
1918 – 18 GENNAIO – 2019
Nei giorni 14 e 16 giugno, a Caltagirone, si è svolto il convegno internazionale per il centenario dell’appello “A tutti gli uomini liberi e forti” di don Luigi Sturzo del 18 gennaio 1919.
A tutti, credo, è nota la rilevanza storica di quell’avvenimento che originò l’impegno dei cattolici nella vita politica italiana, all’indomani della conclusione della drammatica prima guerra mondiale.
Il messaggio inviato da papa Francesco e l’intervento del card. Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, meritano l’attenzione di preti, religiosi e laici. Infatti, in questi autorevoli testi, è data la precisa collocazione storica del manifesto, ne sono colti contenuti e ispirazioni di alto profilo culturale e politico, se ne sottolinea, con vibrante partecipazione, la sua attualità educativa per quanto si sono resi consapevoli che la carità cristiana si estende anche all’impegno sociale e politico.
Anche oggi il cambio di epoca, eccezionale, chiede ai cattolici uno slancio di responsabilità per il futuro del nostro paese, l’Italia, e non soltanto, con progetti politici adeguati alle sfide globali che si sono ormai delineate.
Ai laici e ai cristiani è chiesto di “edificare, insieme con altri uomini di buona volontà, la Città dell’uomo a misura d’uomo”. Come ha detto e ripetuto Giuseppe Lazzati: “pensare politicamente” avendo due “stelle polari” di riferimento: il concilio Vaticano II e la Costituzione della Repubblica italiana.
Auspicando riflessioni e iniziative, vengono diffusi sul sito della diocesi, il messaggio papale e l’appello del card. Bassetti.
Don Salvatore Palese
Vicario episcopale per la cultura
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cari fratelli e sorelle,
saluto cordialmente tutti voi, partecipanti al Convegno Internazionale che si terrà a Caltagirone, città natale del servo di Dio Don Luigi Sturzo, in occasione del Centenario dell’Appello “A tutti gli uomini liberi e forti”. Ringrazio il Comitato Promotore-Scientifico e il Comitato Organizzatore per aver dato vita a questa pregevole iniziativa, unitamente a tutte le Organizzazioni, i Movimenti, le Associazioni, le Istituzioni accademiche e culturali che sono presenti in spirito di collaborazione.
È una felice intuizione onorare “uniti e insieme” un anniversario così importante per la storia d’Italia e d’Europa, rileggendo con un largo e qualificato contributo di idee, di esperienze e di buone prassi i dodici Punti che costituivano il Programma dell’Appello, per risentirne il valore e l’attualità e riaffermare la sua praticabilità tra la gente, attraverso un nuovo dialogo culturale e sociale che sia ispirato, oggi come ieri, “ai saldi principi del cristianesimo”.
In occasione del V Convegno nazionale della Chiesa Italiana, ho sottolineato l’importanza di questo metodo, che sta alla base del grande impegno profuso da Don Luigi Sturzo e dai laici cristiani dell’epoca, prima della formulazione dell’“appello”: «La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media. […] Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà» (Firenze, 10 novembre 2015). Mi pare di poter cogliere nella vostra iniziativa un esaudimento di queste parole e, pertanto, vi incoraggio a proseguire su questa strada in nome della cultura dell’incontro e del dialogo che tanto mi sta a cuore.
Questo centenario ci dà l’occasione di riflettere sulla concezione cristiana della vita sociale e sulla carità nella vita pubblica secondo il pensiero, la vita e le opere del servo di Dio Don Luigi Sturzo. Per il sacerdote di Caltagirone, il compito di informare cristianamente la vita sociale e politica appartiene soprattutto ai laici cristiani che, attraverso il proprio impegno e nella libertà che loro compete in tale ambito, attuano gli insegnamenti sociali della Chiesa, elaborando una sintesi creativa tra fede e storia che trova il suo fulcro nell’amore naturale vivificato dalla grazia divina.
