
I cattolici salentini
nel post-concilio del Novecento
Il 3 gennaio 1972, don
Salvatore Palese datò la sua relazione sull'indagine socio religiosa che gli
era stata chiesta dal Consiglio pastorale diocesano nella riunione del 22
giugno 1971. Il testo dell’Indagine socio-religiosa sulla diocesi di Ugento
– S. Maria di Leuca è consultabile presso l’Archivio Storico Diocesano di
Ugento, conservato nel fondo vescovi “mons. Riezzo” e nella Libreria
dell’Archivio.
Il Consiglio aveva
intenzione di offrire una proposta di programma dell'attività pastorale della
diocesi, in base alla situazione sociale e religiosa delle comunità
parrocchiali.
La diocesi era senza
vescovo a seguito delle dimissioni di mons. Giuseppe Ruotolo (1937-1968) ed era
stata affidata all'amministrazione apostolica di mons. Nicola Riezzo,
arcivescovo metropolita di Otranto. Questi aveva apprezzato la richiesta
del consiglio pastorale che era animato dallo slancio rinnovatore proposto dal
concilio Vaticano II, concluso l'8 dicembre 1965. L'indagine fu compiuta
nell'estate su un campione di 1735 risposte al questionario diffuso tra
giovani, adulti e anziani. Forse era la prima indagine del genere compiuta nel
Salento e nella regione Puglia.
La relazione consta di
68 cartelle ciclostilate ed è corredata dall'appendice in cui vengono dati i
questionari per i giovani universitari, per i giovani lavoratori, per i
genitori, per i professionisti e per gli anziani. Inoltre, nell'appendice erano
pubblicate 86 tavole sulla condizione sociale, economica, culturale e politica
delle popolazioni ugentine, rilevata dal censimento del 1961 e da altre fonti
statistiche, dai risultati delle consultazioni elettorali del 1968 e del 1970;
veniva descritta l'organizzazione delle parrocchie e delle associazioni laicali
e infine quella relativa ai risultati dell'indagine (tavv. 32-86).
L'indagine riguardava
specificatamente la condizione religiosa della popolazione diocesana e la vita
cristiana dei fedeli (pp. 33-65).
***
A partire
dal Vaticano II, la Chiesa Italiana declinò l’attività pastorale delle comunità
locali attraverso piani pastorali pluriennali, all’interno dei quali ogni
singola comunità sviluppa programmi e azioni riferite per lo più a scelte e ad
attività di ogni anno all’interno del ciclo pluriennale. Il primo Piano
della Chiesa Italiana fu “Evangelizzazione e Sacramenti” degli anni Settanta,
seguì quello di “Comunione e Comunità” negli anni Ottanta, che caratterizzarono
molte delle scelte che vennero fatte in quegli anni nella nostra diocesi. Altri
ne seguirono nei decenni successivi. Ma ciò che intendo richiamare di questi Piani
è il fatto che ogni documento, prodotto dai vescovi come sussidio per
l’attuazione dei programmi, partiva sempre dalla ricognizione della situazione
sul piano sociale, culturale e religioso delle comunità a cui era rivolto.
L’indagine
socio-religiosa
Il testo
resta ancora ciclostilato. In quel periodo tutto si faceva al ciclostile, anche
se lo spessore qualitativo e l’importanza operativa del testo avrebbe richiesto
una veste editoriale più adeguata. Ma allora le cose si facevano, specialmente
qui da noi, con lo scopo di offrire apporti funzionali più che editoriali, come
lo furono anche le dispense di don Tonino della Scuola di cultura religiosa di
quegli anni.
«L’iniziativa
indica una presa di coscienza del metodo apostolico che la pastorale moderna
puntualizza nei tre verbi vedere-giudicare-agire. Infatti nell’evangelizzazione
e nell’apostolato non si può prescindere dalla realtà esistenziale dei gruppi,
delle categorie e degli ambienti umani se l’attività ha lo scopo di realizzare
l’incontro personale con Cristo Signore […]. Tale impostazione obbedisce al
convincimento che l’apostolato deve tener conto delle persone nelle loro condizioni
storiche; le quali persone sono la risultanza del passato, mentre si esprimono
nel presente, camminano verso un futuro che si lascia intravedere nelle scelte
compiute»
(Introduzione, pp. 1-2).
