
Omelia nella Messa del giorno di Natale
chiesa Cattedrale – Ugento, 25 dicembre 2022.
Cari fratelle e sorelle,
la tradizione patristica ha meditato sulle tre nascite o venute del Signore. Su questa base, i sacramentari gelasiano e gregoriano introdussero le tre messe di Natale: notte, aurora e giorno. Poi, soprattutto i padri cistercensi del XII secolo pensarono al mistero del Natale come giorno delle tre nascite di Cristo[1].
La Messa del giorno di Natale
Se la Messa della Notte di Natale è un invito a contemplare la nascita storica di Gesù Bambino a Betlemme la Messa del giorno di Natale è una mistagogia del mistero dell’incarnazione del Verbo nella natura umana. A farci da guida è il Prologo del Vangelo di Giovanni che, fin dalla prime parole, non racconta l’evento dell’incarnazione, ma illustra il suo valore storico ed eterno spalancando l’orizzonte della nostra mente sul mistero della Trinità: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,1-3).
In realtà, non solo il profeta Isaia aveva orientato su questo versante il suo annuncio (cfr. Is 9, 5-6), ma anche le narrazioni evangeliche più che un semplice racconto con una finalità commovente ed edificante, contengono una prospettiva più ampia: il Bambino, nato a Betlemme, è «il Salvatore che è il Messia Signore» (Lc 2,11), «l’Emmanuele, il Dio con noi» (Mt 1,23). Sulla stessa lunghezza d’onda sono gli altri riferimenti neotestamentari. Essi parlano di irraggiamento della gloria di Dio e di impronta della sua sostanza (cfr. Eb 1,3), di apparizione della «grazia di Dio, apportatrice di salvezza» (Tt 2,11). In Gesù, infatti, «dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9).
La riflessione verte sul tema dell’inizio, sul senso e il fine della storia, il valore e il significato della vita, il fondamento stabile e l’orizzonte ultimo della creazione. In gioco non è solo il principio della carità, ma anche il principio della verità e del loro mutuo intreccio e riconoscimento. La domanda è la seguente: all’inizio c’è il nulla o il caos, oppure vi è un senso e una sapienza eterna che governa ogni cosa? Da una parte, c’è chi ritiene che in principio non ci sia nulla o presuppone che tutto derivi dal caos, dall’altra l’Antico e il Nuovo Testamento sostengono che tutto deriva dalla Sapienza divina, con la sottolineatura neotestamentaria che la Sapienza divina coincide con Il Verbo incarnato, Cristo Gesù.
In principio il nulla
La prima visione è attestata dai Rig Veda, una concezione che richiede l’accettazione e la rivalutazione del vuoto e del nulla. Non si presuppone assolutamente niente o nessuno agli inizi: non solo una materia primordiale plasmata da un Demiurgo, come nel Timeo platonico o nel Genesi ebraico, ma neppure un Creatore che crea dal nulla, come nell’ortodossia cristiana derivata da un versetto dell’apocrifo secondo libro dei Maccabei, poi fatto proprio da Agostino nelle Confessioni. L’Inno della Creazione canta: «In principio non c’era il Non-Essere, e non c’era l’Essere. Non c’era l’atmosfera, e non cera il cielo. Non c’era la morte, né l’immortalità. Niente distingueva la notte dal giorno. Tutto era tenebra coperta di tenebra, l’universo era un indistinto ondeggiare. E il principio vitale che era racchiuso nel vuoto generò se stesso come Uno, mediante la potenza del proprio calore. Ma chi sa veramente, chi può veramente spiegare da dove è originata la creazione?»
