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Educare alla pace e pregare per i caduti in guerra

Omelia nella Messa per la ricorrenza caduti in guerra
chiesa Cattedrale – Ugento, 4 novembre 2022

Rivolgo il mio saluto a tutte le autorità civili e militari, alle associazioni e ai ragazzi. Oggi, 4 novembre, festeggiamo la giornata dell’unità nazionale in seguito all’annessione di Trento e Trieste all’Italia. Commemoriamo anche tutti i morti in guerra. Il 4 novembre 1918 segnò la fine della prima guerra mondiale, con l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti (Padova) siglato il giorno prima tra l’impero austro-ungarico e l’Italia. È dunque una festa di pace e di memoria del “milite ignoto”, cioè del soldato di cui non si conosce il nome ed è diventato simbolo di tutti i caduti in guerra. Il 4 novembre 1921 ci fu la sua traslazione da Aquileia all’altare della Patria a Roma, dopo uno speciale viaggio in treno attraverso varie città italiane. 

Il 2 novembre abbiamo celebrato la commemorazione di tutti i defunti. Ora la nostra preghiera è diretta in modo particolare ai defunti nel primo conflitto mondiale per ribadire che l’unità e identità dell’Italia è fondata sulla pace. L’articolo 11 della nostra Costituzione recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

La guerra, purtroppo, è presente anche ai nostri giorni. Anche voi ragazzi, siete a conoscenza della tragedia che sta avvenendo in Ucraina: quanti morti, distruzioni e devastazioni. In realtà, sono molte le guerre che si combattono nel mondo. Guerre nascoste, ma altrettanto cruenti e dolorose. Dobbiamo, pertanto, pregare per i caduti nella prima guerra mondiale, ma soprattutto chiedere al Signore l’avvento di un’era di pace in Ucraina e nel mondo intero. È stata annunciata per domani una grande manifestazione che si terrà a Roma per invocare la pace nel mondo ed opporre un decalogo di pace come criterio orientativo per tutti i popoli del mondo. Don Tonino Bello affermava che la pace non è un vocabolo, ma un vocabolario. La parola “pace”, che in ebraico si dice “shalom” non è solo assenza della guerra, ma l’insieme di tutti i beni. 

Voglio ricordare l’impegno dei pontefici del ‘900 per scongiurare la guerra e promuovere la pace. Mentre si combatteva la prima guerra mondiale, papa Benedetto XV, fece tutti gli sforzi possibili perché si evitasse il conflitto definendolo, nella Nota alle potenze belligeranti (1° agosto 1917) una “inutile strage”.  Giovanni XXIII, nel 1963, scrisse la famosa enciclica Pacem in Terris, un manifesto di alto valore teologico, nel quale abbandonò la teoria della guerra giusta a favore della pace necessaria. Paolo VI, nel 1965, alla grande assemblea della Nazioni Unite, lanciò questo messaggio: «Jamais plus la guerre, jamais plus la guerre» («Mai più la guerra, mai più la guerra»). E con voce vibrante aggiunse: «La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità».

San Giovanni Paolo II, in un suo discorso definì la guerra «un’avventura senza ritorno» e Benedetto XVI «una calamità che contrasta il progetto di Dio». Papa Francesco ha gridato al mondo il rifiuto della guerra, definendola con queste forti parole: «La guerra non è la soluzione, la guerra è una pazzia, un mostro, un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto! Di più, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato». Insomma la guerra è l’ennesima barbarie, una follia pura, un terribile deformazione dell’uomo. 

Queste parole risuonano per noi come un invito non soltanto a commemorare i caduti in guerra, ma a diventare artigiani di pace. Dobbiamo educare le nuove generazioni non solo a guardare al passato, ma soprattutto a proiettarsi nel futuro con una nuova coscienza e una nuova mentalità di pace.

Abbiamo compreso la menzogna dell’idea che la pace si costruisce con le armi. Le discussioni di questi mesi sulla deterrenza, la necessità delle armi sono fallaci. La guerra non è ineluttabile e la pace è sempre possibile. L’altro giorno, il cardinale Zuppi ha scritto un articolo su “Avvenire” per esortare tutti quelli che parteciperanno alla manifestazione richiamando alcune espressioni di don Tonino Bello il quale amava ripetere: i conflitti e tutte le guerre «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti». 

In questa circostanza è opportuno richiamare tre sue idee. La pace è un cammino e una conquista che non si realizza a buon mercato, ma con il cambiamento di mentalità. Essa comporta l’impegno per la giustizia e la salvaguardia del creato. La pace poi è un martirio (“martirium pacis”). Per realizzarla bisogna essere disposti a soffrire. Essere operatori di pace secondo la beatitudine evangelica (“Beati gli operatori di pace”) porta con sé sofferenza e sacrificio. La pace è il frutto di una sapiente educazione. Non basta partecipare alle marce per la pace, se non ci si impegna a costruire la “pace feriale”, quella di tutti i giorni. Non si può fare guerra nel piccolo della propria vita e poi protestare nelle piazze per l’avvento della pace nel mondo. La pace non riguarda solo i grandi eventi della storia, ma segna i comportamenti quotidiani. 

La guerra nasce dall’egoismo, dalla sete di potere, dal commercio delle armi, dal desiderio del guadagno. Allora, cari amici, se non volgiamo fare solo manifestazioni puramente celebrative, impegniamoci a costruire la pace nella vita feriale, educando questi ragazzi a gesti concreti di pace. Auspico, pertanto, che le città dove è vissuto don Tonino Bello (Ugento, Alessano, Tricase) diventino “citta di pace”, grazie anche alla testimonianza della nostra vita.