fratelli e sorelle,

la celebrazione della memoria liturgica di sant’Antonio di Padova è un invito a conoscere meglio la sua persona e il suo esempio di santità. 

I santi sono icona da imitare

I santi sono segni della benevolenza di Dio, motivo di consolazione per noi e indicazione per il nostro cammino di santità. Tutti e tre questi aspetti ci fanno considerare le celebrazioni in onore dei santi in riferimento alla nostra vita. Avendo riflesso nella loro vita la bellezza della santità di Cristo, i santi ce la ripresentano e ci confermano nell’idea che la santità è un imperativo per tutti. Il Concilio Vaticano II parla della chiamata universale alla santità, secondo la propria via e il proprio sentiero. 

Contemplare, meditare e riflettere sulla vita di sant’Antonio è un motivo di grande gioia, perché in lui vediamo il Vangelo reso vita, trasformato in esistenza, vissuto in pienezza. Ciò che meraviglia è che, in poco tempo, (è morto a 36 anni, ancora molto giovane), ha realizzato una esperienza spirituale molto profonda. La sua eco è giunta fino a noi. La devozione che il popolo cristiano in molte parti del mondo gli riserva è indice del calore popolare che la sua figura conserva e mantiene viva nella storia. 

La preghiera iniziale ha indicato il binario della vita di sant’Antonio: un insigne predicatore e un patrono dei poveri e dei sofferenti. Da una parte, il riferimento è alla parola predicata e annunciata con la vita, dall’altra l’attenzione si dirige verso i problemi e le esigenze materiali della gente. Per noi vale lo stesso binario: la linea verticale ci orienta verso Dio e la linea orizzontale ci indirizza verso i poveri. Occorre tenere insieme le due prospettive senza mai scinderle. Il riferimento al Signore ci porta necessariamente a guardare ai nostri fratelli. E, viceversa, lo sguardo ai fratelli non è mai soltanto una semplice solidarietà, ma è soprattutto annunciare loro la parola che salva.

Personalità ricca e multiforme 

Sant’Antonio ha bruciato tutte le tappe e rimane un santo antico e moderno, venerato dalle persone semplici e studiato dai dotti. Alla scuola del poverello di Assisi, egli fece di Cristo il centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione contribuendo a determinare il tratto tipico della teologia francescana: il “cristocentrismo” che invita a contemplare “i misteri dell’umanità del Signore”.

Nato a Lisbona, sant’Antonio aderì alla famiglia francescana, attirato dalla povertà del Poverello di Assisi e dal martirio dei cinque frati che si erano recati in Marocco. La tradizione popolare ha incasellato la sua figura nella nota invocazione «si quaeris miracula». I suoi miracoli, infatti, sono così tanti da destare meraviglia. «Troppa grazia sant’Antonio!», si usa dire. Eppure il suo esempio dimostra che la fede non scaturisce dal miracolo, se mai è il contrario. È la fede a generare l’azione taumaturgica. Il miracolo è solo un segno della cura di Dio per la nostra vita. 

A Coimbra, rinomato centro culturale del Portogallo, si dedicò con interesse e sollecitudine allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa, acquisendo quella scienza teologica che mise a frutto nell’attività di insegnamento e di predicazione. Fu tra i primi maestri di teologia dei Frati Minori. Iniziò il suo insegnamento a Bologna, con la benedizione di sanFrancesco, il quale, riconoscendo le sue qualità, gli inviò una breve lettera, che si apriva con queste parole: «Mi piace che insegni teologia ai frati». Antonio pose le basi della teologia francescana che, coltivata da altre insigni figure di pensatori, avrebbe conosciuto il suo apice con san Bonaventura e il beato Duns Scoto. 

Divenuto superiore provinciale dei frati minori dell’Italia settentrionale, continuò il ministero della predicazione, alternandolo con le mansioni di governo. Concluso l’incarico di provinciale, si ritirò vicino a Padova, dove morì il 13 giugno 1231. Papa Gregorio IX, dopo averlo ascoltato predicare, lo definì “Arca del Testamento” e lo canonizzò solo un anno dopo la morte nel 1232.

Nell’ultimo periodo della sua vita, Antonio mise per iscritto due cicli di “Sermoni”, intitolati rispettivamente “Sermoni domenicali” e “Sermoni sui santi”, destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell’Ordine francescano. In questi Sermoni, egli commenta i testi della Scrittura presenti nella liturgia, utilizzando l’interpretazione patristico-medievale dei quattro sensi: lo letterale o storico, l’allegorico o cristologico, il tropologico o morale e quello anagogico. Papa Pio XII, nel 1946, lo proclamò Dottore della Chiesa, attribuendogli il titolo di “Dottore evangelico”, perché da suoi scritti emerge la freschezza e la bellezza del Vangelo. 

Le raffigurazioni di sant’Antonio commuovono e sono particolarmente significative perché sintetizzano il suo carisma. Spesso lo si ritrae come un giovane, dallo sguardo luminoso, con la tonsura e il saio scuro. In una mano il libro e il Bambin Gesù e, nell’altra, l’immancabile giglio candido, il “giglio di sant’Antonio”, fiore che simboleggia purezza e nobiltà d’animo. 