Don Salvatore
riteneva che la ricerca da lui diretta, dato il breve lasso di tempo in cui era
stata attuata, richiedeva degli approfondimenti successivi. Tuttavia l’impianto
generale, le tematiche affrontate e gli ambiti di indagine davano già
sufficiente certezza di attendibilità e validità prolettica anche in vista di
una programmazione pastorale prolungata negli anni e, comunque, come indicatori
imprescindibili di ulteriori ricerche; la relazione è stata condensata in
cinque parti ognuna delle quali è sviluppata in capitoli o paragrafi:
I. Condizione sociale ed economica
II. Situazione politica
III. Orientamenti culturali
IV. Situazione del Clero, dei
Religiosi e dei Laici organizzati
V. Sulla vita cristiana.
La
condizione economica
L’autore
nell’esaminare la condizione economica della popolazione della diocesi
corrispondente al territorio del Capo di Leuca si avvale di studi e ricerche
statistiche di diversi enti e ricercatori, sulla base dei quali mette in
comparazione i dati della sua indagine, proponendo delle deduzioni e
valutazioni di tendenza del processo. È vero che in quel periodo, ma ancora
oggi la situazione si può ritenere analoga pur con indicatori e parametri diversi rispetto a cinquant’anni
fa, ma strutturalmente analoghi, la nostra zona basso salentina era da ritenere
zona depressa nella classifica regionale, caratterizzata da sottosviluppo.
Complessivamente i nostri paesi, con qualche eccezione, presentavano valori
statistici piuttosto bassi, anche se non i più bassi in termini assoluti della regione,
con riferimento ad indicatori come reddito pro-capite, a prodotto interno
lordo. E appunto per questo, il basso Salento
era una terra a forte emigrazioni. Dagli anni cinquanta persisteva un flusso
continuo verso il Nord Italia e verso l’Europa del Nord. Ma sarà proprio questa
emigrazione a determinare una crescita economica che ridonderà anche nei
processi sociali e culturali. Per certi aspetti la situazione presenta
caratteristiche analoghe anche oggi vista l’attuale situazione e tendenza di un
flusso migratorio dei giovani, particolarmente se laureati, verso zone d’Italia
e d’Europa che offrono maggiori e migliori possibilità di lavoro. Sarebbe
opportuno verificare con dati statistici aggiornati l’esatta situazione della
popolazione del Capo di oggi. E a tal fine una riproposizione dell’indagine di don
Salvatore potrebbe essere utile per uscire fuori dalle ripetizioni dei luoghi
comuni e degli slogan pastorali per attingere elementi validi per una pastorale
realistica e concreta.
Dalla
rilevazione e dalla comparazione statistica di quegli anni, il ricercatore rilevò
sì un livello comparativamente più basso e depresso rispetto ad altre zone
della Puglia e ancor più della nazione, ma evidenziò elementi che presentavano
un moderato dinamismo e tendenze di cambiamento che si sono poi effettivamente verificate
e avverate negli anni successivi fino ad oggi.
Annota don
Salvatore a conclusione di questa rilevazione sul versante dell’economia:
«Dalla
considerazione sui vari aspetti possiamo rilevare che la popolazione ugentina
(diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca) è in fase di trasformazione. Pur non
potendo precisare modalità e tempi, non sfugge alla comune osservazione il
notevole sviluppo urbanistico dei comuni, l’incremento del traffico
automobilistico, la diffusione dei confort domestici: ossia, il benessere si
diffonde anche in questo estremo Salento. Però va rilevato che tale
trasformazione è in ritardo nei confronti dell’evoluzione regionale».
