LA BASILICA PONTIFICIA DI S. MARIA DE FINIBUS TERRAE A SANTA MARIA DI LEUCA
di Salvatore Palese
È lungo il viaggio per il Capo di Leuca, per chi attraversa l’intera Puglia. Ma chi ci arriva viene ripagato da una visione spettacolare: si trova, quasi, nel mare a 300 gradi, o meglio tra i mari Adriatico e Jonio che lì si mescolano. E la visione del sole che sorge da Levante o che tramonta a Ponente, suscita stupore, dalla prima ora di luce fino alle tenebre della notte. Queste ultime poi, sono rotte dai fasci di luce che l’altissimo faro diffonde fino a 15 miglia e da quelle altre luci che si riflettono nelle acque dalla località marina che nei mesi estivi diventa vivacissima, tanto essa è meta desiderata e salutare. E davanti a quella immensità l’animo si apre ai sogni e alle speranze.
E così, da millenni. Avveniva per i navigatori che nella grotta della Porcinara hanno lasciato i segni della gratitudine e dei voti a Zeus Batos, per la traversata del Canale di Otranto: di questo primo santuario precristiano le iscrizioni pervenute sono databili dalla fine del I secolo a.C. alla prima metà del III secolo d.C.
Quella della Porcinara è una delle tante grotte che caratterizzano la costa sullo Jonio e sull’Adriatico: veri capolavori dell’architettura creata dal mare. Lasciano un ricordo indelebile in chi le visita, al di là della Ristola e del Meliso, le due punte dell’insenatura terminale della penisola del Salento, detta prima Terra d’Otranto, e prima ancora Japigia.
A Leuca la marina è sovrastata dal promontorio e da questo a quella fanno da raccordo le opere terminali dell’Acquedotto Pugliese, che nel 1939 furono condotte a termine: due grandi scalinate fiancheggiano una cascata, ricca di verde, più che di acque che, quando è possibile, vengono dal pozzo conclusivo di quella immensa rete idrica che disseta l’intera Puglia. E giù, il raccordo delle scalinate è reso monumentale da una colonna romana, portata lì per esaltare il genio italico che di quello romano è erede diretto.
Sui culti precristiani esistenti sulle alture e nei dintorni si sovrapposero i segni cristiani e il tempio della dea Minerva cedette il posto a quello elevato a Maria, la madre di Gesù, il Figlio di Dio diventato uomo, non prima del V secolo. L’ara alla dea Minerva si conserva ancora, a destra dell’ingresso al santuario mariano che svetta, in alto, sul promontorio.
Questo luogo cristiano, oggi, è tra i più importanti della intera regione e sia pur modesto, è meta di ininterrotti pellegrinaggi, da secoli. Del santuario dedicato a Santa Maria De finibus terrae si hanno notizie sicure dal secolo XIV, ma la tradizione ne afferma la presenza molti secoli prima. Comunque di quella che fu la chiesa medievale fino agli inizi del sec. XVII, fino al grande incendio del 1624, se ne ha una intera memoria nel primo scritto che fu composto sulla sua storia da Francesco Pirreca nel 1643. Ma chi ne scrisse di più, di Leuca e dei dintorni, fu il francescano Luigi Tasselli nel 1693: egli raccolse memorie e tradizioni di tanti luoghi circostanti, spesso importanti davvero, ma soprattutto descrisse la devozione appassionata e grande dei Salentini verso la Madre di Dio venerata in quel santuario.
Esso, in verità, non presenta la consueta facciata dei luoghi sacri, tanto si è voluto mascherare per risparmiarlo dalle incursioni piratesche che continuarono dopo la battaglia di Lepanto del 1570 ed ebbero la meglio nel 1624 e si ripeterono anche dopo. Nella ricostruzione che se ne fece nella prima metà del secolo XVIII, l’artefice Giovanni Giannelli, vescovo di Alessano (1718-1743) volle la facciata, come di un palazzo fortificato a due ordini posto su un piano terra segnato da due poderosi speroni.