In polemica con quanti sostenevano un dualismo tra etica e politica, tra Vangelo e società umana e limitavano la legge dell’amore alla vita privata, Don Sturzo affermava: «La legge dell’amore non è una legge politica; sta bene in chiesa, sta bene nelle famiglie, sta bene nei rapporti privati. È vero che molti oggi, anche cristianelli annacquati, posano a fieri censori di coloro che si occupano di vita pubblica; e definiscono la politica una sentina di mali, un elemento di corruzione, uno scatenamento di passioni; e quindi da starne lontani; costoro confondono il metodo cattivo con quella che è invece doverosa partecipazione del cittadino alla vita del proprio Paese. Il fare una buona o cattiva politica, dal punto di vista soggettivo di colui che la fa, dipende dalla rettitudine dell’intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere e dai mezzi onesti che si impiegano all’uopo. Così ragionano i cristiani di ogni tempo e di ogni Paese. E con questo spirito, l’amore del prossimo in politica deve stare di casa e non deve essere escluso come un estraneo: né mandato via facendolo saltare dalla finestra, come un intruso. E l’amore del prossimo non consiste nelle parole, né nelle moine: ma nelle opere e nella verità» (da “Il Cittadino di Brescia”, 30 agosto 1925: La vera vita. Sociologia del soprannaturale, Bologna 1943).
La moralizzazione della vita pubblica è legata per Don Sturzo soprattutto a una concezione religiosa della vita, da cui deriva il senso della responsabilità morale e della solidarietà sociale. L’amore è per lui il vero vincolo sociale, il motivo ispiratore di tutta la sua attività. Egli, in modo assai originale, cercò di realizzare una “ortoprassi” cristiana della politica, basata su un corretto rapporto fra etica e vita teologale, tra dimensione spirituale e dimensione sociale.
In questa prospettiva si comprende come Don Luigi Sturzo sia stato definito da San Giovanni Paolo II «infaticabile promotore del messaggio sociale cristiano e appassionato difensore delle libertà civili» (Discorso nell’Università di Palermo, 20 novembre 1982: Insegnamenti V, 3 [1982], 1355). Il mio venerato predecessore ebbe a indicarlo come modello ai seminaristi e ai sacerdoti: « La vita, l’insegnamento e l’esempio di Don Luigi Sturzo – il quale nella piena fedeltà al suo carisma sacerdotale seppe infondere non solo nei siciliani ma nei cattolici italiani il senso del diritto-dovere della partecipazione alla vita politica e sociale, alla luce dell’insegnamento della Chiesa – siano presenti e ispirino il loro apostolato di evangelizzazione e di promozione umana» (Discorso ai Vescovi di Sicilia in Visita “ad Limina Apostolorum”, 11 dicembre 1981: Insegnamenti IV, 2 [1981], 907).
Luigi Sturzo, prima che statista, politico, sociologo e poliedrico letterato, era un sacerdote obbediente alla Chiesa, un uomo di Dio che ha lottato strenuamente per difendere e incarnare gli insegnamenti evangelici, nella sua terra di Sicilia, nei lunghi anni di esilio in Inghilterra e negli Stati Uniti e negli anni ultimi della sua vita a Roma.
Nel suo testamento spirituale, redatto il 7 ottobre del 1958, egli scriveva: «A coloro che mi hanno criticato per la mia attività politica, per il mio amore alla libertà, il mio attaccamento alla democrazia, debbo aggiungere, che a questa vita di battaglie e di tribolazioni non venni di mia volontà, né per desiderio di scopi terreni né di soddisfazioni umane: vi sono arrivato portato dagli eventi». E aggiungeva: «Riconosco le difficoltà di mantenere intatta da passioni umane la vita sacerdotale e Dio sa quanto mi sono state amare le esperienze pratiche di 60 anni di tale vita; ma ho offerto a Dio e tutto indirizzato alla sua gloria e in tutto ho cercato di adempiere al servizio della verità».
Il suo insegnamento e la sua testimonianza di fede non devono essere dimenticati, soprattutto in un tempo in cui è richiesto alla politica di essere lungimirante per affrontare la grave crisi antropologica. Vanno dunque richiamati i punti-cardine dell’antropologia sociale sturziana: il primato della persona sulla società, della società sullo Stato e della morale sulla politica; la centralità della famiglia; la difesa della proprietà con la sua funzione sociale come esigenza di libertà; l’importanza del lavoro come diritto e dovere di ogni uomo; la costruzione di una pace giusta attraverso la creazione di una vera comunità internazionale. Questi valori si basano sul presupposto che il cristianesimo è un messaggio di salvezza che si incarna nella storia, che si rivolge a tutto l’uomo e deve influire positivamente sulla vita morale sia privata che pubblica.