E tra i
giovani residenti in quel periodo si viene a constatare il cambiamento dei
lavori esercitati rispetto alla precedente generazione. Si passa dal prevalere
dell’attività agricola a quella più prettamente industriale e dei servizi. È un
cambiamento che si radicalizzerà negli anni successivi, anche se con ritmi
inferiori rispetto ad altri territori.
La situazione
politica
La
situazione politica fa comprendere come si muove la popolazione e in che
direzione, in merito all’organizzazione sociale, alla programmazione economica,
al desiderio e alla volontà nel costruire una società futura. La qual cosa non
è irrilevante per chi svolge il compito di operatore pastorale.
I
risultati elettorali di quegli anni registrarono un calo dei votanti rispetto
ad un aumento degli elettori, a causa dell’assenza degli emigranti. Come
indicatori erano presi i risultati elettorali di quegli anni e gli iscritti ai
vari partiti. Il dato complessivo mise in evidenza una tendenza conservatrice,
con una netta prevalenza di una collocazione al centro (DC) e poi a destra
(MSI), anche se proprio in quegli anni, in concomitanza con la consistente
emigrazione, si osserva una tendenza verso scelte più progressiste significate
dall’incremento dei partiti di sinistra particolarmente del Partito Socialista
e, in alcuni paesi, del Partito Comunista. Questo cartello risultò sempre
minoritario rispetto al cartello di centro-destra, ma in netta ripresa. Secondo il ricercatore il collocamento dell’elettorato
ancora nel centro destra evidenzia più un ancoraggio forte alla tradizione
cattolica ed anche una tendenza all’adeguamento al sistema governativo in atto,
con una predisposizione al clientelismo. L’autore riteneva che gli indicatori
utilizzati sono utili ma tali da non poter cogliere in profondità una realtà
che si presentava molto complessa e, come in campo economico, in divenire. Egli
constata una tendenza, al di là dei dati assoluti, verso una mentalità più progressista
del sistema politico locale pur non vantando ancora acquisizioni quantitative
rilevanti. Il nucleo più dinamico in una
società legata ancora alla conservazione e alla tradizione è costituito dai
giovani sempre più acculturati e dai migranti dotati da una maggiore stabilità
economica. Annota nelle conclusioni:
«La
trasformazione socio-economica in atto, la maggiore circolazione delle idee, la
diffusione del benessere sono le circostanze nelle quali si inquadra e nelle
quali trova spiegazione la crescente simpatia per il Socialismo. Essa esprime,
particolarmente nell’elettorato giovane rifiuto del passato, della divisione e
ella discriminazione sociale, delle preclusioni al benessere e alla cultura in
cui le masse popolari sono state nel passato; esprime anche il desiderio di un
ritorno più accelerato di riforme delle strutture per il conseguimento della
giustizia, della piena occupazione, del benessere»
(cfr. p. 16)
L’auspicio
dell’autore, che è comunque anche la tendenza del processo, è che si affermi di
più il pluralismo e venga superato il conformismo in politica come in altri
settori, ci sia «un confronto delle idee più ampio e vivace, il tramonto della
mentalità feudale», una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita
politica della città e della nazione. A
questa crescita è chiamata a contribuire anche l’azione pastorale creando
sinergie fruttuose tra campo sociale e religioso, tra vita e fede, senza
commistioni teocratiche da una parte e senza scelte secolariste dall’altra.
Orientamenti
culturali
Questo
settore e ambito dell’indagine si avvalse di diversi indicatori, il primo dei
quali fu il tasso e la qualità di scolarizzazione. Lo sguardo anche qui fu
rivolto al futuro. Si cercò di cogliere non tanto lo status del
presente, ma la tendenza, di evidenziare quegli elementi che prefigurano una
società più acculturata e sviluppata.
Nel
decennio 1961/1971 ci fu un aumento notevole del tasso di scolarizzazione, più
del doppio. La quasi totalità degli
alunni frequentava la scuola dell’obbligo, scuola elementare e media, mentre
gran parte dei bambini di scuola materna frequentava le scuole private, quasi
tutte religiose, almeno fino al 1969 quando in Italia venne introdotta la
scuola materna statale, la quale anche se non obbligatoria, verrà di anno in
anno sempre più frequentata essendo gratuita.