Anche secondo la fisica moderna, «in principio era il vuoto»: un’affermazione in perfetto accordo con il «Brahaman è il vuoto» della Chandogya Upanishad, o con «il Tao è vuoto» del Tao Tze Ching. E non soltanto perché, secondo la relatività generale, la materia non è altro se non un buco in un’entità puramente matematica. Ma anche, e soprattutto, perché secondo la meccanica quantistica il vuoto è in realtà un teatro sul cui palcoscenico continuamente appaiono e scompaiono particelle e antiparticelle, grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg. Alla domanda di Leibniz: «Perché c’è qualcosa invece del nulla?» oggi si può dunque rispondere scientificamente: «Perché il nulla è instabile e la materia è da esso generata, non creata, della stessa sostanza del niente».
Nel sonetto Alla sera, Ugo Foscolo, canta la vita dell’uomo mentre vaga sulle orme «che vanno al nulla eterno» (vv. 9-10), ricordando a sé stesso e a noi la lezione del poeta Orazio: «Mentre parliamo, sarà fuggito il tempo malvagio» («Dum loquimur fugerit invida / aetas»)[2]. Il nulla, cioè il continuo avvolgersi del tempo su sé stesso, tutto trasforma, distrugge e ricrea meccanicamente, portando ogni cosa all’oblio. Il pensiero vaga verso il nulla, distendendosi nell’oscurità, e abbraccia le stelle, e le nubi cupe che portano la tempesta, o gli zefiri sereni dell’estate. La sera si trasforma nella notte e, di notte, si chiudono gli occhi, senza la certezza di riaprirli l’indomani. Allo stesso modo, si rimane con niente in mano se si cerca l’essenza della cipolla pelandola o del carciofo sfogliandolo: metafore che si trovano nel Peer Gynt di Henrik Ibsen, in Vestire gli ignudi di Luigi Pirandello e nelle Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein. In principio c’era il nulla e alla fine tutto vi ritornerà.
Se qualcuno intende pregare, dovrà farlo come suggerì Hemingway in uno dei Quarantanove racconti: «Nulla nostro, che sei nel nulla, sia santificato il tuo nulla, venga il tuo nulla, sia fatto il tuo nulla, dovunque nel nulla. Dacci oggi il nostro nulla quotidiano, e rimetti a noi i nostri nulla, come noi li rimettiamo agli altri nulla. E non ci indurre nel nulla, ma liberaci dal nulla». E così pregano implicitamente i matematici, che fondano anch’essi l’intera loro disciplina sul principio che «in principio era il vuoto».
In principio il caos
La seconda ipotesi è che in principio c’era il caos. Inizia così il racconto delle origini di Esiodo nella Teogonia[3]. Caos è una realtà senza forma, una voragine oscura dove niente può essere distinto. È abisso cieco e indefinito, senza limiti. Dal Caos nacque la Terra che i greci chiamarono Gaia. Se Caos è senza forma e confini, Gaia è solida, definita, separata. Dalla non forma nasce la forma. La Terra nutre e genera ogni cosa. Dopo caos e terra appare eros, l’energia che fa muovere il cosmo e permea tutte le cose.
Occorre considerare che originariamente il caos non aveva l’attuale connotazione di “disordine” che si ritrova nella parola d’uso comune[4], il termine greco antico dovrebbe essere reso come “spazio beante”, “spazio aperto”[5], “voragine”[6] ossia “abisso” dove sono “tenebrosità e oscurità”. Quello che Esiodo chiama caos non coincide in realtà con quello che i posteri filosofi a partire da Talete identificarono come il principio di tutte le cose o come soprattutto Anassimandro identificò con il termine di archè[7], ma è l’origine di cose che prima non erano, l’entità eterna ma che non esiste dall’eternità. Per Anassagora[8] come per Platone[9], caos è il luogo della materia informe e rozza a cui attinge un principio superiore per la formazione del mondo ordinato: la Mente per Anassagora e il Demiurgo per Platone[10].
