
Omelia nella Messa con i medici e gli operatori sanitari
Santuario Ss. Medici e S. Lucia – Ugento, 25 settembre 2023.
Cari operatori sanitari,
da qualche anno la parrocchia Cattedrale ha programmato un particolare incontro con voi in prossimità della festa dei Santi Medici con il fine di prestare attenzione alla vostra particolare professione nel momento storico che viviamo.
Non vi è dubbio che la sanità, come altri aspetti della vita sociale, sta attraverso un tempo di crisi e di profondi cambiamenti. La crisi, latente già da diversi anni, è esplosa in tutta la sua drammaticità durante la pandemia. In quella circostanza gli operatori sanitari sono stati acclamati come supereroi. Per tutti, vale ciò che ha scritto il figlio di un operatore sanitario: «Il mio papà lavora al pronto soccorso e ora che è arrivato il coronavirus si è trasformato in un supereroe. Si è vestito con un tutone e una maschera e sta combattendo questo mostro. Forza papà, tu e i tuoi colleghi ce la farete a distruggerlo».
Nella sua immaginazione, il ragazzo, vedendo il padre vestito in quel modo, lo ha scambiato per una di quelle figure che animano i filmati che vede in televisione o sui social. Ma non si tratta solo di un sogno di un ragazzo. In realtà, da diverse parti si sono espresse lodi per l’infaticabile dedizione con la quale molti operatori sanitari hanno affrontato quel momento particolarmente difficile.
Una cosa è certa. La pandemia ha aumentato l’incertezza sul piano fisico, psicologico e operativo a fronte dell’ampiezza della crisi sanitaria che il mondo dovrà fronteggiare anche a seguito di prospettive economiche globali piuttosto complesse. L’incertezza comporta una paralisi della domanda, poiché gli individui tendono a limitare i consumi al minimo indispensabile, a rimandare le spese e a rafforzare il risparmio precauzionale. Si spera che il calo della domanda derivante dal crollo della fiducia abbia un carattere transitorio.
Appare però evidente che la crisi sanitaria che stiamo vivendo ha messo a nudo le debolezze del nostro sistema, in parte legate alla scarsa lungimiranza delle scelte pregresse. Negli anni si è proceduto in vista dell’efficienza economica intervenendo però, prevalentemente, in un’ottica di risparmio. Gli scarsi investimenti rivolti alla salute della popolazione hanno messo in discussione la qualità della vita delle persone e indirettamente hanno generato altri costi sociali ed economici.
Vi sono poi altre cause. In primo luogo il trend di invecchiamento della popolazione. Per una programmazione dei servizi socio-sanitari e assistenziali che sia efficace ed efficiente è allora fondamentale monitorare nel tempo la composizione per età della popolazione, così come la sua variabilità tra le diverse regioni. Le condizioni di salute che caratterizzano le varie fasce di età della popolazione devono fare sì che l’offerta sanitaria sia diversificata. Un punto sembra abbastanza chiaro: la necessità di riorganizzare e sostenere con maggiori risorse il ruolo del territorio, evitando di riversare l’eccesso di domanda di cure sulle strutture ospedaliere, impreparate a fare fronte al numero così elevato di ricoveri.
In secondo luogo e in stretto collegamento con il processo di invecchiamento della popolazione, si deve osservare che la prima causa di morte è rappresentata dalle malattie del sistema circolatorio, che determina un terzo dei decessi maschili e la metà di quelli femminili. A rendere ancora più gravoso il peso di queste malattie, concorrono le disuguaglianze e la povertà che pregiudicano l’accesso equo, adeguato e dignitoso alle cure.
Tra gli altri aspetti vanno considerati il nodo dei codici verdi e delle liste d’attesa. L’intasamento del pronto soccorso è un problema noto. L’accesso dei codici verdi allunga i tempi di attesa. Per questo è importante il flusso informativo sugli schermi nelle sale d’attesa in modo che l’utente possa rendersi conto della situazione. Sappiamo pure che ci sono forti carenze di personale difficili da colmare in tempi brevi.
Vi è poi la questione che riguarda il numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina. In questo ambito si registra la volontà del Ministero dell’Università di riorganizzare gli accessi alle facoltà sanitarie, superando l’organizzazione a numero chiuso. A questo problema si affianca il fenomeno dell’emigrazione all’estero dei neolaureati. Di recente l’Istat, nell’ultimo rapporto sulle migrazioni, ha quantificato in un milione circa i nostri connazionali espatriati tra il 2012 e il 2021. Un quarto dei quali aveva una laurea. Si calcola che ogni anno il 5-8% dei nostri giovani altamente formati lascia il nostro paese. Ed è un fenomeno che neanche il Covid-19 è riuscito a invertire.