Nelle
scuole superiori la tendenza registrava una crescita progressiva più nel
settore professionale e tecnico industriale che in quello
umanistico-scientifico, stante la necessità di lavoro nei settori
dell’industria e dell’artigianato più che un proseguimento negli studi
universitari. Ma anche questi erano in aumento. La popolazione universitaria
nel decennio di riferimento dell’indagine era notevolmente aumentata con una
prevalenza ancora dei maschi rispetto alle femmine e una prevalenza nel settore
delle facoltà umanistiche, rispettando in questo caso la tradizione locale, e
poi in quelle tecnico-scientifico. All’ultimo posto si collocavano le scelte
nelle facoltà giuridiche, sebbene queste rappresentassero nel passato il
settore privilegiato della classe dirigente. La scolarizzazione del secondo ciclo
determinava una mobilità fisica interna al territorio diocesano, quella universitaria
invece era caratterizzata da una mobilità diffusa nei vari atenei d’Italia con
una prevalenza, particolarmente per le universitarie, per quello di Lecce.
Il
notevole incremento della scolarizzazione, secondo l’autore, poneva una
questione seria e improcrastinabile per la pastorale giovanile. Maggiore
istruzione avrebbe significato maggiore cultura e autonomia, quindi sviluppo
della personalizzazione dei soggetti. Era in atto, descriveva l’autore, come
già rilevato in altri campi e settori, una “trasformazione sociale
dell’ambiente diocesano”, e per questo egli sollecitava una pastorale di
settore e di accompagnamento della gioventù che avrebbe caratterizzato la
società del futuro, che è poi la società che oggi stiamo tutti vivendo, perché
quella gioventù degli anni settanta è la società degli adulti di oggi. Il “Piano
Quadro” che scaturì come proposta pastorale dagli elementi conoscitivi
evidenziati dall’indagine, si cercò di impostare un percorso che solo in parte,
a mio parere, ha dato i frutti che si speravano. Occorrerebbe oggi verificare,
se mai con nuova indagine condotta sullo schema di quella precedente, gli esiti
degli impegni pastorali realizzati.
Altri elementi
di conoscenza degli orientamenti culturali indagati dall’Indagine sono stati la
diffusione delle biblioteche e della stampa. È sorprendente come in
quegli anni le biblioteche e i centri di lettura erano molto diffusi, forse più
di oggi. In quasi tutti i paesi della diocesi c’era una biblioteca o /e un
centro di lettura. Questo poteva offrire, come auspicava l’autore, un’occasione
propizia per incontri e scambi culturali che raramente però si sono avuti nei
decenni successivi.
«Allo
scopo di individuare come la cultura viene coltivata al difuori degli ambienti
scolastici e quali interessi sono presenti, si è svolta un’indagine sulla
stampa», dichiara don Salvatore. Quella quotidiana abbastanza presente nelle
edicole era più che altro di carattere moderato-conservatore, rispettosa della
tradizione cristiana La stampa periodica di tipo popolare era
diffusa, particolarmente quella di evasione, i periodici settimanali,
quindicinali e mensili erano diffusi nella classe media. In questa gli
argomenti religiosi ed ecclesiali erano trattati con superficialità,
qualunquismo e relativismo etico. Consistente anche la presenza sul territorio
di testate erotiche. Di scarso rilevo quella di studio e ricerca. La stampa
cattolica era rappresentata da una diffusione rilevante del periodico “Famiglia
Cristiana”. Quasi assente in quegli anni la stampa parrocchiale, che però incomincerà
a diffondersi nei decenni successivi.
Situazione
del clero, dei religiosi e dei laici organizzati
In quel
periodo il clero era costituito da preti poco meno della metà anziani e
con una percentuale un po’ più alta, da sacerdoti giovani. Si constatava però
uno squilibrio nelle dotazioni parrocchiali.