In principio era il caos è anche la tesi di Stephen Hawking uno degli scienziati più famosi al mondo. In un suo libro[11], aveva lasciato una porta socchiusa ai creazionisti, sostenendo che la presenza di Dio non sarebbe incompatibile, in sé, con un approccio scientifico all’universo. Ma nel libro The Grand Design (Il grande disegno), scritto con il fisico americano Leonard Mlodinow, sostiene che l’intervento di una mano creatrice sarebbe decisamente da escludere.
Alle reazioni positive di alcuni studiosi si sono alternate quelle negative di altri. Tra questi Massimo Cacciari ha scritto che: «Nulla è più assurdo e antiscientifico di pretendere che un linguaggio specialistico fornisca risposte universali. È una contraddizione logica, quella di Hawking, che ha qualcosa di comico e non va nemmeno presa in considerazione. Meglio avrebbe fatto a leggersi la “Dialettica trascendentale” di Kant». Anche Giovanni Reale sostiene che «è un errore tipico di certi scienziati giudicare l’universo infinito secondo categorie finite, senza rendersi conto della enorme sproporzione che ne deriva».
In principio il Verbo
Sembra che sia necessario presupporre una realtà da cui tutto si origina. Niente avviene per caso o senza una ragione. Un bambino nasce per amore, per passione o addirittura per violenza. Anche la guerra scoppia per qualche motivo. Tutto, dunque, è regolato da una causa e da una ragione. Per la rivelazione cristiana la spiegazione di tutto è Gesù Cristo, il Verbo incarnato.
Il Prologo giovanneo racconta le origini, ciò che era al principio, spiega ogni cosa ed è la ragione di tutto quanto esiste (cfr. Gv 1,1). Il Verbo (o la Parola) non è una creatura, ma qualcuno che esisteva da tutta l’eternità. Si tratta di una persona diversa da quella che nel testo greco viene denominata “ho Theós”, con l’articolo, e che si riferisce al Padre. Ma anche la persona diversa dal Padre era Dio fin dal principio, condivideva la sua stessa natura. Il testo del Vangelo introduce così nella intimità della Trinità: un’unica natura divina, nella quale vi è una distinzione di persone. Il Logos, la Parola, il Verbo di Dio, è all’origine del mondo. Va detto che il termine logos, ha molteplici significati rifacentisi sia alla tradizione sapienziale anticotestamentaria sia al pensiero greco. Si possono così indicare cinque fondamentali significati[12]:
La persona umana di Gesù si identifica con la sapienza eterna, misteriosa e ineffabile di Dio. Gli stessi testi sapienziali che parlano della preesistenza eterna della Sapienza, parlano anche della discesa, dell’abbassamento di questa Sapienza, che si è creata una tenda tra gli uomini. Nell’Antico Testamento la tenda indica il tempio, luogo del culto secondo la “Thorà”. Questa tenda prefigura quella tenda più reale e significativa della carne di Cristo (cfr. Gv 1,14). Sviluppando la sua cristologia in prospettiva sapienziale, anche san Paolo riconosce in Gesù la sapienza eterna esistente da sempre, che discende e si crea una tenda tra di noi. divenendo per noi «sapienza, potenza, giustizia, santificazione e redenzione» (1Cor 1, 24-30).
L’abbassamento della Sapienza, la sua discesa nella carne, implica anche la possibilità del suo rifiuto (cfr. Gv 1, 11; Mt 13,54), soprattutto da parte dei dominatori di questo mondo (cfr. 1 Cor 2,6-9). Si oppongono, così, due sapienze, quella del mondo orgogliosa nella sua nobiltà e grandezza, e quella della croce, segno di umiltà e debolezza «Poiché nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1Cor 1,21).
Maria “sede della Sapienza”
Nel tempo stabilito, «la sapienza si è costruita una casa» (Pro 9, 1)[13], un’abitazione degna di sé, cioè Maria, sulla quale si effonde il travolgente fiume dello Spirito Santo, Spirito di Sapienza. Maria risponde con perfetta fedeltà alla grazia, cresce in grazia e sapienza, e con la sua umiltà, purezza, fede e preghiera attira in sé la divina Sapienza.
