
Omelia nella Messa per l’ammissione agli ordini sacri del seminarista Orsi Michele
Chiesa SS. Salvatore, Alessano, 1° novembre 2022
Caro Michele,
in questa solennità di tutti i santi esprimerai davanti alla comunità ecclesiale, riunita per la celebrazione eucaristica, la tua volontà di procedere nel cammino di formazione al sacerdozio. Oggi la Chiesa, ancora pellegrina sulla terra, celebra l’immensa moltitudine, «che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9). È l’immagine della Chiesa celeste che anche tu, caro Michele, devi sempre avere davanti ai nostri occhi. Vivi, pertanto, questo momento circondato «da una moltitudine di testimoni» (Eb 12,1). Non cammini da solo, ma sei accompagnato dalla grande famiglia celeste che canta le lodi del Signore.
La chiamata universale alla santità
Festeggiare tutti i santi significa ricordare che la vocazione universale alla santità non è privilegio di alcuni, ma il cammino di tutti, nessuno escluso[1]. Secondo l’apostolo Paolo, in quanto battezzati e inseriti in Cristo, i cristiani, ancora pellegrini sulla terra, sono “santi per grazia”, nel travaglio delle lotte che richiede la fedeltà alla vocazione battesimale, potendo contare sulla protezione e intercessione dei santi, cittadini del cielo nella gloria luminosa e felice della Gerusalemme nuova. Lo attesta la liturgia nel solenne Prefazio: «Oggi ci dai la gioia di contemplare la città santa del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre, dove l’assemblea festosa dei nostri fratelli glorifica in eterno il tuo nome. Verso la patria comune noi, pellegrini sulla terra, affrettiamo nella speranza il nostro cammino, lieti per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa, che ci hai dato come amici e come modelli di vita».
I santi sono nostri “amici, modelli e intercessori”, non perché perfetti e senza peccati, ma perché legati strettamente a Cristo con un rapporto di intensa e profonda amicizia. Peccatori come noi, hanno accettato di incontrare Gesù, lasciandosi possedere da lui in ogni fibra della loro persona: i desideri, le debolezze, le sofferenze, le tristezze, le gioie della vita. Si sono lasciati invadere dalla misericordia del Padre ed ora, stando davanti al Signore, contemplano il suo volto e gioiscono della visione beatifica. Per noi i santi sono: difensori contro il maligno che ci assale, le tentazioni che ci travolgono, gli egoismi che ci incatenano; custodi del nostro cuore e baluardo contro le paure che ci paralizzano; promotori del bene nella nostra vita; amici che ci esortano, ci spronano, ci sostengono e ci invitano costantemente a fare della nostra vita un sacrificio di lode gradito a Dio, una “liturgia vivente”.
San Bernardo invita a «godere della dolce compagnia dei santi»[2] e a desiderare di stare con loro per diventare come loro e prendere parte alla bella famiglia di Dio. Non siamo «stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2, 19-20)[3]. Dobbiamo coltivare la bramosia di godere della presenza dei santi e di meritare di stare con loro. Per questo dobbiamo destarci «dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipiamo con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità»[4].
La santità, dono di Dio e aspirazione dell’uomo
La santità è nello stesso tempo un dono di Dio e un’aspirazione dell’uomo, un frutto del soffio dello Spirito Santo e un desiderio della persona. Occorre pertanto accogliere la grazia che scende dall’alto e coltivare l’aspirazione segreta nascosta nel cuore. Don Tonino Bello, nel suo diario, annota che voleva farsi santo nonostante il suo carattere e i suoi difetti. C’era in lui la brama, non solo di diventare prete, ma di diventare santo. È il desiderio che anche tu, caro Michele, devi coltivare durante gli anni di formazione al sacerdozio consapevole, come professi nel Credo, che sei inserito nella “comunione dei santi”.