Le parrocchie piccole avevano un numero di preti uguale a quelle delle parrocchie
medie e a quelle grandi come numero di battezzati con un’evidente disparità di
energie e di esiti pastorali. L’autore auspicava che si potesse creare un
sistema di assegnazione ministeriale più consono al dovere di servire
pastoralmente i fedeli. Ma la struttura parrocchiale, vediamo, non è cambiata
neppure ora in cui si va parlando da anni di unità pastorali più che di
parrocchie intese nel senso storico e tradizionale. Il clero aveva una formazione
di base omogenea e soddisfacente in quanto la maggior parte di loro proveniva dal
seminario maggiore di Molfetta. Ma ancora erano pochi quelli che seguivano studi
di specializzazione teologica, morale, esegetica e pastorale. Le vocazioni si
mantenevano in quel periodo in numero costante rispetto ai decenni precedenti
post bellici, anche se con riferimento al dato nazionale si registrava una
perseveranza minore dei seminaristi. La disponibilità delle famiglie a dare il
proprio assenzo ad una eventuale vocazione dei propri figli e figlie si
manteneva abbastanza alto anche se con una prevalenza del coniuge femminile
rispetto a quello maschile e degli anziani rispetto ai giovani.
I religiosi
presenti in alcuni conventi della diocesi non erano di numero rilevante. Ad
alcuni era affidata una parrocchia, come a Leuca, Arigliano e Gagliano e gli
altri ad istituti educativi. Oltre alla cura delle anime, il loro ministero
consisteva nella predicazione e nell’amministrare il sacramento della
penitenza. Molto più numerose erano le religiose che si dedicavano
all’educazione dei bambini, all’attività catechistica presso le parrocchie e
alla cura dei malati.
I laici
organizzati in quel periodo facevano riferimento più che altro all’Azione Cattolica
e alle varie Confraternite. Negli anni del collateralismo si verificò un
rilevante numero di associati nell’azione cattolica, ma verso la fine degli
anni sessanta, poco prima della data dell’indagine, in concomitanza con la
riforma dello Statuto dell’A.C. voluta da Paolo VI e attuata da Bachelet, che
volevano un’azione dell’associazione laicale più conforme ai dettati conciliari
della Lumen Gentiun e di Apostolicam Actuositatem, cioè più
impegnata a fermentare la società
secondo i dettami evangelici che come supporto a opzioni temporalistiche
di tipo politico anche se ispirate al cristianesimo, il numero degli iscritti
andò scemando, particolarmente nel settore adulti.
Costante e
cospicuo era invece il numero dei partecipanti alle Confraternite, le
quali rappresentavano un potenziale di apostolato nella parrocchia, ma di fatto
avevano e avranno connotazioni di tipo cultuale e devozionale. In quel periodo
ogni parrocchia aveva la su confraternita e in alcune se ne contavano più di
una. Il ricercatore suggeriva a proposito delle confraternite:
«Sembra utile
richiamare l’attenzione dei dirigenti della pastorale diocesana su di esse,
perché le riteniamo come ambienti suscettibili di vitalizzazione cristiana se
troveranno maggior posto in una più diretta ed intensa azione pastorale
parrocchiale, allo scopo di curare genitori, lavoratori e categoria maschile in
genere, altrimenti non raggiungibili» (Cfr. pag.32).
Nel campo
femminile notevole è invece la presenza di iscritti nell’Apostolato della
Preghiera, i quali «contribuiscono notevolmente alla frequente e fedele pratica
sacramentaria e alla silenziosa e profonda animazione religiosa della
parrocchia».