A distanza di cento anni dall’Appello “A tutti gli uomini liberi e forti”, il Convegno che si svolge a Caltagirone rimanda a un impegno creativo e responsabile dei cristiani, chiamati a interpretare i segni dei tempi alla luce del Vangelo, per realizzare una prassi sociale e politica animata dalla fede e vissuta come esigenza intrinseca della carità. Penso soprattutto ai giovani, che vanno adeguatamente coinvolti, perché possano portare nuova passione, nuova competenza, nuovo slancio all’impegno sociale e politico. Con questa speranza, auguro che le vostre giornate di lavoro e di riflessione siano proficue e portino frutti abbondanti e duraturi. A tutti imparto di cuore la mia benedizione, chiedendovi di continuare a pregare per me.
Dal Vaticano, 13 giugno 2019
FRANCESCO
IL DISCORSO DEL CARD. BASSETTI: “DA CALTAGIRONE UN APPELLO AL CUORE DEL PAESE”
“Un grande storico del passato, Federico Chabod, ha definito questo momento come ‘l’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo'”, prosegue il porporato. “Senza dubbio, quell’appello ai Liberi e ai Forti fu un manifesto politico di grande importanza. Ma non fu solo questo. Fu anche il traguardo di un lungo processo di maturazione, personale e collettivo, che investì Sturzo in prima persona, ma anche tutti quei cattolici che da decenni erano impegnati nella vita pubblica del Paese. Quell’appello si colloca, infatti, alla fine di un lungo cammino che era iniziato molti anni prima. Se volessimo indicare una data d’inizio di questo processo potremo indicare, senza dubbio, il 15 maggio 1891: il giorno della pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum di Leone XIII. Un’enciclica che lo stesso Sturzo definì come ‘la prima finestra’ sul mondo operaio. Il seme piantato dall’enciclica leonina, dunque, ha prodotto il suo frutto a molti anni di distanza dalla sua piantagione e con modalità, tempi e protagonisti assolutamente non preventivati. Basti pensare al protagonista di questa complessa vicenda, Luigi Sturzo, che quando venne pubblicata la Rerum novarum, non era ancora stato ordinato sacerdote e che poi ha percorso i sentieri accidentati della storia senza avere un progetto preordinato, ma con la fede semplice dell’uomo di Dio. La sua esperienza di vita rappresenta un’autentica testimonianza cristiana straordinariamente attuale. In più occasioni il Papa ha ripetuto, infatti, che come credenti non dobbiamo affannarci per “occupare spazi di potere”, ma al contrario siamo chiamati ad “avviare processi” perché “Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia”. Le strade dell’uomo non sempre collimano con quelle di Dio. Sta a noi, però, scrutare “i segni dei tempi”. Da questo punto di vista, l’esempio sturziano è formidabile. E quello che facciamo oggi qui a Caltagirone risponde proprio a questa visione: è iniziato un processo di cui non conosciamo l’esito e di cui non esiste un progetto preconfezionato”. Esiste però la consapevolezza” – evidenzia il Presidente Cei – di trovarci di fronte ad un “cambio d’epoca” eccezionale che necessita un ripensamento del nostro stare al mondo: sia per ciò che riguarda l’opera di evangelizzazione e sia per quello che concerne l’impegno sociale. Negli ultimi anni, in più occasioni, ho parlato della necessità di un ‘nuovo patto sociale’ tra tutti gli uomini e le donne di buona volontà e ho anche auspicato la costruzione di una rete di persone che abbiano a cuore il destino dell’Italia”. “Oggi, venendo qui a Caltagirone, ho la netta sensazione che questo auspicio stia prendendo forma in modo concreto e totalmente autonomo. Si è iniziato a tessere quella rete di relazioni umane e di esperienze sociali di cui il nostro Paese ha un grande bisogno. E di questo risultato, ringrazio pubblicamente gli organizzatori e il comitato scientifico che hanno promosso questo convegno in occasione del Centenario dell’appello ai Liberi e ai Forti. La ricorrenza di questo Centenario ci obbliga, però, a farci una domanda importante: cosa rimane oggi di quell’appello? A mio avviso rimangono tre grandi eredità su cui vale la pena riflettere”. “In primo luogo – spiega il card. Bassetti – rimane la fede, la cultura e l’umanità di don Sturzo. Vittorio Bachelet ha scritto di lui dicendo che “don Luigi Sturzo fu prima di tutto un sacerdote. Un santo sacerdote”. Un prete siciliano, figlio del nostro tragico e stupendo Mezzogiorno. Indiscutibilmente un uomo di Dio. Ciò che colpiva