Questa verità di fede vuol dunque dire che l’uomo si apre a Dio, partecipa dei doni di grazia e vive un rapporto di amore con i fratelli. Indica il legame con Dio, la «comunione con il Santo» (Sancto); la ricezione dei sacramenti, la «comunione alle cose sante (sancta); la relazione con le persone, la «comunione dei santi (sancti)». «Sancta sanctis!» – «le cose sante ai santi» – proclama il celebrante nella liturgia orientale al momento dell’elevazione dei santi doni, prima della distribuzione del pane eucaristico. I fedeli (sancti) vengono nutriti del Corpo e del Sangue di Cristo (sancta) per crescere nella comunione con lo Spirito Santo (Sancto).
La vocazione è un particolare sentiero di santità
In questa prospettiva, caro Michele, esprimere la volontà di consolidare la tua formazione al sacerdozio significa incamminarti su un particolare sentiero di santità. La santità è unica, i cammini sono tanti. Seguendo il Concilio, Papa Francesco nel suo documento Gaudete et exultate ricorda che ognuno è chiamato a percorrere la sua via, il suo sentiero, la sua strada verso la santità. L’imperativo è per tutti, le modalità sono molteplici. Tutti dobbiamo essere santi, ognuno deve perseguire questo ideale in modo personalizzato. Le beatitudini indicano i possibili sentieri della santità. Il particolare cammino vocazionale per il sacerdozio ti chiede di esercitarti in tre direzioni: ascoltare a voce di Cristo, contemplare la sua umanità, imitare il suo stile di vita.
Dio non è muto, ma parla sempre (cfr. Eb 1,1). Cristo è la sua parola vivente. Per questo dovrai prestare ascolto alla sua voce, non alla tua. La vocazione non è una autochiamata, un percorso di autorealizzazione, un proprio progetto di vita, un desiderio sepolto nel cuore, ma è la risposta alla Voce che interpella la tua libertà e la invita a uscire da sè per affidarsi e dare ascolto a Colui che parla. È una parola sussurrata nell’anima con dolcezza, ma è anche un grido possente e un comando autorevole. È un vento leggero e soave, ma anche un rombo di tuono forte e imperioso. È una musica suadente e attrattiva, ma anche un fragore improvviso che scuote e sprona ad agire (cfr. Sal 29). Dovrai conservare ogni cosa nella tua memoria e meditare con insistenza e passione le parole che il Signore ti ha rivelato nelle situazioni difficili e gioiose come nei momenti di preghiera personale e comunitaria.
Dovrai conservare al centro del cuore ogni più leggero sussurro e riportare alla tua attenzione ogni più piccolo trasalimento. Ascoltare Cristo è l’imperativo fondamentale della vita e della vocazione (cfr. Mt 17,5; Mc 9,7; Lc 9, 35). Se, invece, ascolterai la tua voce potrai sbagliarti, cambiare direzione, andare per una via che non è la tua. Ognuno riceve da Cristo una parola indirizzata unicamente a lui. È la parola che segna la vita e indica l’orientamento da seguire. Ascoltare il Signore che parla, significa udire la sua offerta d’amore: «Io sono tuo!». Nel tuo cuore la sua voce ripete con infinita dolcezza e con delicata tenacia: «Io sono tuo!». Se ascolterai, la sua voce diventerà per te irresistibile e sedurrà definitivamente la tua anima.
La parola ascoltata dovrà trasformarsi nell’atteggiamento contemplativo dell’umanità di Cristo. Non c’è un’altra strada di salvezza fuori della sua santissima umanità. È l’unica via per accedere al Padre. Abbiamo riflettuto su questo tema durante la permanenza a Tricase Porto. In quella circostanza abbiamo ricordato l’ammonimento di santa Teresa d’Avila. Nella sua biografia, ella scrive: «Ne ho fatta l’esperienza moltissime volte, me lo ha detto il Signore; ho visto chiaramente che dobbiamo entrare da questa porta, se vogliamo che la divina Maestà ci riveli i suoi grandi segreti»[5].