Sulla vita
cristiana
Il quinto
capitolo dell’indagine è il cuore della ricerca effettuata perché esamina e
verifica l’effettiva vita religiosa della popolazione della diocesi sul piano
della fede creduta e di quella praticata nei vari campi della vita sociale più che
in quella più specifica di pratica religiosa e liturgica. Così motiva il metodo
di indagine utilizzato:
«L’indagine sulla situazione religiosa
della popolazione della diocesi è stata impostata in maniera da ricercare
prevalentemente quale sia la mentalità religiosa dei fedeli, quali siano i
contenuti e le motivazioni di alcuni atteggiamenti. Si è preferito questa impostazione,
anziché quella orientata all’indagine sulla pratica sacramentaria e sulla
frequenza alla S. Messa domenicale o sul compimento di determinati doveri
religiosi, poiché i risultati ci avrebbero fornito indicazioni superficiali
sulla mentalità e perciò meno utili ai fini di una programmazione pastorale»
(pag. 33).
L’inchiesta
è stata realizzata tra cinque categorie di persone: universitari, giovani
lavoratori al di sopra dei 18 anni, professionisti, genitori e anziani. Per
effettuare l’indagine sono stati scelti i paesi con maggiore popolazione e con
un maggiore grado di evoluzione culturale e sociale. L’approccio non è stato
scientifico, ma i risultati con le risposte pari a circa il 75 % dei
questionari distribuiti, hanno fornito risultanze molto vicine a quelle delle
ricerche scientifiche svolte da sociologi a livello nazionale. Quindi il dato
che emerge è stato più che sufficiente e adeguato alla realtà con riferimento
ai seguenti indicatori.
Con
riferimento alla mentalità di fede circa il 65% si dichiara credente, ma
prevalente è risultato l’atteggiamento tradizionale, non mancano gli indecisi,
i dubbiosi, gli scettici, i superficiali e gli atei, quest’ultimi
particolarmente nelle categorie dei professionisti e dei giovani. Un indicatore
significativo della ricerca è stato la fede in Gesù Cristo. La
percentuale dei credenti in Cristo supera lievemente quella dei credenti in
generale. Prevale in alcuni l’elemento socio-culturale di stato di cristianità:
«Si può
concludere che la situazione di cristiani in senso culturale o sociologico è
presente tra genitori, giovani lavoratori e professionisti, ossia a categorie
culturalmente meno evolute e categorie che nel tempo ripiegano su posizioni
tradizionaliste (i professionisti e in un certo modo gli anziani), mentre
l’atteggiamento personale di “cristiani” sembra accentuato tra gli universitari»
(pag. 39).
Sul concetto
di Chiesa si registrava una specie di frattura, che si andrà poi sempre più
approfondendo con il passare degli anni, tra vita cultuale e vita comunitaria.
L’indagine andava a verificare se il fedele ugentino avvertiva la dimensione
comunitaria della sua fede. Ed è risultato che a gran parte la dimensione
comunitaria dell’appartenere alla Chiesa e di considerarla nella sua valenza di
comunità, sfuggiva al fedele ugentino. Pertanto l’impegno pastorale, come sarà poi
prefigurato nel “Piano Quadro”, doveva cercare di superare la prospettiva
devozionale e individualistica evidenziando l’aspetto comunitario ed
ecclesiale.
Un altro indicatore,
sempre con riferimento alla verifica della mentalità di fede, che fu utilizzato
nell’indagine, fu la lettura del Vangelo. Le domande riguardavano sia la
lettura materiale del Vangelo, sia la conoscenza e la trasmissione dei
contenuti ai figli. Solo un quinto degli intervistati aveva dichiarato di aver
letto il Vangelo, la maggioranza lo ha sentito solo leggere o ha letto qualche
pagina. Poco meno della metà ha raccontato episodi del Vangelo ai propri figli;
il resto solo qualche volta o mai. Perciò sottolineava il rilevatore, è
necessario «che in tutti i tipi e gradi di istruzione religiosa si portino gli
alunni alla conoscenza diretta dei testi sacri, e che la parola di Dio diventi
il cibo quotidiano della vita culturale e religiosa dalla parrocchia» (cfr.
pag. 41).
