
Il Giovedì Santo è il giorno in cui il Signore diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il Sacramento del suo Corpo e del suo
Sangue fino al suo ritorno. Al posto dell’agnello pasquale e di tutti i sacrifici
dell’Antica Alleanza subentra il dono del suo Corpo e del suo Sangue, il dono di
se stesso. Così il nuovo culto si fonda nel fatto che, prima di tutto, Dio fa un dono
a noi, e noi, colmati da questo dono, diventiamo suoi: la creazione torna al Creatore. Così anche il sacerdozio è diventato una cosa nuova: non è più questione di
discendenza, ma è un trovarsi nel mistero di Gesù Cristo. Egli è sempre Colui che
dona e ci attira in alto verso di sé. Soltanto Lui può dire: «Questo è il mio Corpo
– questo è il mio Sangue». Il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che
noi, miseri esseri umani, in virtù del Sacramento possiamo parlare con il suo Io:
in persona Christi. Egli vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente, che in ogni celebrazione del Sacramento ci tocca di
nuovo, noi lo ricordiamo in modo particolare nel Giovedì Santo. Perché il quotidiano non sciupi ciò che è grande e misterioso, abbiamo bisogno di un simile ricordo specifico, abbiamo bisogno del ritorno a quell’ora in cui Egli ha posto le
sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.