Se è vero che durante la pandemia le partenze sono diminuite e i rimpatri sono aumentati, è altrettanto vero che, nella fascia d’età 25-34 anni, il saldo migratorio delle persone con un titolo d’istruzione superiore in tasca è stato negativo per circa 79mila unità. C’è poi un secondo fattore di complessità, stavolta interno, da tenere a mente. E cioè che, mentre il Nord riesce a compensare le uscite con l’attrazione di giovani provenienti dal Mezzogiorno, il Sud si ferma alla perdita secca di talenti. Insomma la fuga di cervelli è ancora in atto. Un trend da invertire quanto prima, se si vuole dare una chance di crescita al sistema Italia.
In ultimo c’è da considerare l’aumento degli episodi di violenza ai danni di medici e operatori sanitari. Peraltro il dato ufficiale è però da ritenersi sottostimato perché, nei fatti, le aggressioni sono state di più. Il problema della violenza, fisica e verbale, riguarda non solo l’ospedale del capoluogo, ma anche le strutture sanitarie del territorio. A tal proposito, occorre studiare la possibilità di approntare accorgimenti per rendere più sicura l’attività dei medici e dei paramedici e scegliere le soluzioni più sostenibili, tecnicamente ed economicamente.
I nodi da sciogliere restano molti e le risorse umane e materiali a disposizione per soluzioni o almeno deterrenti a breve temine, sono limitate. Del resto da molto tempo si parla del fenomeno, che certamente ha avuto una recrudescenza negli ultimi anni, senza che siano state prese adeguate contromisure. Questo tema è imprescindibilmente legato all’organizzazione decentrata della sanità pubblica in Italia tra le diverse regioni, che si sono mosse nell’affrontare l’emergenza in maniera molto diversa, e non sempre in armonia con le linee del governo centrale. Il decentramento della sanità, oltre a mettere a rischio l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla salute, non si è dimostrato efficace nel fronteggiare una situazione emergenziale. Le regioni non hanno avuto le stesse performance e, di conseguenza i cittadini non hanno potuto avere le stesse garanzie di tutela e di cura. Il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace e le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi molto disomogenee.
A fronte di questa situazione particolarmente problematica rimane il fatto che servire le persone più deboli (malati, infermi, anziani) e aiutare a nascere, a guarire e spesso anche a morire è una vocazione e una missione di straordinaria bellezza. Certo, nella nostra società diventa sempre più difficile accompagnare chi soffre, sia per la crescente burocrazia sia per la mentalità che spesso riduce il corpo a una macchina e gli interventi dei medici solo a una tecnica. Sembra quasi che la tecnologia, che si spinge sempre più avanti e offre soluzioni e cure impensabili, sia motivata da un senso di onnipotenza in riferimento al vivere e al morire, rendendo superfluo il mistero di una vita che non conosciamo nella sua profondità e non dominiamo totalmente.
Vale la pena di ricordare che la stessa parola “medico” (dal latino medeor e con l’infinito mederi) significa «rimediare», ma in senso più stretto «medicare», «risanare, curare, aver cura». Nella cultura romana, il medico era un uomo che aveva come risorsa solo quella di aver cura di altri uomini, ricevendone in cambio un obolo di riconoscenza. Senza lucrare, forniva egli stesso il medicamentum. Chiunque avesse avuto bisogno del suo aiuto, poteva trovarlo, a ogni ora del giorno e della notte, nella “taberna medica”, una bottega a metà strada tra l’ambulatorio e il dispensario.
Isidoro di Siviglia (560-636) fa risalire l’etimologia di medicina a “modus”, cioè alla “giusta misura” che deve guidare chi la professa. «Per questo» egli scrive, «la medicina è chiamata seconda filosofia, poiché entrambe le discipline sono complementari all’uomo». Come aveva già detto Claudio Galeno (130-200 d.C.), medico dell’imperatore Marco Aurelio: «Il migliore dei medici sia anche filosofo». Per questo, erano chiamati anche physici piuttosto che medici, in quanto la “fisica” era la scienza della natura, ivi compresa la natura umana.
La profonda conoscenza dell’uomo ha indotto i Santi Medici ad andare oltre la dimensione fisica del paziente e li ha aiutati a scoprire in essi la presenza reale del Cristo che chiedeva loro di essere accolto, curato e guarito. La loro gratuità diventa così evidenza della libertà e generosità riconosciuta dallo stesso Gesù quando raccomandava ai suoi Apostoli: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).
Esercitando la professione medica, i Santi Medici hanno incrementato la loro naturale generosità: si sono spesi sempre e in ogni momento per gli altri e specialmente per i malati; hanno imparato a vivere la loro missione di guarire le membra, per testimoniare l’importanza del corpo che Gesù ha scelto per dimorare in mezzo a noi e per manifestarci il grande tesoro dell’amore del Padre.
Vi esorto dunque ad attingere alla professionalità, alla generosità, alla gratuità e al coraggio dei Santi Medici. Facciamo in modo che il loro esempio diventi vita in noi.