L’incidenza
della fede nella vita è stato l’altro campo di ricerca. Intorno ad esso è
stata sviluppata un’indagine induttiva, con riferimento alla situazione
esistenziale di ogni categoria, le cui risultanze vanno lette e interpretate
attraverso le tabelle statistiche che è il materiale su cui si regge tutta
l’indagine:
«Dall’insieme
delle risposte – scrive l’autore – possiamo stabilire che le verità cristiane
ispirano la moralità della maggioranza delle singole categorie, quindi la
moralità prevalente delle popolazioni nostrane non è priva di motivazioni
valide e religiose. Tuttavia non va taciuto che una parte non trascurabile
delle categorie manifesta posizioni insufficienti o lacunose dal punto di vista
cristiano. Confrontando la situazione circa la fede con quella relativa al
senso morale, si nota una rilevante incoerenza, soprattutto tra i giovani
lavoratori e i genitori, che confermerebbe, in buona parte di loro, il
tradizionalismo religioso già noto, un mancato sviluppo della coscienza morale
e della sensibilità circa i valori eminentemente cristiani» (Indagine…cfr. pag.
44).
Altri
campi di indagine, sempre in riferimento al rapporto tra vita e fede, sono
stati: la pratica dei sacramenti, in cui fu rilevato che solo il 40 % li
praticava regolarmente; è stato rilevato anche il tipo di prete desiderato
dai cristiani della diocesi e, specificatamente per ogni categoria del gruppo
degli intervistati, genitori, giovani lavoratori e universitari, è stata sviluppata un’ampia
indagine sullo vita cristiana di ognuno,
i cui risultati vanno letti un modo
analitico nel testo, per cercare di
prefigurare che cosa e quanto è
cambiato nei decenni successivi fino ai
nostri giorni in modo intuitivo o, sarebbe auspicabile, con una riedizione
aggiornata dell’inchiesta.
Con
riferimento alla tematica di questo capitolo non manca un paragrafo specifico
dedicato alla rilevazione del dato relativo all’attività confessionale
acattolica. Questo fenomeno di una predicazione di confessioni non
cattoliche nella popolazione ugentina, per lo più Testimoni di Geova e Chiesa
Cristiana Evangelica, andò sempre più aumentando. Gli operatori di questa
diffusione sono stati in particolare gli emigranti che rientravano importando atteggiamenti
religiosi che loro avevano acquisito nelle nazioni di lavoro, particolarmente
Svizzera e Germania. Gli adepti non erano numerosi e si concentravano solo in
alcune località della diocesi, ma suscitarono atteggiamenti di simpatia nella
popolazione anche se non di adesione esplicita. Annota l’autore:
«È stato
necessario tener presente questo fatto nella nostra indagine sia perché in
questi ultimi anni tale diffusione di idee si è andata infittendo secondo un
programma organico, sia perché tra gli emigrati si trovano nell’occasione
sempre più frequente di incontrare attivisti, ricevere stampe, partecipare a
conversazioni durante la permanenza all’estero. I nostri fedeli impreparati al
confronto e alla verifica delle loro affermazioni religiose, si trovano certamente
se non di fronte ad un pericolo, almeno di fronte ad una tentazione per la loro
fede» (Indagine…cfr. pag. 47).
Conclusioni
Nelle
conclusioni don Salvatore Palese ribadisce che l’inchiesta così come è stata
realizzata rappresenta un primo tentativo per cercare di delineare la
situazione socio-religiosa della diocesi.
Comunque
si sono ricavati fatti e fenomeni significativi per cercare di ristrutturare
l’azione pastorale: si aveva di fronte in quegli anni una società in un periodo
di accelerata trasformazione, un notevole processo migratorio in atto, un più
facile accesso agli studi, una maggiore possibilità di lavoro e un più vario
pluralismo politico. Tutto ciò delinea «un popolo non più sedentario e
agricolo, ma aperto e intraprendente, arricchito da esperienze fatte in
ambienti del tutto diversi, forse meno individualista e più libero, perché
consapevole delle proprie possibilità» (cfr. p. 63).