Contemplare non è una fuga dalla realtà, ma è sinonimo del verbo innamorarsi. Contemplando l’umanità di Gesù ti innamorerai della sua persona fino al punto da non cercare altro se non il suo volto e saziarti della sua presenza. Qualcosa del genere avrà vissuto anche san Pietro, nel momento in cui dice al Signore: «È bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Mc 9,5). Questa invocazione ti accompagni lungo il tuo cammino. Sarà come fermare il tempo, godere un attimo di eternità, quasi toccare l’inspiegabile e misteriosa gioia che come un bagliore di luce si apre una breccia nella fitta nebbia della paura di rimanere solo.
Alla ripetizione dell’invocazione di san Pietro, il Signore ti risponderà come alla Maddalena: «Non volermi possedere! Lascia che sia io a possederti. Se resti con me, nulla ti mancherà!». In caso contrario, sarebbe come voler possedere il vento e stringere tra le mani il profumo dell’incenso o correre per abbracciare l’arcobaleno. Non puoi, è più grande di te. Così è della bellezza dell’amore di Dio. Non puoi possederlo. Nel momento in cui pretendessi di stringerlo a te, come un miraggio svanirebbe nel nulla.
Puoi invece lasciarti affascinare dal “bell’amore” e accogliere il dono del sacerdozio a servizio della Chiesa. Puoi lasciarti coinvolgere e avvolgere in un abbraccio che vorresti non finisse mai, per poter godere un attimo di eternità. La bellezza del volto di Cristo si attinge solo con gli occhi del cuore. Se ami, ogni cosa ti donerà la sua bellezza e ogni persona la sua luce. Comprenderai che diventare sacerdote e consacrarsi al Signore ha dell’incredibile! È una vita colma di appagamento, abbracciato dalla totalità e immersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo non esiste più.
Imitare il suo stile di vita
Caro Michele, l’ascolto della parola diventa contemplazione del volto di Cristo e l’innamoramento per la sua persona spinge all’imitazione del suo stile di vita[6]. Ogni cristiano deve «completare gli stati e i misteri di Gesù[7]. Egli rivolge anche a te il suo invito a imparare da lui che è «mite e umile di cuore» (Mt 11,29). La sua umanità contiene tutto quello che tu puoi desiderare e imitare. San Tommaso d’Aquino afferma: «Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce»[8]. Come l’apostolo Paolo, impara lo stile di vita di Gesù (cfr. 1Cor 10, 31 – 11, 1).
Lo stile è l’epifania della passione, la sua cella più segreta, il chiarore emanato dal fuoco che ognuno fa ardere in sé. È la persona stessa, la sua intimità, le sue parole, le sue azioni. Sei chiamato alla sfida più esigente: modellare il tuo modo di pensare e agire su quello del Maestro. Dai Vangeli emerge che Gesù aveva uno stile preciso: camminare lungo la strada e fermarsi a dialogare con Dio. Pur con le sfumature proprie di ciascun Vangelo, Gesù è sempre in mezzo alla gente. La maggior parte del tempo lo passava per la strada. Questo vuol dire vicinanza ai problemi delle persone. Nello stesso tempo, la sera, si nascondeva per pregare, per stare con il Padre. Senza rapporti con Dio e con il prossimo, niente ha senso nella vita di un prete.
Caro Michele, vivi in questo modo il tuo cammino verso il sacerdozio: dai il primato all’ascolto della volontà di Dio, trasforma l’ascolto nella dimensione contemplativa dell’umanità di Gesù e imita il suo stile di vita, intriso di preghiera e di carità.
[1] Cfr. Lumen Gentium, 32.
[2] Bernardo di Chiaravalle, Discorso, 2.
[3] Cfr. M. De Salis, Concittadini dei santi e familiari di Dio. Studio storico-teologico sulla santità della Chiesa, Edusc Editore, Roma, 2009.
[4] Bernardo di Chiaravalle, Discorso, 2.
[5] Teresa d’Avila, Vita, 22, 6.
[6] Cfr. S. Fausti, Lo stile di Gesù. Lectio divina sul Vangelo di Luca, Ancora, Milano 2014.
[7] G. Eudes, Il Regno di Gesù, parte 3, 4.
[8] Tommaso d’Aquino, Conferenze sopra Credo in Deum.