È la vergine sapiente che non lascia cadere nel vuoto nulla di quanto Dio le fa incontrare lungo il cammino della vita e si lascia educare dagli eventi della storia feriale e quotidiana. Ella passa dallo stupore al ricordo e all’interpretazione mediante il confronto dei fatti tra di loro e in relazione la piano salvifico di Dio. Come discepola di Cristo, Maria penetra sempre più profondamente nel disegno della salvezza che si dispiega sotto i suoi occhi, soprattutto nel mistero della Croce e della Pasqua. Infine, con il dono dello Spirito il giorno di Pentecoste raggiunge la massima illuminazione circa il Figlio risorto e la Chiesa.
Maria risplende perciò come “sede della sapienza” non solo perché il suo grembo è stato dimora di Cristo sapienza incarnata, ma anche e soprattutto perché «possedendo la scienza spirituale inaccessibile ai ragionamenti umani, con la fede ha raggiunto una conoscenza sublime»[14].
Guardando a lei compendiamo che siamo il frutto della Sapienza divina. Con un’espressione ardita, sant’Ireneo proclama: «L’uomo è la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio»[15]. Il Verbo, infatti «Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo per abituare l’uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre» [16].Con le parole dell’Inno, preghiamo: «Cristo, sapienza eterna, donaci di gustare la tua dolce amicizia»[17].
[1] A tal proposito, Bernardo di Clairvaux medita e commenta: «Conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta nascosta si colloca infatti tra le altre due, che sono manifeste. Nella prima il Verbo «è apparso sulla terra e ha vissuto tra gli uomini» (Bar 3,38). Nell’ultima venuta «ogni carne vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6) e «volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37; cfr. Zc12,10). La venuta intermedia è invece nascosta. Nella prima venuta, dunque, «venne nella carne» (1Gv 4,2) e nella debolezza, in questa intermedia viene «in Spirito e potenza» (Lc 1,17), nell’ultima «verrà nella gloria» (Lc 9,26) e nella maestà. Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu «nostra redenzione» (1Cor 1,30), nell’ultima «si manifesterà come nostra vita» (Col 3,4), in questa è nostro riposo e nostra consolazione» (Bernardo, Discorsi sull’Avvento V,1).
[2] Orazio, Odi, I, 11, vv. 7-8.
[3] Esiodo, Teogonia, 116-153. Cfr. C. Sborgi, In principio era il caos, Europa Edizioni, 2021.
[4] In Dizionario Greco-Italiano/Italiano-Greco, F. Schenkl & F. Brunetti, Fratelli Melita Editori, Genova/La Spezia, 1990, p. 946.
[5] In Dizionario di antichità classiche, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1995, p. 375.
[6] Cfr. J.-P. Vernant, L’universo, gli dei e gli uomini, Einaudi, Torino, 2001; M. M. Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia, Boringhieri, Torino, 2009, p.71.
[7] Simplicio, Commento alla Fisica di Aristotele XXIV, 15 e CL, 23.
[8] Diels, Frammenti dei Presocratici, 59, B, 1-4.
[9] Platone, Timeo, 30a e ss.
[10] G. Bonafede, Caos in Enciclopedia filosofica vol.2. Milano, Bompiani, 2006, pp. 1617-8.
[11] Cfr. S. Hawking, Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Bur Rizzoli, Milano, 2016.
[12] Cfr. C.M. Martini, Ritrovare se stessi, Piemme, 1996, ora in libreria con il titolo Il giardino interiore. Una via per credenti e non credenti, Piemme 2014, pp. 15-18.
[13] Cfr. Procopio di Gaza, Commento sui Proverbi, 9; PG 87, I, 1299-1303.
[14] Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 33.
[15] Ireneo, Contro le eresie, 3, 20 ,3.
[16] Ivi, 3, 20, 2.
[17] Liturgia delle Ore, Inno, Ufficio delle Letture.