Pertanto,
con riferimento a questa situazione di cambiamento, la religiosità tradizionale
delle popolazioni ugentine si dimostrava
già allora in crisi, nel senso che entrava in una situazione di non
cristianità, la società si andava sempre più secolarizzando e la fede richiedeva
nuove motivazioni e orizzonti. Le espressioni sacrali della civiltà agricola
stavano per iniziare ad essere inadeguate. I cristiani preferivano ancora avere
atteggiamenti di una fede tradizionale, ma la società così come è stata
rilevata dal concilio e indagata nell’indagine effettuata presentava esigenze e
richieste di una fede più matura e convinta da parte da chi la esercitava, in
cui l’aspetto esistenziale doveva diventare un prodotto di una convinzione e
non di mero conformismo religioso. Per questo era necessario un cambiamento,
occorreva operare delle scelte pastorali fondamentali riguardanti la liturgia,
la catechesi, in particolare quella degli adulti e organizzativamente e
operativamente presentare una chiesa che evangelizza prima ancora di sacramentalizzare
con preti evangelizzatori e laici con
coscienza ecclesiale:
«che affermino il primato della fede
sul culto, della persona sulle organizzazioni, la prevalenza del diritto della
Parola di Dio sulle tradizioni, la priorità del piano di Dio sulle iniziative
pur generose degli uomini.. Ed è questo
il lavoro di riflessione che spetta al Consiglio Pastorale Diocesano;
riflessione sulla quale dovrebbe attendere con calma il più vasto numero
possibile di pastori e di laici generosi» (cfr. p. 65).
***
La risposta
alle indicazioni e alle stimolazioni dell’inchiesta non si fecero attendere. Il
Consiglio Pastorale che aveva promosso l’indagine si trovò di fronte un testo
denso di dati che provocavano ad una presa di coscienza e ad interventi
pastorali non più sporadici e occasionali, ma pianificati nel tempo e tendenti
a mantenere il passo con il dinamismo della comunità degli uomini.
Infatti
venne elaborato da un Commissione del Consiglio il primo piano pastorale della
diocesi, denominato “Proposta Quadro per
la ripresa pastorale della diocesi”, il cui testo inizia con le stesse parole
di conclusione dell’indagine:
«Si è preso atto
che la nostra zona sta vivendo una fase delicatissima di radicale
trasformazione che, particolarmente accelerata dal fenomeno migratorio e della
accresciuta spinta culturale, non solo fa evolvere le condizioni sociali,
economiche e politiche della nostra gente, ma determina anche un profondo mutamento
della sensibilità e delle sue istanze religiose» (cfr. Proposta Quadro, Bollettino
Diocesano, XXXVIII, pag. 49).
***
L’indagine
del 1972 e il piano pastorale che venne poi elaborato rimangono nella storia
della recezione del Vaticano II nell’estremo Salento. Di questa recezione fanno parte pure le
indagini del 1978 sulla pietà popolare nei santuari della diocesi, a cura di
Vito Orlando (Feste, devozione, religiosità. Ricerca socio-religiosa in
alcuni santuari del Salento; presentazione di Michele Mincuzzi, Congedo,
Galatina 1981. Religiosità, festività nell’area salentina in Il Basso
Salento. Ricerche di Storia sociale e religiosa, a cura di Salvatore
Palese, Congedo, Galatina 1982, pp.11-48.)
Il mio
personale auspicio è che questo lavoro venga riscoperto, prelevato dagli
scaffali polverosi degli archivi, riportato in una veste tipografica adeguata e
messo a disposizione come paradigma di una metodologia e di un processo che va
riscoperto e ancor più utilizzato, con un’altra indagine, se mai condotta con
maggiore scientificità, come desiderava
il ricercatore di allora, che possa essere di ausilio alla programmazione
pastorale odierna, che spesso viene individuata e realizzata con criteri di semplice intuizione e di mera opinione.
La storia
di una Chiesa particolare, piccola e periferica come è quella ugentina, può
aiutare a capire i cambiamenti in atto nel frammento cronologico si può trovare
il segno superstite del passato e il seme dell’avvenire.
Vito Cassiano