del sacerdote di Caltagirone, scrisse Jacques Maritain, “era la pace dell’anima, la fiducia soprannaturale e una straordinaria serenità la cui sorgente era nascosta in Dio”. La fede viene prima di tutto: prima dell’impegno sociale, prima della cultura e prima della politica. Sturzo è uno dei grandi cattolici italiani del ‘900 che hanno testimoniato con la propria vita che la roccia della propria esistenza è Cristo. E questa fede in Cristo si traduceva poi nella fedeltà alla Chiesa anche quando insorgevano difficoltà o visioni difformi. Questa sua esperienza di vita, oggi, non può non essere di grande insegnamento per tutti noi. L’essere cristiani significa, infatti, far parte, prima di tutto, di un corpo vivo in cui il dialogo è un elemento fondamentale del nostro essere in relazione. Si possono e si debbono avere idee diverse ma sempre nel rispetto reciproco, senza scadere in uno “spirito di divisione” caratterizzato da “invidie e gelosie” o addirittura da polemiche tristi e volgari. Diceva Sturzo che “la libertà è come l’aria”. Se “l’aria è viziata, si soffre; se l’aria è insufficiente, si soffoca; se l’aria manca si muore”. Ho la sensazione che qualche volta, soprattutto sul web, l’aria sia viziata da polemiche eccessive e da un uso irresponsabile della propria libertà. Scriveva Giovanni Paolo II che la libertà deve sempre essere accompagnata dalla verità e dall’amore altrimenti è un “nome vuoto” e “pericoloso”. Si è veramente liberi, dunque, soltanto quanto si è pienamente responsabili delle proprie azioni e quando, con umiltà, non ci si sente mai migliori degli altri. Ecco allora l’insegnamento che viene dalla testimonianza di fede di Sturzo: mettiamo la nostra libertà di figli di Dio al servizio del bene comune, con gratuità, speranza e carità. E non prestiamoci al gioco del principe di questo mondo che semina ovunque la zizzania perché ci vuole divisi e in rovina. Questa riflessione mi permette di introdurre la seconda eredità dell’appello ai Liberi e ai Forti: ovvero la vocazione all’impegno sociale. Giovanni Paolo II, parlando all’Università di Palermo nel 1982, disse che don Luigi Sturzo “seppe infondere nei cattolici italiani il senso del diritto-dovere della partecipazione alla cosa pubblica al servizio della verità e dei più deboli, mediante l’applicazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa”. La dottrina sociale della Chiesa cattolica è un deposito di conoscenze e pratiche di inestimabile valore su cui tante volte anche io ho richiamato l’attenzione di tutti i fedeli. È infatti assolutamente necessario conoscerla, approfondirla e studiarla in ogni suo aspetto per capire fino in fondo la sua grande ricchezza e la sua utilità. D’altra parte, come ci insegna don Sturzo non bisogna “agire da ignoranti, né da presuntuosi. Quando non si sa – scrive il prete di Caltagirone – occorre informarsi, studiare, discutere serenamente e obiettivamente, e senza mai credere di essere infallibili”. “Per questo motivo – prosegue il porporato – è fondamentale superare quella dannosa e sterile divisione del passato tra i cosiddetti “cattolici del sociale” e i “cattolici della morale” che ancora continua a resistere nelle nostre comunità. Non ci si può dividere tra coloro che si occupano solo di bioetica e coloro che si occupano soltanto di povertà, perché non esistono tematiche di serie A e di serie B. Esiste invece un messaggio unitario del Vangelo e della dottrina sociale. Dobbiamo quindi tornare a questa unità evangelica e capire che la difesa della vita e della famiglia sono collegate inscindibilmente con la cura dei poveri, degli ultimi e degli scarti della società. D’altronde, cento anni fa, quando Sturzo scrisse quell’appello aveva di fronte un’umanità travolta dalla Prima guerra mondiale: milioni di morti sul campo di battaglia e un mondo capovolto nei suoi valori e nelle sue gerarchie. Oggi, abbiamo un’umanità ferita nella parte più profonda della sua anima perché la guerra si è combattuta non solo nei campi di battaglia, ma nei cuori e sui corpi degli uomini e delle donne. Viviamo infatti in una società in cui tutto il corpo umano è stato mercificato – persino l’utero della donna – e si è arrivati a mettere in discussione la concezione di uomo e donna, di maschile e femminile, di famiglia e di vita. A questa guerra biopolitica si è poi aggiunta una durissima crisi economica che ha distrutto certezze sociali che sembravano