Il grande piazzale antistante è circoscritto da un porticato che alla fine del secolo XVII fu eretto contemporaneamente alla colonna dei principi di Alessano, sormontata da una recente statua marmorea della Madonna (1954). È sovrastato dal faro, uno dei più grandi d’Italia, e chiuso, a tramontana, dagli edifici che il vescovo Giannelli fece costruire per i pellegrini e dalle strutture terminali dell’Acquedotto Pugliese. La grande balconata sulla marina e sul porticciolo sottostante, è interrotta dal Monumento alla Croce che fu elevato il 21 ottobre 1901, a consacrazione del secolo che iniziava.
L’interno del santuario, a croce latina, costruito dal vescovo Giannelli, si presenta nella ristrutturazione che gli diede il vescovo Luigi Zola intorno al 1874, rilanciando gli sviluppi religiosi che hanno caratterizzato il secolo seguente e stimolando progetti per l’intero territorio, come poi li delineò Giacomo Arditi nella sua Leuca Salentina, edita nel 1875.
Il pellegrino, attraversando il residuo portale seicentesco, è attratto dall’altare maggiore, elegante fattura marmorea settecentesca. Vi troneggia l’immagine di Maria con il Figlio, dipinta dal veneziano Giacomo Palma junior (1544-1628) discepolo del Tiziano, con il suo viso dolce e sollecito di salvare: è quanto si salvò dall’incendio del 1624; una copia di quello che era, fu eseguita dal pittore Andrea Cunavi da Mesagne nel 1625 e si può ammirare nella crociera di destra. Ma per i fedeli desiderosi di un contatto fisico con il sacro, punto di riferimento è pure la statua in cartapesta, eseguita dal maestro Manzo di Lecce nel 1897; ed essi la raggiungono direttamente da un ingresso laterale, in un contesto architettonico, opportunamente adattato nel 1990.
Nel santuario, oltre l’altare maggiore, vi sono sei altri altari. Cominciando da destra, il primo è dedicato a san Giovanni Nepomuceno; il secondo a san Pietro, venerato primo evangelizzatore degli abitanti del promontorio; il terzo, nella crociera, è dedicato alla Sacra Famiglia; quindi la cappella del Sacramento di recente organizzazione, sul cui ingresso è la tela raffigurante la Circoncisione di Gesù, del pittore Aniello Letizia († 1762) che ha dipinto pure la tela del martirio di san Giovanni Evangelista. Continuando, dopo l’altare maggiore, è l’altare dell’Annunciazione del 1892, poi l’altare dedicato al santo pellegrino Benedetto Giuseppe Labre che si dice venuto a Leuca nel 1771; infine l’altare di san Francesco di Paola.
Sull’ingresso, l’organo del 1885 è sulla cantoria del 1894. A sinistra dell’ingresso una lapide in bronzo ricorda l’affondamento dell’incrociatore francese «Leon Gambetta», nella notte del 27 aprile 1915, agli inizi della prima guerra mondiale, a circa venti miglia dal Capo di Leuca: nelle acque profonde riposano oltre settecento uomini, rinchiusi in quella ferrea bara adagiata sui fondali del mare. Particolarmente venerata dagli uomini di mare, marinai e pescatori, la Madonna di Leuca viene portata per mare il 15 agosto di ogni anno. E il 13 aprile la si festeggia per ringraziarla di aver salvato l’intero promontorio da un maremoto che si abbatté nella notte dei secoli.
Nel santuario riposano le spoglie mortali del vescovo Giannelli, suo ricostruttore, e del vescovo di Ugento, Giuseppe Ruotolo († 1970) che negli anni della ricostruzione postbellica (1949-1960) fu promotore di opere sociali e assistenziali, accanto a questo centro mariano che egli fece diventare cuore religioso dell’intero Salento. E come da secoli, i pellegrini portano alla Madre di Dio le loro «disperate speranze» e continuano a venire numerosi in finibus terrae per trovare la «porta del cielo».