Il pane di sant’Antonio 

Il pane è uno dei simboli che tradizionalmente sono legati alla figura di sant’Antonio. Si tratta innanzitutto di un riferimento alle molteplici vie della santità. Nel Sermone della Domenica XV dopo Pentecoste, al paragrafo 12, sant’Antonio afferma: «Fioriscono nel deserto eremiti che rifuggono dall’umana compagnia. Fioriscono nel giardino recintato i claustrali, sui quali vigilano con cura i loro “custodi”, ma è molto più meritorio (eroico) che i penitenti riescano a fiorire nel campo, cioè nel modo, dove tanto facilmente si distrugge la duplice grazia del fiore, vale a dire la bellezza della vita santa e il profumo della buona fama»[1].

La colletta definisce sant’Antonio “padre dei poveri”. Il pane, pertanto, evoca un bisogno materiale e il sostentamento primario dei poveri. Per questo il santo esorta: «Adesso il Signore, nella persona dei suoi poveri, sta alla porta e bussa: gli si apre quando il povero viene ristorato. Ristoro del povero, riposo di Cristo»[2].

Il pane dei poveri è al pane della carità. I santi non parlano soltanto con la parola, mostrano nei fatti, nei gesti di carità, di misericordia, di servizio la bellezza di quella parola che hanno ascoltato e interiorizzato. Qui, a Tricase, celebrate la festa in onore del santo su questa piazza dove ha sede la Caritas diocesana, organismo preposto a considerare i bisogni dei poveri presenti sul territorio. Certo non con lo scopo di risolvere tutti i problemi, ma con l’intento di educare a porre segni di fraternità. 

Il pane della carità è strettamente legato al pane della Parola[3]. Voglio ricordare l’importanza del contatto personale, quotidiano, assiduo con la parola di Dio. Essa ci converte, ci fa cambiare mentalità, ci sostiene nella prova, ha la forza di orientare la nostra vita verso il bene. Sant’Antonio aveva un amore per la Sacra Scrittura. Un amore che significa lettura, meditazione e riflessione assidua. La Parola chiarisce il senso delle cose, ci aiuta a capire il valore della nostra esistenza. «Lo specchio, o il vetro, – scrive il santo – simboleggiano la Sacra Scrittura, nel cui splendore sta il volto della nostra origine: da dove siamo nati, quali siamo nati e a che scopo siamo nati»[4].

È una frase sintetica, ma di grande efficacia. L’uditore della Parola comprende l’origine della sua vita, capisce quali sono gli atti concreti da vivere, intuisce l’orientamento ultimo, la meta dove siamo diretti. Ora, cari fratelli e sorelli, nel nostro tempo è proprio di questo che abbiamo bisogno. Si vanno offuscando proprio queste tre direzioni fondamentali della vita umana. Non sappiamo da dove veniamo, non comprendiamo come dobbiamo vivere e tanto meno sappiamo dove va finire la nostra vita. È un offuscamento complessivo del senso profondo della vita. 

La Parola di Cristo è luce e vita e ci apre alla preghiera. Per sant’Antonio l’ordine della preghiera è quello indicato dalla Lettera a Timoteo: «Si facciano suppliche, orazioni, domande e ringraziamenti» (1Tm 2,1). I quattro atteggiamenti indispensabili sono così definiti in latino: obsecratiooratiopostulatiogratiarum actio. Seguendo l’insegnamento dell’apostolo Paolo, sant’Antonio invita ad aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio, a colloquiare affettuosamente con lui, vedendolo presente nella propria vita, a presentargli i nostri bisogni e, infine, a lodarlo e ringraziarlo[5].

Il pane, infine, indica anche il perdono dei peccati da accogliere da Dio e da offrire ai fratelli. Sant’Antonio scrive: «I cinque pani sono i cinque libri di Mosè nei quali si trovano cinque “nutrimenti” spirituali dell’anima. Il primo pane è la riprovazione del peccato nella contrizione; il secondo è a manifestazione del peccato nella confessione; il terzo è il disprezzo e l’umiliazione di se stessi nella soddisfazione (penitenza); il quarto è lo zelo per le anime nella predicazione; il quinto è la dolcezza nella contemplazione della patria celeste»[6].

Tutti questi significati si sintetizzano nell’importanza del pane eucaristico. L’Eucarestia è segno dell’amore adi Cristo, sostegno dei poveri nel corpo e nell’anima, pegno della gloria futura.  Tutti necessitano dei pani sopra richiamati e di essi la comunità cristiana è la solerte dispensatrice. 


[1] Antonio da Padova, Domenica IV di quaresima, 12 in Id., I Sermoni, Edizioni Messaggero, Padova 1994, pp. 705-706.

[2] Id., La risurrezione del Signore (III), in ivi, pp. 218-219. 

[3] Nel commento alla frase evangelica «il Signore saziò circa cinquemila uomini con cinque pani e due pesci» presente in tutti e quattro i racconti evangelici (Mt 14,13-21; Mc 6,30-44; Lc 9, 12-17; Gv 6,1-14), sant’Antonio scrive: «I due pesci sono l’intelletto e la memoria con i quali si devono rendere gustosi i cinque libri di Mosè, per capire ciò che leggi e per riporre nel tesoro della memoria ciò che hai capito», Id., Domenica IV di quaresima, 4, in ivi, p. 160.

[4] Id., Domenica V dopo Pasqua, 7, in ivi, p. 315.

[5] Cf. Id., Domenica V dopo Pasqua, 5, in ivi, p. 310.

[6] Id., Domenica IV di quaresima, 2 in ivi, p. 157.