granitiche e ha generato paure collettive e riesumato antichi odi ideologici che minano la pacifica convivenza degli uomini. Per questi motivi, oggi, abbiamo di fronte a noi una “nuova questione sociale” che caratterizza la società in cui viviamo. Una “nuova questione sociale” che comprende al suo interno sia la “questione antropologica” che il grande “problema della povertà”. Mai come oggi, pertanto, è attualissima l’esortazione a costruire la cultura per un “nuovo umanesimo”. Ovvero una cultura che rispetti l’incalpestabile dignità umana in ogni momento e in ogni luogo dell’esistenza. Affinché possiamo dire che l’altro che ci sta di fronte è Cristo”. Infine, come ultima eredità di quell’appello ai Liberi e ai Forti, rimane un amore sincero e profondo per l’Italia. Non vi nascondo che il 30 maggio 2018, in un momento di difficoltà del Paese, firmai in prima pagine per “Avvenire” un appello dal titolo Prima il bene comune che era direttamente ispirato all’appello sturziano. Mi ispirai a Sturzo perché il sacerdote di Caltagirone può essere annoverato, senza dubbio, tra i grandi italiani del ‘900. Un italiano del Sud, un figlio fedele della Chiesa e un esponente autentico di quest’Italia bella e fragile. Un’Italia divisa storicamente dalle passioni e dalle montagne. Ma anche un’Italia unita dalla bellezza e dalla cultura, da un popolo creativo e dalla millenaria presenza della Chiesa che ancora oggi, in mille modi diversi, è presente su tutto il territorio, da Aosta a Caltagirone”, conclude il Cardinale Bassetti.
La multiforme presenza dei cattolici nella società italiana – di cui anche qui, in questo convegno, abbiamo un esempio – è il frutto di una storia ricchissima e di un deposito vastissimo di esperienze e cultura. I cattolici, infatti, per secoli sono stati il cuore pulsante della penisola. E più recentemente possono essere annoverati tra i “soci fondatori” della Repubblica italiana. E lo possono rivendicare con orgoglio, coraggio e senza paura. Per questi motivi, la presenza dei cattolici nella società italiana è un valore prezioso per l’Italia. Un valore che non può essere dimenticato o cancellato.
E proprio in virtù di questo bagaglio immenso di valori e responsabilità, anche oggi vorrei rivolgere un appello paterno a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, invitandoli a prendersi cura del nostro amatissimo Paese per ricucire il tessuto sociale del Paese che oggi appare sfibrato. Un’opera di rammendo da svolgere con spirito di servizio e carità, senza piegarsi a visioni ideologiche, utilitaristiche o di parte. Senza seguire lo spirito del mondo e i pifferai magici dalle promesse facili. E partendo proprio da questo Mezzogiorno maltrattato e dimenticato, ricco di talenti ma povero di lavoro e di opportunità.
“C’è del buono in questo mondo” faceva dire Tolkien ad uno dei suoi personaggi. Perciò vale la pena impegnarsi per la difesa e lo sviluppo della nostra cara e diletta Italia. Un impegno che deve trasformarsi in una missione per il bene del Paese e nel nome delle più alte tradizioni storiche del nostro Paese. Tra queste si colloca, senza dubbio, il popolarismo sturziano.
Cari amici e amiche mi avvio alla conclusione. L’appello di Sturzo continua a parlare all’uomo di oggi, interroga profondamente la nostra società così marcatamente individualista e soprattutto esorta ad una riflessione profonda tutti i cattolici. Perché quell’appello, come ho detto altre volte, è il prodotto di una stagione alta e nobile del cattolicesimo politico italiano che ha dato un contribuito fondamentale a costruire l’Italia contemporanea e a formare una civiltà basata sull’umanesimo cristiano. Una civiltà basata sulla centralità della persona umana e che rinuncia, in nome del Vangelo, ad ogni volontà di oppressione del povero, ad ogni mercificazione del corpo umano e ad ogni rigurgito xenofobo.
Oggi come ieri essere “liberi e forti” significa andare controcorrente, rimanendo fedeli al Vangelo in ogni campo dell’agire umano, anche in quello politico, e farsi annunciatori gioiosi dell’amore di Cristo con mitezza, sobrietà e carità. Come ho già avuto modo di dire – e lo ripeto ancora oggi – essere “liberi e forti” significa farsi difensori coraggiosi della dignità umana in ogni momento dell’esistenza: dalla maternità al lavoro, dalla scuola alla cura dei migranti. Perché, in definitiva, la vita non si uccide, non si compra, non si sfrutta e non si odia.